Tutto ciò che è grande un giorno fu piccolo

XVIII domenica del tempo ordinario

2 agosto 2020

 

  • Prima lettura: Is 55, 1-3
  • Salmo: 144
  • Seconda lettura: Rm 8, 35. 37-39
  • Vangelo: Mt 14, 13-21

 

Domenica scorsa Gesù aveva raccontato le tre parabole del tesoro, della perla e della rete (13,44-52). Terminate le parabole, Gesù se ne torna a Nazaret, nella sinagoga (13,53-58). Ma ciò che è incredibile è che mentre le folle lo ascoltano volentieri e alcuni anche accolgono il suo messaggio, nella sinagoga, i pii, i devoti, i religiosi, lo rifiuteranno: “Da dove gli viene questa sapienza? Non è il figlio del carpentiere? Sua madre la conosciamo e anche i suoi fratelli e le sue sorelle: ma chi si crede di essere?” (13,54-56).

Gesù si rende conto di come il culto, quando diventa un rito vuoto, una semplice ripetizione di gesti, renda le persone refrattarie, chiuse e insensibili. Così Gesù, da questo momento, non metterà più piede in una sinagoga. Se il culto, le preghiere, i riti, diventano vuoti, senza vita, senza mettere in contatto l’uomo con Dio, allora sono inutili. Allora sono “sepolcri imbiancati: essi all’esterno sono belli a vedersi, ma dentro sono pieni di morte” (23,27).

Gesù però non si scoraggia e non ha tempo per amareggiarsi: se lì lo rifiutano, altrove lo accolgono. Se da una parte non ti accolgono, non farne una questione personale: vai altrove. E così Gesù fa.

Ma c’è un altro pericolo all’orizzonte: Erode. Erode Antipa, uno dei figli di Erode il Grande, appena sedicenne, alla morte del padre ereditò un quarto del suo regno (tetrarchia): la Galilea e la Perea. Gli storici del tempo lo trattano come un emerito cretino che doveva il potere solo al fatto che era figlio di erode il Grande. E fu una donna (ambito a cui era molto sensibile!) a rovinarlo: Erodiade. Infatti verrà deposto ed esiliato.

Erode Antipa pensa che Gesù sia Giovanni Battista resuscitato. Il Battista lo aveva accusato pubblicamente di essersi preso per consorte Erodiade, la moglie di suo fratello, in violazione della Legge (Lv 20,21: “Se uno prende la moglie di suo fratello, è una impurità”). Erode aveva già eliminato il Battista per risolversi il problema (la famosa danza della figlia di Erodiade 14,6-12), decapitandolo.

“Ma adesso c’è Gesù? E’ ritornato in vita il Battista?” Erode pensa questo (14,1-2). Se Erode vede in Gesù il Battista, da una parte comprendiamo il suo senso di colpa: sa di aver fatto il male.

Dall’altra, una regola per ogni tempo: i potenti non si pentono mai. Era venuto il Battista, adesso viene Gesù, ma Erode non cambia. Un potente, se si convertisse, dovrebbe rivoluzionare la propria vita: ma può davvero farlo? Non ha troppo da perdere? Per questo è meglio non essere potenti, perché quando si ha troppo da perdere si è ingabbiati e imprigionati.

Il Battista muore e i suoi discepoli vanno subito ad avvertire Gesù (14,12): “Stai attento, tu sei il prossimo”. Appena Gesù sente questo, scappa nel deserto (14,13). Fuggire a volte è un segno di grande saggezza. Di fronte ad un leone o ad una tigre, meglio darsela a gambe. Gesù poi ad un certo punto capirà che non potrà fuggire sempre e affronterà apertamente il suo destino (Lc 9,51).

In natura ci sono tre comportamenti fondamentali: l’attacco, il mimetismo e la fuga. Fuggire a volte è molto sano e molto saggio. Henri Laborit ha scritto un libro dal titolo Elogio alla fuga. Di fronte ad una tempesta è saggio fuggire. Quando poi si sarà placata, si potrà tornare a ripercorrere quella direzione.

