Tutto cresce o finisce

XVI domenica del tempo ordinario

19 luglio 2020

 

  • Prima lettura: Sap 12, 13. 16-19
  • Salmo: 85
  • Seconda lettura: Rm 8, 26-27
  • Vangelo: Mt 13, 24-43

 

Il vangelo di oggi ci propone tre parabole. Tutte e tre hanno in comune qualcosa che cresce. E’ la legge della vita: tutto cresce verso l’altro o cresce verso il basso (cioè muore). Non ci si può fermare: o si diventa di più o si diventa di meno.

Pensate ad un rapporto di coppia: non lo si può fotografare, cristallizzare, bloccare. O diventa più grande, più profondo o, inevitabilmente, si fossilizza. Pensate alla fede: o cresce o si paralizza e s’inaridisce. Pensate all’amore: o aumenta o diminuisce.

Ma queste tre parabole indicano anche un’altra cosa: tutto avviene con pazienza. I tempi non si possono affrettare. Non si può tirare un fiore per allungarlo; né il collo ad un bambino per farlo diventare grande. Tutto ciò che è grande un tempo fu piccolo; le cose hanno bisogno del loro tempo.

La parabola della zizzania dice: “Nessuno è più degli altri” (Mt 13,24-30). La parabola del granello di senapa: “Non cercate il grande risultato” (Mt 13,31-32). La parabola del lievito: “Non dite “impossibile” ciò che non sapete” (Mt 13,33).

Gesù propone ai suoi discepoli tre parabole che riguardano tre grandi tentazioni della prima comunità: la tentazione di essere una comunità di eletti (“io sono più di te”); la tentazione del miracolismo (“non puoi non amarmi”) e la tentazione dello scoraggiamento (“non ce la faccio; è difficile”).

Come vedete il vangelo è molto attuale in ogni tempo perché sono le tentazioni che ognuno di noi vive.

13, 24-30 “Gesù espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”

 La zizzania è il lolium temulentum, una graminacea, molto simile al frumento, impossibile da distinguere finché non arriva la mietitura quando la differenza è chiara, i cui grani nerastri sono tossici e hanno un effetto narcotizzante.

 I rischi quindi sono due: uno di togliere anche il grano con la zizzania; due, poiché le radici si intrecciano, di sradicare con la zizzania anche il grano. Tra l’altro dobbiamo dire che il lolium non era veramente inutile: perché veniva bruciato e in una regione come la Palestina povera di boschi, anch’esso era molto utile.

 Il messaggio è chiaro: “Dobbiamo tenere l’uno e l’altro”; “Non sta a te decidere cosa è bene e cosa è male”.

Cosa succedeva? Succedeva che Gesù predicava e guariva (cfr parabola del seminatore; la semina=la sua predicazione; Mt 13,9). Naturalmente alcuni aderivano al suo messaggio, altri, terra-pietra, terra-strada, terra-spine, no.

Allora i discepoli, che sono cresciuti nel loro tempo, vogliono fare come Mosè e come tutti facevano a quel tempo: “I cattivi eliminiamoli! Noi siamo buoni, noi abbiamo Dio, noi siamo gli eletti e gli altri li distruggiamo”. Per questo vogliono estirpare “la zizzania”.

Per Gesù, invece, non esistono quelli da eliminare ma solo quelli da recuperare: prostitute, pubblicani, lebbrosi, eretici, considerati zizzania dagli scribi e dai farisei. I giusti lottano per escludere.

Mentre i farisei e gli scribi sono preoccupati che qualche impuro si intrufoli nella loro purezza, Gesù è preoccupato che qualche uomo non entri al pranzo del suo regno. I buoni lottano per includere.

Cosa aveva fatto il Signor Mosè? Per estirpare la zizzania Mosè non si era fatto tanti problemi. E’ vero che nei Dieci Comandamenti consegnati da Dio proprio a Mosè c’era scritto: “Tu non ucciderai” (lett.). Ma cos’aveva fatto Mosè, per estirpare il male e i nemici? Non aveva proprio Mosè ucciso un egiziano perché percuoteva un altro ebreo (Es 2,12)? Ma questo è niente.

