Figli delle stelle

XXIX domenica del tempo ordinario

18 ottobre 2020

 

  • Prima lettura: Is 45, 1. 4-6
  • Salmo: 95
  • Seconda lettura: 1 Ts 1, 1-5
  • Vangelo: Mt 22, 15-21

 

Dopo la serie di invettive con le quali Gesù ha accusato i capi spirituali del popolo di essere ladri e assassini – ladri perché si sono impadroniti del popolo e assassini perché hanno usato la violenza – c’è ora il contrattacco da parte di questi capi, che però hanno un problema: Gesù è seguito da tanta folla per cui bisogna trovare il modo di screditarlo.

Questo vangelo è il primo di una serie di attacchi con i quali i capi religiosi e spirituali tenteranno di screditare Gesù e gli tenderanno delle trappole per diffamarlo e screditarlo di fronte alla gente.

22,15Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi.

  • ALLORA=l’allora collega questo episodio alla denuncia che Gesù ha fatto con la parabola degli invitati alle nozze che hanno rifiutato quest’invito per motivi di interesse. La convenienza è quella che determina l’agire dei capi religiosi. Gesù (il re della parabola precedente) ha invitato i farisei e i religiosi del tempo ma essi erano indaffarati (Mt 22,1-14), presi, da altre cose (i propri campi, i propri affari).

L’anima chiama: ma tu hai altre cose: alla sera sei stanco e preferisci rilassarti davanti la tv; durante l’anno un week-end per fermarti, nutrire l’anima non ci riesci, perché preferisci rilassarti al mare o in montagna; farsi aiutare nelle tue difficoltà no, perché non hai tempo, perché hai da lavorare; leggere qualcosa di spessore non ti piace perché ti costringe a pensare e a guardarti dentro… e così giorno dopo giorno dopo procedi… ma non ti lamentare se una mattina sarai colpito dal mal di vivere, se non hai più voglia di vivere, se ti senti arido, se ti senti vuoto, se ti senti freddo, se nulla ha più senso. E’ semplicemente ovvio: hai lasciato morire la tua anima. E adesso?

  • COME COGLIERLO IN FALLO NEI SUOI DISCORSI=qui c’è una serie di trappole che vengono tese a Gesù, dalle quali però Gesù uscirà tendendo lui a sua volta trappole ai suoi accusatori.

16Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno.

  • ERODIANI=questa è proprio una sorpresa: che ci fanno gli erodiani qui insieme con i farisei? Come dire che i comunisti stanno insieme ai fascisti o che gli ebrei stanno insieme con i palestinesi.

Farisei ed erodiani si detestavano perché gli erodiani erano quelli del partito di Erode, che era un re fantoccio messo su dai romani, e i farisei detestavano questo re. Tra di loro c’era una grande inimicizia, solo che ora hanno un pericolo comune: Gesù. Gesù è pericoloso sia per i farisei che per gli erodiani: per questo si mettono insieme, in combutta, per eliminarlo.

  • MAESTRO=attenzione a questo titolo, perché nel vangelo di Matteo è sempre in bocca agli avversari di Gesù o a coloro che gli sono ostili, ma fa parte di quel linguaggio curiale usato per addolcire ciò che si vuole dire.
  • SAPPIAMO CHE SEI VERITIERO E INSEGNI LA VIA… E NON HAI SOGGEZIONE DI ALCUNO=è un elogio esagerato, adulatorio, un incensamento ostentato. C’è un eccesso e ogni eccesso nasconde il suo contrario.

Il proverbio: “Chi t’accarezza più di quel che suole, o t’ha ingannato, o ingannar ti vuole”. E ancora: “Chi ti adula ti tradisce” e “chi ti loda in presenza, ti biasima in assenza”. Poiché gli dicono così (che è vero e che non teme la disapprovazione degli altri) vuol dire che gli riconoscono che Gesù afferma la via di Dio secondo verità. Loro, invece, fanno di tutto per essere ammirati (accusa di Gesù), glorificati, elogiati: cioè ciò che fanno è tutto per la propria convenienza (per essere importanti, famosi, stimati dalla gente), per il proprio bene mentre ciò che fa Gesù è per il bene dell’uomo.

17Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».

  • DUNQUE DI’=il termine è all’imperativo: non è una richiesta ma un’imposizione. Loro vogliono sapere una risposta: l’imperativo con cui glielo chiedono non ammette discussioni. Ed ecco l’insidia.
  • E’ LECITO O NO PAGARE IL TRIBUTO DI CESARE?=cos’era il tributo a Cesare? Da quando era stato nominato per la Giudea un procuratore romano nel 6 d.C., c’era una tassazione per tutti, uomini e donne, dai 12 ai 65 anni.

La domanda è tendenziosa. Perché? Perché proprio a causa del pagamento di questo tributo c’erano state tante sollevazioni. Basti pensare a quella famosa di Giuda il Galileo che si ribellò a questa tassa. Ebbene la domanda è una trappola, perché gli chiedono se è lecito o no pagare il tributo a Cesare, non dimentichiamo che siamo dentro l’area del tempio, e come Gesù risponde si danneggia.

La trappola, dunque, è ben congegnata perché qualunque risposta gli si ritorcerà contro. Se Gesù dice di “sì”, cioè se è favorevole al pagamento delle tasse, sarà accusato di infedeltà verso il Signore, l’unico che dev’essere servito (Dt 6,4-13). Se Gesù dice di “no”, cioè se non è favorevole al pagamento delle tasse, si mette contro i romani e quelli che si mettevano contro i romani facevano una veloce e sicura fine (At 5,37), come Giuda il Galileo.

Gesù sembra incastrato. Quindi Gesù come risponde si danneggia, sia che si dica favorevole, sia che si esprima contrario al pagamento di questo tributo. Se Gesù rimane a questo livello qualunque risposta è perdente.

In queste situazioni bisogna cambiare il livello della risposta. Ci avevano già provato con domande senza risposta: “Con quale autorità fai questo?”. Qualunque risposta era perdente. E Gesù infatti non rispose direttamente ma portò la questione su di un livello più profondo: “Vi farò anch’io una domanda e se voi mi rispondete, vi dirò…”. Ma la domanda che Gesù fa è uguale a quella che gli pongono: non ha risposta! Qualunque risposta infatti si ritorcerà contro di loro.

C’è una storia che spiega bene questo. Un omone va da un grande saggio, per metterlo in difficoltà, con un uccellino tra le sue grandi e possenti mani. E dice al saggio: “E’ vivo o è morto?”. Il saggio pensa tra sé: “Se dico che è vivo, lui con le grandi mani che ha, con un movimento impercettibile me lo uccide”. Ma se dico che è morto, lui apre la mano e l’uccellino vola via. “Allora saggio, è vivo o è morto?”. E il saggio: “Come vuoi tu!”.

Einstein: “Ogni soluzione di un problema si trova ad un livello diverso del problema”. Dice Assagioli: “Ogni problema ha sempre una soluzione, solo che è ad un livello più alto”. Ogni cosa ha una soluzione ma spesso non sullo stesso piano del problema.

Esempio: ad un uomo “non sta in tasca” che sua figlia, proprio sua figlia, non sia andata, al giorno d’oggi, all’università, lui che è professore universitario. E’ superabile il problema? Certo, se lui vuole che lei faccia quello che lui vuole allora no. Ma il problema è superabile, salendo di piano, come? Accettando! Dal piano materiale (fa quello che voglio io) a quello interiore (accetto anche se non è come io desidero).

Esempio: un uomo è terrorizzato dal futuro. Se rimane sul piano materiale (dieta, controllo su ogni pericolo, supersportivo per tenersi in forma, ecc), non c’è soluzione alla sua paura. Deve passare ad un livello superiore: la fede. La fiducia che la morte non è l’ultima parola della Vita. Se fa questo salto può vivere la vita senza terrore e non sulla difensiva.

E Gesù sale di livello: dal piano materiale al piano interiore.

18Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova?

  • PERCHE’ MI TENTATE?=Gesù li definisce come satana. Questa stessa parola la ritroviamo nelle tentazioni: Gesù definisce così Satana, come il Tentatore (Mt 4,3).

19Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro.