Gesù scappa ma la gente lo segue (14,13): il vangelo di oggi. La gente lo segue nel deserto, affrontando disagi e difficoltà. Gesù dona la libertà e le persone lo seguono dovunque. Non si può non seguire chi ti ridona il comando della tua vita!

Prima della moltiplicazione (14,19) Gesù ordina che la folla sia seduta: sembra un gesto come tanti ma non è così. Erano solo i signori, durante i banchetti, che mangiavano sdraiati su di un fianco. Con questo gesto Gesù rende ogni persona “signore” della propria vita, libera, come anche Lui lo è.

Gesù li vede (14,14) e ne ha compassione. Così guarisce i loro malati (14,14). Mt usa i verbi splanchnizomai (avere viscere di madre) per compassione e therapeuo per guarire: è quando vedi una sofferenza, sei toccato, e fai tutto ciò che puoi per toglierla.

Non a caso sono qui esattamente prima della moltiplicazione dei pani: l’eucarestia è un essere toccati dentro, commossi, quel tocco che ti cambia, che ti fa diverso, che ti impedisce di essere come prima perché ti tocca il cuore e l’anima; l’eucarestia è guarire, diventare più sani, nuovi e diversi.

Ma è sera e c’è un problema: dove va a mangiare tutta questa gente (14,15)? Gesù dice ai discepoli una frase ambigua: “Date voi stessi da mangiare” (14,16). Da una parte vuol dire che devono essere gli apostoli a sfamare tutta quella gente; dall’altra vuol dire che l’unico vero dono nella vita è dare se stessi.

Puoi darmi le tue cose, i tuoi soldi, i tuoi servizi, ma l’unico vero dono è dare se stessi: il proprio amore, la propria disponibilità, la propria generosità, l’esserci, la presenza. Ci sono persone che ti danno di tutto, ma loro rimangono sempre lontane, distaccate: non si danno. Sarà quello che Gesù farà nell’Ultima Cena quando donerà se stesso (26,26-29).

Fare della propria vita un dono per il mondo dà senso alla vita di un uomo; la rende utile, significativa e plasma le energie profonde per affrontare ciò che è duro o ostile. Una vita non donata, trattenuta, è una vita sprecata.

Il vangelo annota una serie di numeri.

Sette (14,17): cinque pani più due pesci. Sette indica una totalità e anche i sette sacramenti: ciò che sembra poco, se messo assieme, diventa sufficiente per tutti. Il poco, se è condiviso, diventa tanto.

Dodici (14,20): il paragone alle Dodici tribù di Israele è evidente (Gen 49,28). Il nuovo popolo dev’essere fondato sulla condivisione e non sull’accaparramento.

Cinquemila (14,21): è solo Mt che osserva che erano cinquemila esclusi donne e bambini. Ma dov’era che non erano contati donne e bambini? Nella sinagoga! Il nuovo culto, fa capire Mt, è il condividere (e condividendo si moltiplica!) ciò che si ha. Questo Dio vuole.

Cos’è successo quel giorno durante la moltiplicazione, allora? Per capire dobbiamo considerare alcune cose.

  1. Nell’A.T. altre volte un profeta aveva nutrito un gran numero di persone. Molto simile a quest’episodio è la distribuzione di cibo di Eliseo (2 Re) che ricalca pari pari il miracolo di Gesù. Eliseo ordina al suo servo di dare da mangiare a cento persone con venti pani d’orzo e di farro. Ma il servo obietta: “Ma com’è possibile sfamare tutta questa gente?”. Eliseo gli comanda di darlo alla gente. Il servo lo fa e non solo la gente ne è sfamata ma anche se ne avanza.

Allora il miracolo di Gesù avrebbe un senso molto profondo: se Gesù con cinque pani e due pesci sfama cinquemila uomini, allora Gesù è ben più che Eliseo.

