Il Re dell’universo

XXXIV domenica del tempo ordinario

20 novembre 2022

 

  • Prima lettura: 2 Sam 5, 1-3
  • Salmo: Sal 121
  • Seconda lettura: Col 1, 12-20
  • Vangelo: Lc 23, 35-43

 

Oggi la Chiesa celebra due cose: la chiusura dell’anno liturgico e la festa di Cristo Re.

Si chiude un anno. L’anno della scuola si chiude a giugno; l’anno del calendario il 31 di dicembre; l’anno della chiesa si chiude con la festa di Cristo Re. Anno vuol dire ruota, cerchio. Il diminutivo annulus=anello (che è tondo, circolare: un cerchio). Sol-enne vuol dire una sola volta all’anno. Anniversario (annus+versus) vuol dire che si rinnova (che si svolge) ogni anno.

La ruota, il cerchio, non ha né inizio né fine. E’ il grande pericolo della vita: passano gli anni, viene sempre gennaio, febbraio, novembre, dicembre, noi facciamo sempre le solite cose ma non evolviamo, non cresciamo, non avviene una maturazione, una progressione dentro di noi. Allora gli anni diventano routine, abitudine e la vita diventa solita, piatta e noiosa.

Se sei quello dell’anno scorso, allora hai perso un anno di vita! Ciò che è successo non ti è servito e tu non hai imparato nulla. Peccato! Se pensi come dieci anni fa, hai perso dieci anni di vita. Se ami tua moglie nello stesso modo di venti’anni fa, come da fidanzatini, hai perso vent’anni (sei rimasto lì). E se credi come trent’anni fa, quando avevi otto anni e andavi al catechismo, allora di anni ne hai persi trenta.

La gente è preoccupata di dare anni alla vita ma sarebbe meglio dare vita gli anni. Perché è più importante come viviamo che quanto viviamo.

Un giorno un discepolo andò dal suo maestro e gli disse: “Maestro, voglio guarire!”. “D’accordo, - il maestro -, e se guarisci che te ne fai della guarigione?”. “Ma come… cosa vuol dire?... – il discepolo era spiazzato dalla risposta del maestro – voglio guarire per star bene”. “Ho capito, disse il maestro, ma se starai bene, quando starai bene, cosa te ne farai della guarigione e del tuo star bene?”. “Come cosa farò? Farò la vita di prima”. “Allora non puoi guarire. Vedi: se ti sei ammalato vuol dire che prima vivevi in un modo che ti fa ammalare. Se tu vuoi tornare alla vita di prima, che ti ha fatto ammalare, come puoi pensare di guarire?”.

Cos’hai imparato quest’anno? Cosa e come è cambiata la tua vita? Cosa di nuovo hai iniziato, appreso, fatto? Cos’hai lasciato che non ti appartiene più? In cosa tu quest’anno sei altro dall’anno scorso?

Il secondo motivo della festa di oggi è la celebrazione di Cristo Re dell’universo. La vera festa di Cristo Re sarebbe il giorno dell’Epifania: quando i re, i potenti del tempo, si inchinano davanti ad un bambino, a ciò che è vulnerabile, a che è piccolo, a ciò che è indifeso. Questa è regalità: inchinarsi e valorizzare tutto ciò che è piccolo e tutto ciò che vive. Sì, io sono più forte e potrei distruggerlo, calpestarlo, ma invece lo amo, lo rispetto, lo valorizzo, perché so che da questo piccolo potrà crescere e nascere qualcosa di grande.

Un gatto, un cane, un animale, sono più deboli di me: ma non ho il diritto di picchiarli, di abbandonarli solo perché sono più indifesi di me.

Quando sono il responsabile della banca o della posta o un dottore, chi ho davanti è più piccolo di me, perché non sa molte cose, teme di far brutta figura e di essere deriso. Essere re è: non lo tratto come un “deficiente”, stupido, perché non sa ciò che so io o ciò che dovrebbe sapere.