Quando gli ebrei con Aronne si fecero il vitello d’oro, Mosè disse: “Chi sta con il Signore, venga da me!”. E i figli di Levi andarono con lui. E per gli altri, Mosè disse ai figli di Levi: “Ciascuno di voi tenga la spada al fianco. Passate e ripassate nell’accampamento da una porta all’altra: uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio parente!” (Es 32,25-29). E con la benedizione di Dio vengono uccisi 3000 uomini. Chi era “cattivo” veniva eliminato. Chi non è con noi, chi è “zizzania”, chi fa il male, sia eliminato.

E quando Core e Datan si ribelleranno ai metodi dispotici di Mosè, che fece il grande profeta? Invocò Dio e morirono 250 uomini (Nm 16,33). Ma niente in confronto ai 14.700 per un’offesa a Mosé (Nm 17,14) o ai 24.000 che morirono in un solo giorno per la tresca degli Ebrei con le Moabite (Nm25,1-9). E il signor Mosè fece lapidare un uomo che raccoglieva legna in giorno di sabato (Nm 15,32-36).

Quante volte noi viviamo questa parabola! Nella versione positiva: “Io sono più di te” per cui posso criticare, denigrare e, anche se anch’io ho qualche peccato, di certo io non sono come te!!!

Oppure la viviamo nella versione: “Tu sei più di me”, per cui io non valgo niente e sono un nulla. Ma sentirsi più degli altri o sentirsi meno degli altri, in ogni caso vuol dire confrontarsi. Poi nel confronto si esce vincenti o perdenti ma in ogni caso ci si confronta.

La dinamica profonda è: “Guardo gli altri per vedere se sono meglio o peggio”, che vuol dire: “Io non ho valore: il mio valore dipende dagli altri, a seconda che sono sotto o sopra. Non dipende da me, ma dalla mia posizione”. Si è sempre in gara e sempre in competizione.

Nelle relazioni con le persone questo diventa il possesso: “Ci sono solo io: io sono più di tutti”. Avete presente i bambini: al bambino non interessa se la mamma è stanca, se la mamma è preoccupata o non ha dormito tutta la notte: quando lui ha fame, ha fame, piange e vuole il latte. Lui vede solo sé. E’ l’amore narcisistico: ci sono solo io. Gli altri qui non esistono.

C’è una donna che non sopporta che un uomo faccia dei complimenti ad altre donne e non a lei: prova un odio e una gelosia terribile dentro. Lei vorrebbe essere l’unica.

Ci sono due campeggiatori in Canada. Ad un certo punto si trovano davanti un orso. Allora uno dei due si mette le scarpe e l’altro gli dice: “Perché ti metti le scarpe? Non puoi correre più veloce di un orso”. Allora l’altro gli risponde: “E chi ha bisogno di correre più veloce dell’orso? Mi basta soltanto correre più veloce di te”.

Vi ricordate Biancaneve? Quando la strega dice allo specchio: “Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?”. “O mia regina, tu sei bella, ma in mia fe’, al di là dei monti e dei piani presso i Sette Nani, Biancaneve è più bella di te”. Cosa fa la regina? La vuole uccidere.

Non ci capita di odiare certe persone perché hanno cose o persone che noi non abbiamo? E cosa succede se un nostro amico ama di più un’altra persona che noi? Ma ci toglie qualcosa? No. Ma noi vogliamo essere i primi, i preferiti, gli unici. E così o diventiamo invidiosi o gli rinfacciamo che lui non ci vuole bene.

Soluzione: io sono io e tu sei tu. Io non sono come nessun altro e tu neppure.

Quando morì l’anziano rabbino, il giovane prese il suo posto. Dopo un po’ di tempo gli dissero: “Non assomigli in niente a tuo padre”. E lui: “No, gli assomiglio invece in tutto. Lui non copiava nessuno e io neanche”.

Quando qualcuno ti dice: “Oh ma tu sei proprio strano eh, sei diverso da tutti gli altri”, tu ti senti in colpa, sbagliato. Ma invece dovresti essere contento: “Sì, è vero, è questo che voglio, non sono come nessun altro”.

31-32 Espose loro un’altra parabola, dicendo: “Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami”

La seconda parabola, l’esempio della senape, va capito nel mondo ebraico. Infatti gli ebrei avevano l’immagine del loro regno come di un grande cedro. Il cedro per le sue notevoli dimensioni era l’emblema della grandezza, della nobiltà, della forza, dell’immortalità. Per questo il regno veniva visto come un cedro inamovibile, meraviglioso, piantato su di un alto monte, così che tutti potevano vedere.