  • MOSTRATEMI LA MONETA DEL TRIBUTO=essi gli presentarono un denaro. Ma nel tempio era severamente proibito portare monete romane, perché per la legge espressa nel libro del Deuteronomio, nei comandamenti, si proibisce di fare di qualunque figura umana un Dio. Per questo nel tempio, il luogo più santo di Gerusalemme, era assolutamente proibito portare monete romane, che avevano delle effigi umane. Proprio per questo all’ingresso del tempio c’erano dei cambiavalute che cambiavano le monete romane con le monete permesse nel tempio.

La moneta che gli presentarono era un denaro d’argento, dove l’imperatore era raffigurato come un dio. Da una parte vi era la testa dell’imperatore con l’iscrizione “Tiberio Cesare, figlio del divino Augusto, Pontefice Massimo” e nel retro era raffigurata la madre di Tiberio, Livia, come dea della pace.

La moneta rappresentava il potere: dove arrivavano le monete lì arrivava il dominio dell’imperatore.

Gesù smaschera il vero interesse dei farisei: loro che sono così ossessionati dall’idea del puro e dell’impuro, che sono così meticolosi, così scrupolosi, quando però si tratta di denaro non vanno tanto per il sottile, tanto da trasgredire la regola che imponeva di non portare nessuna moneta romana.

Sono proprio loro che nel luogo più sacro portano delle monete romane considerate impure. Gesù li maschera: “Per i vostri interessi, però, tutto è possibile!!!”.

20Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?».

QUESTA IMMAGINE E L’ISCRIZIONE, DI CHI SONO?=sia l’immagine (testa dell’imperatore da una parte e madre dell’imperatore dall’altra) che la scritta (“Cesare figlio del divino Augusto, pontefice massimo”) sono, appartengono, rappresentano, il regno romano.

21Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». 22A queste parole rimasero meravigliati, lo lasciarono e se ne andarono.

  • GLI RISPOSERO: “DI CESARE!”=infatti sono coniate e rappresentano l’impero Romano.
  • RENDETE DUNQUE A CESARE QUELLO CHE E’ DI CESARE=Gesù non risponde se sia lecito o no!

Cosa vuol dire questa frase? Cosa dice Gesù? Se non volete la sua dominazione (e voi non la volete!) non dovete usare i suoi benefici, per cui questo denaro, visto che non è vostro, restituitelo a Cesare.

I farisei e tutti i giudei avrebbero voluto non restituire a Cesare quello che è di Cesare: avrebbero cioè voluto non pagare le tasse per l’imperatore, ma non potevano. E, invece, devono farlo. Sì, devono restituire all’imperatore quello che è dell’imperatore (le monete).

  • E A DIO QUELLO CHE E’ DI DIO=e usa il verbo “restituire” (apo-didomi), che non è il verbo “dare” (didomi) che loro hanno usato (Mt 22,17: “Pagare=dare (didomi) a Cesare”).

Cos’è che devono restituire a Dio e che è di Dio? Vi ricordate due domeniche fa? I vignaioli si erano impossessati della vigna del padrone (che era Dio), tanto da uccidere perfino suo figlio. Se la vigna è di Dio, se il popolo, la gente, è di Dio, nessuno se ne impossessi. Sì, riconsegnate innanzitutto a Cesare quello che è di Cesare. Ma soprattutto riconsegnate il popolo di Dio a Dio, visto che voi ve ne siete impossessati.

La questione più vera, per Gesù, è un’altra. Perché a Dio devono restituire quello di cui si sono impossessati (“e a Dio quello che è di Dio”): il popolo.

Non solo devono regolare i conti con l’imperatore ma anche con Dio. Si sono impadroniti del popolo, lo hanno condotto in schiavitù con regole false e lo tengono in mano con il pretesto della religione, annunciando un Dio che non è il vero Dio.

I ministri di Dio devono rendere conto a Dio di cosa ne hanno fatto di Lui. Perché ridurre Dio ai nostri pensieri o alla nostra testa, è una bestemmia. Gesù li guarda e dice: “Avete ridotto Dio ai vostri schemi e alle vostre regole. Ma Dio non è così”. E dovrete rendere conto.

E per assurdo, ma fu vero, fu Gesù stesso ad essere condannato di bestemmia (Mc 14,64).