Quando sono genitore, mio figlio è più piccolo di me, io le cose le faccio in un modo, lui come è capace. Essere re è: non lo umilio, non lo derido e non lo svalorizzo solo perché non fa le cose bene. Non gli dico: “Ma non ci vedi? Non vedi che si fa così! Ma quand’è che imparerai? Ti servirebbe uno sempre dietro quando fai i lavori!, ecc”.

Essere re è: quando sbaglio, faccio un errore o una brutta figura, essere tenero e misericordioso con me. In quel momento io sono il forte (la parte che dice: “Ma come hai fatto?”) e la parte debole (quella che non ce l’ha fatta, vulnerabile, che ha sbagliato). Essere re è inchinarmi alla mia debolezza, alla mia fragilità, al mio errore. La vera regalità, dice la festa dell’Epifania, accade quando il forte, il potente (i Magi), si inchinano al debole e al piccolo.

Storicamente, invece, la festa nasce negli anni ’30. Cosa accadeva? C’era il fascismo che emergeva e c’era il suo re: Mussolini. Allora il Papa contrappose al re politico quello religioso: Gesù Cristo. Per questo è una festa che è nata con una caratteristica di pomposità, di trionfalismo, di gloria: ma il vangelo di oggi e il vangelo in genere non mostra mai un Cristo Re trionfatore. Anzi! Infatti il vangelo di oggi propone una scena della passione.

Il brano di oggi possiamo definirlo l’ultima tentazione di Gesù. Gesù nel deserto era stato tentato dal diavolo, da Satana: ma satana non si opponeva a Gesù inducendolo a fare il male, ma di utilizzare le proprie capacità di Figlio di Dio per salvare se stesso, per avere il potere e per essere accolto e soprattutto riconosciuto dalla gente. Ma Gesù aveva rifiutato. In Lc 4,13 si legge: “Il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato”. Tempo=kairos che vuol dire al tempo opportuno (più che fissato): è l’occasione da non perdere. E qui il diavolo non perde l’occasione e si ripresenta da Gesù.

Ma cosa c’è prima di questo? E’ Pasqua, migliaia di persone salgono a Gerusalemme e i capi religiosi sono in ansia perché non si può lasciare libero uno come Gesù che sta minando alle basi il loro potere. Ma proprio all’ultimo c’è chi dà loro una mano: è Giuda. Lc, infatti, dice: “Allora, satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era uno dei dodici” (Lc 22,3). Giuda viene pagato per tradire il maestro: ma non si godrà quei soldi perché lascerà anche la vita impiccandosi. Gesù viene preso e viene accusato (Lc 23,2-5) di 4 cose: 1. di mettere in agitazione il popolo: vero; 2. di impedire di pagare i tributi a Cesare: falso; 3. di dichiarare di essere il re Messia: vero (il Figlio dell’Uomo); 4. di sollevare il popolo: vero.

Sono tutte cose che Gesù faceva, eccetto il fatto di impedire di pagare i tributi. Nessuna di queste è un grosso problema per Pilato, che anzi quasi quasi preferiva un sobillatore all’indigesto popolo ebreo, eccetto quella di pagare i tributi: ogni potere è sensibile all’aspetto economico. Toccagli tutto ma non i soldi. Del resto a Pilato non interessa niente e così manda Gesù da Erode per togliersi “sta grana”. Ma né Pilato, né Erode, trovano elementi che giustifichino l’eliminazione di Gesù. Così Pilato decide che per compiacere le autorità, lo castigherà ma poi lo rimetterà in libertà.

Che cosa fanno a questo punto le autorità? Piuttosto di Gesù preferiscono Barabba. Preferiscono condannare un innocente e liberare un rivoltoso. Tutto viene sovvertito: il bene (Gesù) viene definito male (morte in croce) e il male (un assassino) viene definito bene (liberazione). Così Pilato lo consegna al “loro volere” (Lc 23,25) per non avere “rogne”.