Gesù, invece, con l’immagine della senape, prende le distanze da quest’idea del popolo (Ez 17,19-24). Il regno non è come il grande e meraviglioso cedro ma come un chicco di senape che viene gettato: è cioè, qualcosa di microscopico, di piccolo piccolo.

Ma una volta cresciuto è più grande delle “altre piante dell’orto” (notate il particolare: “dell’orto!”). Non è una pianta che viene cresciuta nell’alto monte ma nell’orto di casa. Anche se l’arbusto raggiunge i tre metri, comunque non sarà mai un cedro.

Allora qual è la sottolineatura di Gesù? E’ la differenza tra il cedro e la senape. Il cedro è grandioso, potente, meraviglioso, grande; un cedro che cade fa rumore. Ma la senape, invece, è qualcosa di piccolo, di ordinario, che cresce e vive in casa, che si sviluppa nell’ordinarietà, nel silenzio, nella quotidianità della vita, che non attira l’attenzione con eventi grandiosi, miracoli o prodigi. Ma la sottolineatura di Gesù è che il regno di Dio nel suo massimo sviluppo non attirerà l’attenzione con eventi grandiosi, miracoli, prodigi o chissà quale “cosa fantastica” ma è qualcosa di piccolo e ordinario.

Quante volte anche noi pensiamo che se solo saremo un cedro (=belli, bravi, buoni, ecc.) allora meriteremo l’amore (il regno). Ma basta essere quello che si è (la senape) per essere amati. Perché l’amore non si merita.

Quante volte, senza accorgersi, le persone vivono dicendo: “Guarda ciò che faccio; guarda chi sono!”. Poiché io sono così bravo, così bello, così potente, così ricco, così simpatico, così figo… che non puoi non amarmi”.

La dinamica che c’è sotto, che abbiamo imparato è: “L’amore si merita”. Cioè: per essere amati bisogna fare qualcosa, bisogna esibire dei trofei (bellezza, soldi, successi, essere bravi, ecc).

Quando la mamma dice ad esempio a suo figlio: “Se fai così fai piangere Gesù… causi dolore alla mamma… mi fai morire… mi fai diventare matta… con tutti i sacrifici che io e il papà facciamo per te…”, il bambino si sentirà ingrato e cattivo e penserà di non meritarsi tutto questo. Imparerà che l’amore è a condizione: “Ti amo se…”. Ma “ti amo se…” non è mai certo: “E se non basta… e se non gli vado bene… e se un giorno se ne va… e se un giorno preferisce un altro… e se questo e se quello”. E allora non basta mai. Per quanto fai, per quanto successo ottieni, per quanto lavori, per quanto ami i tuoi figli, per quanto ti dai al tuo compagno, dentro di te c’è sempre una paura e una molla che ti spinge a fare di più. C’è una sottile voce che ti dice: “Non basta, di più… non basta di più… ancora, ancora: questo non basta, di più…”.

Giacomo Leopardi in una lettera al fratello Carlo nel novembre del 1822 gridava: “Amami, per Dio. Ho bisogno d’amore, amore, amore!”. Nel luglio ripeteva vanamente: “Io non ho bisogno di gloria, né di stima, né di altre cose simili, ma ho bisogno di amore”.

Kurt Cobain, leader dei Nirvana, in un’intervista alcuni giorni prima di morire suicidandosi diceva: “Io ho tutto, non so perché, ma non mi basta mai. La musica non è mai perfetta; chi mi ama non raggiunge mai completamente il mio cuore; quando sono sul palco non sono mai del tutto contento di me. C’è sempre dell’altro che dovrei fare, ma non so cosa”.

Soluzione: l’amore non si merita né per doti, né per qualità, né per santità. L’amore è un dono, un regalo. Non cercare di conquistare ciò che non si può conquistare.

L’amore si dà gratuitamente: non chiede niente in contraccambio.

L’amore si riceve gratuitamente: godine e assaporalo quando lo ricevi ma non pretenderlo.

33 Disse loro un’altra parabola: “Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata”

Anche questa parabola va capita nell’orizzonte ebraico. Il lievito è qualcosa che cambia la consistenza della materia. Allora: come il lievito “fa cambiare” il pane così il vangelo “fa cambiare” la tua vita. Solo che non è così per tutti!