  1. Le parole del vangelo “prese i pani, e dopo aver reso grazie, li distribuì” (14,19) non potevano non fare pensare ai primi cristiani le parole che ogni domenica sentivano durante la celebrazione dell’eucarestia. Come tutti sono stati sfamati in quel giorno, così Gesù nell’eucarestia si dà a tutti in abbondanza.
  1. Gesù spesso banchettava e altrettanto spesso se ne parla nei vangeli. Meravigliose parabole ruotano attorno a questo tema e a tavola, durante i pranzi, avvengono incontri e situazioni molto importanti. Una delle accuse fatte a Gesù era proprio che lui non si comportava come gli altri profeti che digiunavano, vedi Giovanni Battista, ma che lui mangiava, beveva e faceva festa.

E’ probabile allora che uno di questi pasti sia stato memorabile per il numero di partecipanti e per il luogo dove si era svolto (il lago di Galilea) e che sia stato letto dai primi cristiani, dopo la morte di Gesù, sotto il filtro dell’ultima cena e della celebrazione domenicale dell’eucarestia.

Cosa accadde in questo pasto è difficile da stabilire: forse, come sostengono alcuni studiosi, Gesù e i suoi discepoli hanno cominciato a spartire il cibo di cui disponevano inducendo il resto della folla a fare altrettanto cosicché tutti ne mangiarono e ne avanzarono. D’altronde è difficile pensare che a quel tempo le persone si muovessero per distanza rilevanti senza pensare di portarsi dietro qualcosa da mangiare.

Quindi, il miracolo non è mai accaduto come noi ce lo immaginiamo e di fronte al quale diciamo stupiti: “Ma che bravo Gesù!”. Se non che dire subito dopo arrabbiati: “Ma perché, allora, se è così bravo, non ripete ogni giorno il miracolo e sfama tutte le persone del mondo? Perché solo quelli? Se può farlo, perché non lo fa? Perché non lo ha più ripetuto?”.

Cosa può dire a noi questo vangelo? 1. Tutto inizia da poco. Fidati di te e della Vita.

Frere Roger di Taizè iniziò il suo percorso seguendo un’intuizione semplice: vivere Cristo nella comunione e nella condivisione con altre persone. All’inizio con 2-3 amici, ospitava qualche fuggiasco ebreo e si nutrivano di minestre di ortiche. Chi l’avrebbe detto? Oggi Taizè è visitata da milioni di persone ogni anno.

Madre Teresa iniziò da sola seguendo la sua intuizione: era stanca di servire le nobili inglesi, lei voleva portare il suo amore a chi ne aveva realmente bisogno. Iniziò da sola. Chi l’avrebbe detto?

Lech Walesa seguì la sua intuizione per un lavoro più giusto nella sua fabbrica nei cantieri di Danzica. Chi l’avrebbe mai detto che da quell’episodio la Polonia si sarebbe affrancata dal comunismo?

Tutto inizia da poco. Tutto ciò che è grande, un giorno fu piccolo.

Vi immaginate la scena? Gesù che dice a Filippo: “Come possiamo sfamarli?” (Gv 6,5). E Filippo che lo guarda perplesso e allibito: “Ma sei pazzo? Ma sai quanti soldi ci vorrebbero? Ma dove vuoi che li tiriamo fuori?”. E Gesù: “Abbiamo cinque pani e due pesci!”. “Ma cos’è questo rispetto a cinquemila persona?”.

Non vi succede mai? Non vi succede mai di farvi paralizzare da ciò che dovreste fare?

Un ragazzo è stanco della sua vita e vuole “darle un giro”. Deve lasciare il lavoro sicuro, vuole riscriversi all’università, vuole uscire di casa e cambiare paese. Ma gli sembra impossibile: è troppo il tutto.

Se tu guardi a ciò che hai davanti ti scoraggi, ti perdi d’animo e non vai da nessuna parte. Così ha lasciato il lavoro; dopo sei mesi è uscito di casa e si è iscritto all’università. Tutto inizia da poco.