Gesù viene così aggregato ai due malfattori. Il supplizio è orribile: la croce. La giustizia ebraica avrebbe voluto la lapidazione (Gesù non ha ucciso nessuno): perché lo crocifiggono? La crocifissione era inflitta o per assassinio (i due malfattori) o per eresia. E’ il caso di Gesù: Gesù è un maledetto di Dio. Il Figlio di Dio viene visto come un maledetto di Dio (Dt 21,23: “L’appeso è una maledizione di Dio”). La morte deve dimostrare a tutto il popolo che Dio non era con Gesù e che Gesù non era affatto Figlio di Dio e che chi crede in Gesù si sbaglia.

Tutto viene stravolto, travisato: l’inganno è totale. Qui si vede a cosa può giungere l’animo umano che vive nella paura: può uccidere, può non avere pietà, la paura può trasformarsi in odio e vendetta. E adesso? Adesso i capi del popolo se ne stanno felici davanti allo spettacolo e lo deridono. E siamo al vangelo di oggi.

23,35IL POPOLO STAVA A VEDERE; I CAPI INVECE LO DERIDEVANO DICENDO: «HA SALVATO ALTRI! SALVI SE STESSO, SE È LUI IL CRISTO DI DIO, L’ELETTO».

  • IL POPOLO STAVA A VEDERE=il popolo è deluso da Gesù perché non è il Messia che si aspettava. Gesù non è il potente figlio di Davide che si aspettava e quindi sta a vedere se Gesù adesso – è l’ultima possibilità che ha – farà qualcosa. Per cui “sta a vedere” passivamente (il verbo è proprio passivo). E’ un atteggiamento di dubbio, di scetticismo, di rassegnazione.
  • I CAPI INVECE LO DERIDEVANO DICENDO: «HA SALVATO ALTRI! SALVI SE STESSO, SE È LUI IL CRISTO DI DIO, L’ELETTO»=I capi invece sono attivi e lo deridono, lo prendono in giro e sono strumento di satana e del male perché incitano Gesù ad utilizzare il suo potere per salvare se stesso. “Utilizza chi sei e le tue capacità per te”: Gesù userà il suo potere per salvare gli altri e non se stesso. I capi, i depositari della fede in Dio, non hanno nessun sentimento di pietà, di misericordia, di compassione. Si sono così induriti da non avere più cuore.

E come risponderà Gesù a tutta questa violenza? Con l’amore! L’amore per il potere degli uomini viene sostituito dal potere dell’amore di Gesù. In Gesù Dio si mostra come un Dio d’Amore. Di Dio, nessuno, mai nessuno e mai più nessuno abbia paura. Gesù non impreca, non rimprovera, non si lamenta, e neanche risponde con violenza alla brutalità di cui è vittima, ma sorprendentemente, dalla sua bocca escono parole di perdono e di giustificazione: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Gesù lo aveva già detto: “Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per quelli che vi trattano male”. Adesso lo vive. Un Dio debole non si era mai visto ed è difficile da accettare. Un Dio debole lo senti umano, vicino, e ti costringe a fare come Lui: ad usare solo l’amore. Un Dio così ti costringe a rompere le spirali di violenza, di vendetta, di “occhio per occhio”.

Il Dio finora conosciuto era un Dio forte, che appare tra tuoni e fulmini (Es 19,16), un Dio che tu potevi pregare perché lanciasse “folgori e saette” sui nemici (Sal 144,6), un Dio che per liberare Israele ha sterminato tutti i primogeniti d’Egitto (Es 11,5). Un Dio che castiga duramente se tu non lo ascolti (Es 7,4: l’Egitto fu castigato con l’acqua cambiata in sangue; con le rane; con i mosconi; con la morte del bestiame; con le ulcere; con la grandine; con le cavallette; con le tenebre e con la morte dei primogeniti). Questo è il Dio che gli uomini amano: forte, potente, giudice, giusto. Un Dio forte ti fa sentire al sicuro e ti dà il permesso di fare altrettanto e di essere come Lui. Per questo si poteva escludere, condannare, crocifiggere, in nome di Dio.