22A queste parole rimasero meravigliati, lo lasciarono e se ne andarono.

  • SE NE ANDARONO=se ne vanno per tornare più avanti: infatti torneranno alla carica con uno di loro, un esperto, un dottore della legge (Mt 22,34-40).

Le due chiavi del racconto sono la domanda e la risposta di Gesù.

  1. La domanda: “Di chi è questa immagine?”. L’immagine richiama il costruttore e l’appartenenza.

L’immagine di Cesare ricorda che questa moneta è (viene) da Cesare: appartiene a lui. L’immagine fisica di somiglianza a tuo padre, a tua madre, ti ricorda che vieni da lì: appartieni a quella famiglia. L’immagine della razza ti ricorda da quale popolo appartieni: appartieni a questa cultura. Ma nella Bibbia si dice che tu sei fatto ad “immagine e somiglianza di Dio”: tu appartieni a Lui.

Questo è il grande dramma della vita: perdere, dimenticare, la nostra vera e più profonda appartenenza. Io appartengo a Lui: mio Padre è Dio e mia madre è la Vita.

Guardate vostra moglie/marito e ditele la verità: “Io non sono tuo!”. Stiamo insieme, c’è un progetto, una comunione, una condivisione, una creazione comune (figli) ma tu non sei mia e io non sono tuo.

Guardate i vostri figli e ascoltate la loro verità: “Io papà, io mamma, sono grato a voi per tutto ciò che mi date. Ma io non sono vostro, io non vi appartengo, io non vi devo niente”.

Guardate i vostri amici e ditegli: “Sono grato che ci siate nella mia esistenza. Ma io non sono vostro: non possedetemi perché non ne avete diritto e non lo permetterò; non dominatevi, non invadetemi, non pretendete, non abbiate rivendicazioni. Ciò che ci sarà, sarà un dono d’amore, gratuito, perché non vi devo niente e non mi dovete niente”.

Guardate la vostra religione: “Ti ringrazio per ciò che mi dai e per la possibilità di mettermi in contatto con l’Altissimo, ma lasciami libero. Non sono tuo: appartengo a qualcuno di molto più in alto di te”.

Fatelo con tutte le persone e le cose importanti della vita, dite loro: “Io non sono tuo”. All’inizio vi sentirete molto vuoti, ma poi vi sentirete tremendamente liberi.

Guardate Dio e ditegli: “Io sono tuo e di nessun altro”. Non dimenticare la tua origine; non dimenticare che sei figlio delle stelle, che l’universo è la tua casa, la luna tua sorella e il sole tuo fratello. Non dimenticare che nella tua parte più profonda tu porti l’immagine di Dio.

Ci hanno fatto chiudere gli occhi e ci hanno detto: “Vi dirò una parola e voi visualizzate la prima immagine che vi viene in mente. La parola è “tutto””. Ciò che avete visto è il vostro Dio. Fa’ che solo Dio sia Dio. Nessun altro! “Non avrai altro Dio all’infuori di me”: nessun altro!

Quando guardi tuo figlio di due mesi, cosa provi? Non percepisci da dove vieni? Non senti per cosa sei fatto? Come puoi dimenticarti qual è la tua vera essenza?

Una serata di stelle e guardi il cielo meraviglioso: non ti viene in mente da dove vieni? Non ti senti in comunione con tutte quelle luci? Non senti la nostalgia di casa? Non senti una nostalgia di cose grandi, immense? O sei morto dentro?

Il volto della tua amata: ti capita mai in certi giorni di vedere il sole? Ti succede mai di vedere la luce splendere negli occhi di chi ami? Ti succede mai di essere pieno, quasi gonfio di felicità e di sentire chiaramente per cosa sei fatto, da dove vieni, chi è tua madre vera (la Vita) e chi è tuo padre vero (l’Altissimo)?

Non dimenticarti mai chi sei: è la più grande tragedia che ti possa capitare.