Una giovane donna depressa (trent’anni) assumeva regolarmente farmaci. Secondo il suo psichiatra avrebbe dovuto adattarsi a questa realtà inevitabile per il resto dei suoi anni. Ma lei un poco alla volta ha iniziato ad andare in terapia, si è fatta aiutare, ha operato qualche piccolo cambiamento e poi qualche altro; giorno dopo giorno ha ridotto i farmaci e adesso sta perfettamente bene. Chi l’avrebbe detto? Eppure! Oggi è una donna sana e felice. Certo di fronte alla sua situazione avrebbe potuto dire: “Lo dice anche lo psichiatra, è impossibile, è troppo difficile, troppo da affrontare!”.

Il dramma è che noi guardiamo sempre a ciò che c’è e non a ciò che possiamo diventare. Hai una cesta piena di semi: ma come pretendi che mi sfami con questi semi? Vero, oggi no. Ma se li semini, vedrai cos’accadrà. Guarda a te non solo per ciò che sei ma per ciò che puoi diventare. La realtà non è solo ciò che sei ma ciò che puoi essere, così come la realtà di un seme è anche la pianta.

  1. Più si condivide e più le cose si moltiplicano (è il senso della moltiplicazione).

Cosa dev’essere accaduto? Gesù deve aver iniziato a spartire con i suoi discepoli quello che avevano, inducendo così la folla (soprattutto i ricchi) a fare altrettanto. Più si mette insieme e più i miracoli s’avverano. Se ognuno fa la sua parte, l’impossibile diventa possibile.

Pensate cosa succede quando si fanno le maratone di Telethon o quando si sono raccolti fondi per lo tsunami. Un euro a testa e si sono raccolti milioni di euro.

Pensate a cosa succede quando tra amici ci si accorda che ciascuno porti qualcosa da mangiare: ce n’è sempre per tutti e se ne avanza sempre.

In Ecuador, come in tante altre parti del mondo, si collabora insieme per costruire le case. E’ la “Minga”. Uno deve farsi una casa? Tutti lavorano i fine settimana per lui. In poco tempo la casa si costruisce e poi si aiuta un altro. E così per tutti i beni della comunità.

In un quartiere c’era il problema delle baby-sitter. Così c’erano quindici bambini e quindici baby-sitter. Ma qualche mamma illuminata ha detto: “Perché non ce li teniamo a turno noi i nostri figli, senza pagare!?”. Così ognuna di loro si è impegnata in un giorno libero dove teneva i bambini degli altri. Un’idea semplice, ma geniale, economica ed educativa.

Pensate che risorse ci sono nelle nostre comunità. C’è chi ha capacità organizzative; c’è chi ha spazi a disposizione; c’è chi sa lavorare i campi e chi sa lavorare con il computer. Cosa potrebbe accadere se mettessimo a disposizione degli altri le nostre risorse, ciò che sappiamo fare?

Mentre la società tende a dividerci sempre più, a privatizzarci, a singolarizzarci, perché divisi (soli uguale a senza potere), noi abbiamo bisogno di metterci insieme, di aiutarci, di condividere, di offrire ciascuno ciò che può offrire.

C’è una storia africana che dice che un vecchio morente chiama la famiglia al suo capezzale. Dà un bastone corto e robusto ai numerosi figli, mogli e parenti. “Rompete il bastone”, dice loro. E con un po’ di fatica tutti riescono a spezzarlo a metà. “Ecco come vanno le cose quando un’anima è sola, senza nessuno. E’ facile spezzarla”, dice il vecchio. Poi il vecchio dà un altro bastone a tutti i famigliari: “Ecco come vorrei che viveste dopo la mia dipartita. Riunite insieme tutti i bastoni e ora spezzate a metà il fascio”. Tutti ci provano e nessuno riesce a spezzare il fascio di bastoni. Siamo forti quando siamo uniti. Quando siamo uniti possiamo compiere l’impossibile.

Se condividiamo le nostre risorse, se le mettiamo in circolo, possiamo compiere miracoli. La condivisione di idee genera moltiplicazione di soluzioni. La condivisione dei sentimenti genera la moltiplicazione della pace. La condivisione delle nostre capacità genera la moltiplicazione delle iniziative.