Ma il Dio di Gesù non è così: Lui è amore. Lui in croce prega per i suoi nemici e assicura a chiunque lo desideri il suo amore e il suo regno (il paradiso del “buon ladrone”).

E per tutti noi rimane la questione fondamentale: che immagine hai di Dio, dentro di te?

36ANCHE I SOLDATI LO DERIDEVANO, GLI SI ACCOSTAVANO PER PORGERGLI DELL’ACETO 37E DICEVANO: «SE TU SEI IL RE DEI GIUDEI, SALVA TE STESSO».

  • GLI SI ACCOSTAVANO PER PORGERGLI DELL’ACETO=il vino nella Bibbia è il segno dell’amore di Dio. L’aceto, quindi il suo contrario, è il segno di odio. Perfino i soldati lo sfidano: tutti e tutto il mondo sembra contro Gesù.

38SOPRA DI LUI C’ERA ANCHE UNA SCRITTA: «COSTUI È IL RE DEI GIUDEI».

E’ una scritta derisoria, dispregiativa: guarda che fine che fa il re dei Giudei?

39UNO DEI MALFATTORI APPESI ALLA CROCE LO INSULTAVA: «NON SEI TU IL CRISTO? SALVA TE STESSO E NOI!».

Gesù è insultato da tutti, perfino i malfattori si prendono gioco di lui! E anche qui, un’altra volta (la terza volta), c’è la tentazione del diavolo: “Salva te stesso” (Lc 4,3). E per tre volte la tentazione del diavolo nel deserto si ripete: “Se sei il Cristo (Lc 23,35)… se sei il re dei Giudei (Lc 23,37)… non sei tu il Cristo? (Lc 23,39)”. Nella simbologia ebraica tre significa ciò che è definitivo, pieno, completo.

Gesù è tentato: questo è il momento fissato (=opportuno) di satana. La tentazione è la possibilità di Gesù di rinnegare se stesso, il suo messaggio, di tradire ciò per cui ha vissuto e di reagire imprecando, rimproverando, lamentandosi, facendo un’azione potente. Ma Gesù rimane fedele a sé e a Dio: nel versetto precedente al vangelo si dice “che Gesù diceva: “Padre perdonali, perché non sanno quello che fanno”.” (Lc 23,34). Ciò che accade è incredibile: mentre l’odio più sfrenato, scatenato, pervertito, ricade su di lui, Gesù prega per i suoi aguzzini.

40L’ALTRO INVECE LO RIMPROVERAVA DICENDO: «NON HAI ALCUN TIMORE DI DIO, TU CHE SEI CONDANNATO ALLA STESSA PENA? 41NOI, GIUSTAMENTE, PERCHÉ RICEVIAMO QUELLO CHE ABBIAMO MERITATO PER LE NOSTRE AZIONI; EGLI INVECE NON HA FATTO NULLA DI MALE».

Il fatto che Gesù sia stato condannato con dei malfattori significa che Gesù è stato ritenuto un elemento pericoloso. La croce, infatti, è una condanna riservata alla feccia della società, a coloro che hanno commesso i crimini più gravi. Gesù viene equiparato ad un criminale. E in mezzo a tutto questo odio, questa rabbia, questa perversione, c’è chi in Gesù riconosce Dio. E’ il sommo sacerdote? Uno scriba? Un fariseo? Sono persone troppo influenzate dall’ideologia religiosa. Le loro idee impediscono di vedere Dio. E chi è, allora? Un malfattore.