Lo avevano scoperto per caso, ma nel podere che affittava e che coltivava da tempo c’era un tesoro. Erano monete d’oro e oggetti preziosi, affiorati il giorno che aveva deciso di arare in profondità. Si era affrettato a ricoprire il tutto e aveva chiesto al padrone di vendergli il podere. Vedendo la sua ansia, il padrone aveva accettato, ma gli aveva chiesto una somma altissima. Per mettere insieme i soldi necessari, l’uomo si cercò un secondo lavoro e poi un terzo. Cominciò a guadagnare, investì i guadagni, fondò un’impresa, allargò i traffici oltre i confini dello stato. Passò altro tempo. L’uomo investiva in borsa, trafficava, dirigeva e viaggiava. E si dimenticò completamente del tesoro nascosto nel campo.

La più grande tragedia che ci possa capitare è salire sul palco della vita, recitare la nostra parte, e dimenticarci la maschera addosso quando usciamo. Allora ci dimentichiamo chi siamo. Allora s-cordiamo (il cuore non lo sente più) il nostro vero volto e la nostra identità profonda: figli di Dio.

L’altro centro è la risposta: “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”.

Certamente a Gesù interessa la domanda politica: “Dai a Cesare=stato, quello che è di Cesare e dello stato. Tuo dovere è pagare le tasse e non puoi essere uomo di fede se evadi il fisco, se imbrogli la gente, se sfrutti i tuoi dipendenti, se tu accumuli mentre altri muoiono di fame, se crei lobby di potere.

Ma per Gesù è essenziale un’altra verità: rendi onore/valore ad ogni cosa. Il verbo utilizzato non è didomi, dare, ma apo-didomi, restituire=rendere a qualcuno qualcosa che è suo, che gli spetta, che gli è dovuto. C’è qualcosa che ci viene dato, che non è nostro e che noi dobbiamo restituire.

Allora sarebbe come se noi dicessimo: “Rendete a Cesare, a Dio, ma ad ogni cosa e ad ogni persona, ciò che è suo, cioè il suo valore e la sua importanza. Sappiate riconoscere il valore di ogni cosa.

Cosa ci dà Dio? La vita! Più gli scienziati studiano l’uomo e più dicono: “Siamo un miracolo!”.

Dio mi dona la cosa più grande: “La vita, io sono vivo!”. Per molte persone è così scontato che non sanno che farsene di questa vita che hanno a disposizione e continuano a lamentarsi di questo e di quello.

Ma io riconosco e onoro questo dono gratuito che mi hai fatto: “Io vivo; tu mi hai dato quest’opportunità: la vivrò, non la sprecherò e ti ringrazio Dio per esserci. La vita non mi è dovuta, è un dono”. Cosa dovrò restituirgli? La vita! Verrà un giorno in cui riconsegnerò nelle sue mani questa mia esistenza.

Nelle auto c’è la ruota di scorta, nei videogames finita una partita se ne fa un’altra e nel campionato di calcio l’anno successivo ne riparte un altro. Ma finita questa mia vita non ce n’è un’altra. Allora la voglio vivere con intensità, pienamente. C’è solo una vita per amare, provare, sentire, realizzare la propria missione e ciò che si è. Quello che non fate oggi non lo farete mai più.

Non voglio che la paura di sbagliare, di quello che dicono gli altri, del giudizio, dell’essere diverso, dell’autorità, di fallire, mi impedisca di vivere.

Voglio sentire l’odore del fieno, della pelle di chi amo, il gusto della pizza e il sapore del cioccolato; voglio correre, rotolarmi sull’erba, ridere a crepapelle, giocare, accarezzare e abbracciare; voglio piangere quando sto male, sentire il dolore della gente e commuovermi di gioia; voglio inseguire un sogno, lottare per un mondo migliore e lasciare il mondo migliore.

Allora te la restituirò da vivo questa mia vita e quando morirò sarò ancora in vita, vivo. Mi hai consegnato la vita e ti riconsegnerò la vita, e non la morte di chi si è spento prima. Molte persone vivono con paura, come se dicessero: “Meglio non osare troppo, perché si può morire!”. No, non è che si può morire, si muore di certo.

C’è un ladro che punta la pistola ad una donna e gli dice: “La borsa o la vita?”. E la donna: “Meglio la vita perché nella borsa ho i soldi che mi servono per vivere!”. Che illusione!