Quante volte si sente dire: “Se non lo fanno gli altri, io non lo faccio”. Bravo! Dove vuoi che andiamo se tutti ragionano così?

Quante volte si sente dire: “Chi fa da sé fa per tre”. Oppure: “Tutti pensano a sé”. Oppure: “Che lo facciano gli altri!”. Oppure: “Io non rischio per gli altri!”.

Non è meraviglioso il gesto di quel ragazzo: “Io ho questo. Può servire?”. “Io so fare questo, come posso essere utile?”. Metti a disposizione ciò che sei.

C’è un’altra storia che racconta di come sei persone si trovarono in una notte gelida su di un’isola. Ciascuno aveva raccolto un po’ di legna. Al centro c’era un piccolo fuoco e ciascuno si teneva ben stretta la legna per sé. Una donna si accorse di un immigrato e pensò: “Io la mia legna non la condivido con uno scansafatiche”. Un uomo vide uno di un altro partito e disse: “Io non condivido la mia legna con il mio nemico”. Un altro uomo, forse un barbone da com’era vestito, era seduto vicino ad uno ricco: “Io non condivido quel poco che ho con questo uomo che ha tutto”. Il ricco teneva per sé la legna perché lui a casa aveva un sacco di cose a cui tornare. L’immigrato non la condivideva con tutti quei bianchi che lo disprezzavano. L’uomo del partito avversario pensava: “Io do solo a chi mi dà”. E così la mattina seguente li trovarono morti di freddo, ciascuno stringendo la propria legna.

  1. Prendo quello che sono e ringrazio. Se accetto ciò che sono tutto si trasforma.

Le parole centrali di questo vangelo: “prese i pani, rese grazie e li distribuì”, le sentiamo ogni domenica. Ogni domenica in chiesa, prendo non solo il pane, ma anche la mia vita e ringrazio.

Spesso guardiamo alla nostra vita e diciamo: “Beh, tutto qui” (cinque pani e due pesci). Ma cosa succede se accetti quello che sei e inizi a benedirlo? A valorizzarlo? A ringraziare? A metterlo a frutto? Valorizza e ama ciò che sei.

Og Mandino, un grande scrittore americano, aveva un grande sogno: diventare scrittore. Ma, con pochi soldi e soprattutto con poca fiducia, abbandonò il suo sogno. D’altronde: “Io non sono nessuno”, si diceva spesso. Un giorno andò a comprarsi una pistola per uccidersi. Per fortuna che una voce dentro di sé, prima di farlo, gli sussurrò: “Perché non ti dai un’altra possibilità?”.

Lisa Bourbeau aveva il medesimo sogno. Quando ne parlò con gli insegnanti gli dissero: “Tu? Ma figuriamoci! Una scrittrice, tu? Con tutti gli errori di ortografia che fai? Ma dove vivi?”.

I discepoli non credevano nelle loro possibilità: di fronte a quella situazione e alla proposta di Gesù si saranno messi a ridere oppure avranno detto: “Ma dai, Gesù, non scherziamo!”.

Quante volte ci capita di non accettarci, di vederci con cinque pani e due pesci di fronte a cinquemila uomini. Allora iniziamo a dire: “Io non ho il suo talento; io non ho la sua forza; io non ho la sua volontà; io non ho la sua simpatia; io non ho la sua cultura; io non ho la sua esperienza; io non ho la sua fantasia; io non ho il suo dinamismo; io non ho le sue qualità…”. Oppure iniziamo a guardare cos’hanno gli altri e noi no. Ma il vero vincente non è colui che guarda gli altri, ma colui che guarda sé.

Allora: ogni volta che vengo in chiesa all’eucarestia Gesù trasforma il pane nel suo Corpo. Il pane è ben poca cosa, eppure diventa il suo Corpo. Ma Gesù vuole soprattutto trasformare me. E se gli credo, quel che sono è davvero tanto.

 

Pensiero della Settimana

Comincia col fare ciò che è necessario e poi ciò che è possibile.

E un giorno ti sorprenderai a fare l’impossibile.