  • NOI, GIUSTAMENTE=la croce infatti era un supplizio per i crimini più gravi. Era la pena che spettava all’assassino Barabba. Il malfattore riconosce di aver meritato il giusto per le sue azioni.
  • EGLI INVECE NON HA FATTO NULLA DI MALE=lo ripeteranno At 10,38: “Gesù di Nazaret passò beneficando e sanando tutti quelli che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui”.

42E DISSE: «GESÙ, RICORDATI DI ME QUANDO ENTRERAI NEL TUO REGNO». 43GLI RISPOSE: «IN VERITÀ IO TI DICO: OGGI CON ME SARAI NEL PARADISO»

Il malfattore è un criminale, non ha niente da proporre a Dio. Eppure, nonostante che tutti lo credano il più lontano da Dio, è l’unico che lo riconosce e che lo rispetta. E Gesù farà per lui molto di più che solo ricordarlo: lo porta con sé. La tradizione (vangelo apocrifo di Nicodemo, IV secolo) gli ha anche dato un nome: Disma, che si festeggia il 25 marzo, protettore dei ladri (si spera pentiti), dei moribondi e dei becchini.

L’immagine di Gesù è quella del buon pastore che trova la pecora perduta e gli comunica le sue stesse forze. Gesù se la porta sulle sue spalle come farà il buon pastore. Gesù non si ricorderà di lui in paradiso ma oggi se lo porta con sé.

Gesù, quindi non guarda i meriti (non ne ha!), non guarda le virtù (non ne ha), ma guarda i bisogni, le necessità degli uomini. E alla necessità di essere ricordato, Gesù risponderà offrendo e donando non un ricordo, ma infinitamente di più: il paradiso.

Da quando è successo ciò, sappiamo per certo che non esistono casi impossibili e situazioni irrimediabili. Anche nelle situazioni più disperate (=cioè, senza speranza) c’è la certezza dell’amore di Dio che “ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti” (Rm 11,32). Che meriti aveva questo malfattore? Nessuno! Si è convertito? No. Ha cambiato vita? No. Ha detto che l’avrebbe fatto? No. Eppure…

Questo è il primo uomo (stando ai vangeli) che entra in Paradiso, prima ancora di Maria, ed è una canaglia. Se c’è entrato lui… tutti vi possono entrare. Come disse Von Balthasar: “L’inferno esiste ma è vuoto”, perché l’amore di Dio è più grande del nostro peccato.

PS: Gesù non parla mai di paradiso nei vangeli (eccetto qui) ma sempre di regno di Dio o dei cieli. Ma agonizzanti in croce, non c’era tempo di spiegare molte cose al malfattore, per questo gli parla e gli risponde con parole che il suo mondo può capire e usa “paradiso” (è l’immagine di un grande prato).

Gesù dà il suo amore non come un merito, una conquista, ma come un regalo sovrabbondante: tu chiedi qualcosa e lui ti regala molto di più di quello che chiedi.

Ed è interessante: chi è il primo ad entrare nel regno dei cieli? Maria? No. Pietro? Giovanni? No. Il primo ad entrare è un malfattore, un criminale.  Da adesso in poi le porte del regno dei cieli, del paradiso, saranno aperte per tutti coloro che riconosco Dio come re, qualunque sia il loro passato, la loro storia e la loro vita. Questa è la Buona Notizia di Gesù ed è davvero una gran Buona Notizia per tutti!

Questa è la regalità di Gesù: le porte dell’Amore di Dio sono aperte per tutti quelli che vi vogliono entrare aldilà di tutto ciò che c’è stato. Gesù è il re dell’amore. Quindi non esistono casi impossibili, situazioni irrimediabili: l’Amore di Dio è più forte.

Quando andremo nell’ultimo giorno, noi avremo tanta paura, perché, chiunque di noi, guardando la propria vita non ha grandi meriti per ricevere l’amore di Dio. Ma quando saremo davanti a Lui, Lui non ci dirà: “Ah tu sei Tal dei Tali, vediamo cos’hai fatto!”. E non guarderà nessun libro dei peccati, e non ci sarà nessun Giorno dell’Ira. Ma semplicemente ci dirà: “Senti un po’ Tal dei Tali, ho un regalo da farti, lo vuoi?”. Il regalo si chiama “regno di Dio”, “regno dell’amore” e basterà rispondere: “Sì”. Tutto qui.