“Mi piace la gente che sa ascoltare il vento sulla propria pelle, sentire gli odori delle cose, catturare l’anima. Quelli che hanno la carne a contatto con la carne del mondo. Perché lì c’è verità, lì c’è dolcezza, lì c’è sensibilità, lì c’è ancora amore” (Alda Merini).

Io voglio rendere, restituire, ad ogni cosa il suo valore, la sua importanza, ciò che gli spetta.

Riconosco il valore di mia madre e di mio padre. Erano quelli che erano, ma mi hanno messo al mondo, ed è proprio un dono, una grande fortuna esserci. Come hanno potuto mi hanno amato, educato; hanno speso per me tempo, soldi, ore, notti e anche la vita. Io non sono mia madre, e non devo esserle succube, ma le riconosco tutto questo. “Grazie”.

Riconosco il valore di mia moglie e di mio marito. Non sono perfetti: neanch’io! Stanno con me: a volte mi ascoltano e mi capiscono, a volte no. Ma mi permettono di condividere l’amore, un progetto, i miei giorni, il mio cuore e il mio corpo. “Ti ringrazio perché sei nella mia vita e nella mia strada”. La gente impreca e si lamenta quando le cose finiscono, ma spesso non sa ringraziare e viverle quando ci sono. Non mi sei dovuta, non mi appartieni, non sei mia.

Riconosco il valore dei miei figli: sono un dono. Ringrazio Dio per questo dono. Non sono miei e non mi sono dovuti. Godo, li assaporo e non mi attacco a loro.

Riconosco il valore di chi mi ama, di chi mi telefona, mi sorride, di chi mi stira, mi fa il letto, di chi ha stima di me, mi incoraggia, mi dà una pacca sulla spalla, di chi crede in me. Io non sono in debito con loro, ma riconosco e rendo onore a tutto ciò. Mi vien da dire a tutte queste persone: “Grazie. Lo sento che mi volete bene”.

Riconosco il valore delle persone, di chi soffre, di chi mantiene la dignità della propria persona di fronte agli attacchi e al disprezzo; di chi vive nella ricerca di qualcosa di più grande, di chi non si accontenta.

Una donna: “Padre, ho un tumore, ma la vita è bella lo stesso”. Di fronte a tutto questo, io mi inginocchio e riconosco quanto bene mi facciano queste parole.

A delle suore cristiane in Iraq era stato ordinato di andarsene. Loro hanno risposto: “Noi rimarremo qui con i nostri bambini”. “Ma rischiate grosso, è pericoloso!”. Hanno risposto: “Una vita d’amore è più importante di una vita di tanti anni”. Ringrazio e onoro chi vive così.

Ad un magistrato, la criminalità ha mandato una lettera: “Ti faremo a pezzi, te e la tua famiglia”. I suoi amici: “Vattene!”. E lui: “Potrebbe succedere. Ma che uomo sarei se cedessi alla paura?”.

E’ venuto un mendicante e mi ha detto: “Io non voglio soldi, voglio fare un lavoro per lei e poi lei mi pagherà”. Ma io ero preso dalla fretta e gli ho dato 10 euro e lui mi ha detto: “Glieli dia al prossimo, grazie!; io voglio solo soldi guadagnati”, e non li ha presi. Riconosco la dignità di quest’uomo.

Riconosco il vento, l’acqua, l’erba, il cielo azzurro e limpido di alcune mattine, le stelle perché riempiono di eternità e di pienezza la mia anima: “Vi ringrazio, perché non mi chiedete niente in cambio”.

Camposcuola guardando il cielo stellato: “Ma tutto questo, Dio, per chi lo ha fatto?”. Uno vicino: “Per te”.

Si dice che un giorno S. Francesco stava guardando i fiori, la terra, gli animaletti che vi vivevano, gli uccelli del cielo e i loro voli, il vento che lo accarezzava, i rumori che sentiva in lontananza. Ogni cosa guardava con grande attenzione fino a riempirsi di quella cosa. Ad un certo punto aprì le braccia e guardando tutte queste cose disse: “Padre nostro”.

 

 

Pensiero della Settimana

 

Le persone insoddisfatte le riconosci subito:

sono quelle che non sanno dire grazie.