Non abbiate paura, non abbiate paura, non abbiate paura, perché non c’è nessun motivo: non abbiate paura! La mistica Giuliana da Norwich: “Non abbiate paura, tutto finirà bene… molto bene… molto, molto bene”.

Cosa dice a me questo vangelo? Questo vangelo mostra i vari punti di vista di fronte ad ogni cosa.

Di fronte ad ogni cosa (realtà) io posso pormi in maniera molto diversa.

Fuggire. Il popolo guarda, assiste, non interviene, non fa niente (ignora, chiude gli occhi). Il popolo si difende fuggendo la realtà, rinnegandola.

C’è una storiella che racconta che un uomo, nel dopoguerra, entra in un autobus con un pacco. L’autista lo guarda e gli chiede: “Cos’ha dentro?”. “Ho trovato una bomba inesplosa nel mio giardino e la sto portando dalla polizia”. “Ma è pazzo? Lo sa che potrebbe scoppiare? La metta sotto il sedile per favore!”.

Attaccare. I capi e i soldati condannano, affossano, giudicano, colpevolizzano: loro attaccano. Attaccare è fuggire al contrario: siccome non voglio affrontare la realtà, attacco gli altri. Finché dico che è colpa del mondo, tua, degli altri, non mi prendo cura del mio malessere.

Essere egocentrati. Il malfattore guarda con interesse: “Salva te stesso e anche noi” (Lc 23,39): lui pensa solo a sé. Essere egocentrati vuol dire “fare la vittima”, tenere in considerazione solo se stessi. L’egocentrato non si accorge che c’è un mondo attorno a sé: lui vede solo se stesso.

E’ la matrigna di Biancaneve che chiede allo specchio magico: “Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?”. “Biancaneve!”. L’egocentrato non può accettare che qualcuno sia prima, meglio, di più di lui. E per questo ti attacca, ti giudica, ti distrugge. La sua inferiorità (e la sua frustrazione) diventa invidia, gelosia, odio, che ti “scarica” addosso.

C’è una barzelletta che racconta di un uomo che va dal dottore e gli dice: “Dottore, dottore, ho male dappertutto. Se mi tocco qui (spalla) ho male… se mi tocco qui (gamba) ho male… se mi tocco qui (testa) ho male… se mi tocco qui (pancia) ho male…”. Il dottore lo guarda e gli dice: “Lei ha il dito rotto”.

Il ladrone buono, invece, vede la realtà per quella che è: solo in lui c’è amore perché è adeguato alla realtà. Non fugge, non se la prende con gli altri, non fa la vittima, ma vede le cose per quello che sono. “Io ho un problema: è il mio problema e gli devo dare la mia cura e le mie attenzioni”.

Alcuni ragazzi delle superiori sono andati a giocare in palestra senza che nessuno lo sapesse e, per sbaglio, hanno rotto un vetro della palestra. Arriva il preside: “Chi è stato?”. Silenzio. “Ho detto, chi è stato? Vi sospendo tutti!”. Silenzio: “Chi è stato?”. Allora uno dei ragazzi alza la mano: “Io, signor preside”. Lui sospeso due giorni; a tutti gli altri che erano stati zitti, niente. I suoi genitori lo hanno punito, ma quando mi ha raccontato la cosa dicendomi: “Potevo starmene zitto, come tutti gli altri!!!”, io gli ho detto: “Io sono fiero di te. Tu sì che sei un uomo! Hai avuto il coraggio delle tue azioni, non ti sei nascosto e non hai scansato ciò che avevi fatto”. E lui mi ha detto: “Anch’io sono fiero di me!”. E poteva ben esserlo (non per ciò che aveva fatto ma…)

Mio figlio frequenta brutte compagnie e qualcuno mi ha detto che si fa gli spinelli.

Posso essere come il popolo: “Ma no! Ma non è vero! Mio figlio! E’ sempre stato così un bravo ragazzo!”.

Posso essere come i capi: “Male che vuole non duole; la società è marcia; è perché hanno tutto”.

Posso essere come il malfattore: “Che disonore per la nostra famiglia! Che vergogna! Ci penso io: lo chiudo in casa per una settimana, gli tolgo il motorino, non lo mando al camposcuola, gli tolgo il cellulare”.

Ma posso essere anche il buon ladrone: “Lui deve avere un buco e una sofferenza dentro e noi come genitori dobbiamo aver sbagliato qualcosa nell’educazione”.

Fra marito e moglie si litiga o non ci si capisce o c’è sempre tensione.

Il popolo: “Passerà! Non è niente! E’ un periodo. Si sa che col tempo l’amore diminuisce”.

I capi/soldati: “E’ lei, è lui; se mi amasse cambierebbe; non fa niente per me; non mi capisce”.

Il malfattore: “Beh io faccio la mia vita; io non le dico più niente: se vuole viene lei”.

Il buon ladrone: “Lei soffre, io soffro: qui c’è bisogno di aiuto; ci amiamo ma non riusciamo ad incontrarci”.

Una madre è scattata e ha picchiato duramente la figlia.

Il popolo: “Succede a tanti! Non è mica la prima! Per una volta…! Va ben, dai, adesso è tutto risolto”.

I capi/soldati: “Che madre snaturata! Ma come si fa! Vergogna! Che colpa! Che mostro!”.

Il malfattore: “Beh, insomma, mi ha costretto; io sono stressata; anche mia madre “me le dava!””.

Il buon ladrone: “Hai fatto soffrire tua figlia e per agire così anche tu devi soffrire e devi essere al limite”.

Un uomo sa che dovrebbe guardarsi dentro e parlare di alcune paure che ha.

Il popolo: “Non serve a niente; nessuno ti cambia la vita; non è poi così grave; sono andato avanti finora…”.

I capi/soldati: “Sei tu che vuoi vivere così; se stai male, caro, è colpa tua”.

Il malfattore: “Con il padre che ho avuto!; gli altri non sanno quanto io soffro; è difficile!”.

Il buon ladrone: “Devo accettare di aver paura: è così! Devo affrontare ciò che c’è dentro”.

E poi mi rivedo in quel ladrone. Capiterà anche a me di ritrovarmi in croce e di dover ammettere: “Ho sbagliato! Non avrei dovuto farlo (solo che l’hai fatto e adesso è troppo tardi)!”. E che si fa?

Posso essere come il malfattore e giudicarmi e non avere pietà con me: “Bastardo! Non ti vergogni? Fai schifo! Non meriti di vivere! Cosa diranno i tuoi figli? E la gente? Ma con che faccia esci di casa! Sei il solito. Non cambi mai…”.

Ma posso anche perdonarmi, come Gesù e dirmi: “Sì l’hai fatto: chiedi scusa, ripara l’errore, ma adesso basta! Perdonati! Non ti uccidere per questo! Sono responsabile di ciò che è successo ma sono ancora degno di vivere”.

Questo vuol dire essere re (come Gesù è re dell’amore): amarsi e perdonarsi. Essere re come Gesù vuol dire portare amore lì dove non c’è, lì dove si crede di essere indegni di essere amati, lì dove neppure si pensa di meritare l’amore. E il primo sono io.

Questo è regale: “Ti perdono… ti amo al di là di ciò che è hai fatto… il mio amore non è in discussione… ripartiamo… giriamo pagina… lascio andare… basta…”. E lo faccio prima con me e poi con gli altri.

 

Pensiero della settimana

 

Impara ad amare la tua insufficienza e a farne materia di vita.