Infatti Mt 16,11-12 dice: “Gesù diceva ai discepoli: “Guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei”. Allora essi compresero che egli non aveva detto che si guardassero dal lievito del pane, ma dalla dottrina dei farisei e dei sadducei”. Mentre c’è un lievito (vangelo) che vuol far cambiare, lievitare, la tua vita, c’è anche un falso lievito basato sulla boria, sull’autosufficienza, sul “noi sappiamo; noi abbiamo la verità; noi non abbiamo bisogno di crescere, di cambiare, di convertirci” che porta alla morte della vita, della verità e del vangelo.

Poi c’è quest’espressione “tre misure di farina” che a noi non dice nulla, ma che è il centro di questa parabola. Infatti è un’espressione tecnica. Una misura di farina sono circa 13 kg di farina: quindi questa donna ha impastato 40 kg di farina! Ma con 40 kg di farina mangiano almeno 150 persone! O qui c’è un matrimonio o qui c’è qualcosa che ci sfugge.

In Gen 18,1-15 si racconta che Abramo aveva 99 anni e che Sara non aveva più il ciclo mestruale (Gen 18,11) tanto è vero che Sara dice: “Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio” (Gen 18,12) e Sara se la ride perché questi uomini (tre angeli di Dio) gli hanno annunciato che sarebbe rimasta incinta. Allora Dio dice ad Abramo: “C’è forse qualcosa di impossibile per il Signore?” (Gen 18,14). E infatti Sara rimase incinta di Isacco.

Bene: quando arrivano i tre uomini Abramo dice a Sara di impastare “tre staia di farina” (stessa espressione): 40 kg di farina per tre persone!? E’ l’abbondanza di un dono non previsto, impossibile, miracoloso, inaspettato, gratuito.

Quindi “tre staia di farina” indica l’impossibile che si realizza.

Nel libro dei Giudici (Gdc 6,11-24) si racconta la chiamata di Gedeone. Gli israeliti erano oppressi dai Madianiti che erano arrivati nel loro paese conquistandolo, mettendo in fuga gli israeliti e togliendo loro tutte le pecore, i buoi e gli asini: li avevano, cioè, lasciati alla fame.

Un giorno l’angelo del Signore (Gdc 6,11) va da Gedeone per chiedergli di mettersi a capo degli Israeliti e per scacciare i Madianiti. Ma Gedeone risponde: “Impossibile!” e porta una prima motivazione: “Tu (Signore) ci hai abbandonato” (Gdc 6,13). Al che Iddio risponde: “Ti mando io (=sono ancora con voi)” (Gdc 6,14). Allora Gedeone ne porta una seconda: “Impossibile, io non sono capace” (Gdc 6,15). Al che Iddio risponderà: “Io sono con te” (Gdc 6,16). Al ché Gedeone accetta. E quando ha accettato va a preparare tre staia di farina per l’angelo (Gdc 6,19). Adesso, va beh che era un angelo, ma 40 kg di farina, sono troppi anche per un angelo!

Allora qual è il senso? Una cosa impossibile (scacciare i madianiti numerosi come le cavallette; Gdc 6,5) diventa incredibilmente possibile.

Il terzo episodio si trova in 1Sam 1,19-28. Elkana aveva due mogli: con Peninna aveva figli con l’altra, Anna, nessuno perché era sterile. E per questo Peninna denigrava e umiliava Anna affliggendo molta sofferenza (1Sam 1,6-8). Allora: siamo di fronte ad una situazione impossibile. Anna è sterile e non c’è niente da fare.

Ora, un giorno, Anna, finché è in preghiera, cambia il suo dolore e la sua rabbia verso Peninna in vulnerabilità (1 Sam 1,16) e il suo volto (e il suo grembo) diventano fertili (1 Sam 1,18). Anna torna a casa, si unisce a suo marito Elkana e rimane incinta di Samuele. Dopo alcuni anni, quando torna al tempio per portargli il figlio Samuele (aveva promesso che se avesse avuto un figlio lo avrebbe offerto al Signore: e così farà!) porta con sé anche “tre staia di farina”.

E’ chiaro!: sembrava una cosa impossibile avere un figlio… e invece!

Allora: “tre staia di farina” indica che ciò che è impossibile si realizza. Il regno di Dio sembra allora qualcosa di impossibile, di irrealizzabile, un modo di vivere che non si può vivere, ma incredibilmente, allo stesso modo del miracolo del lievito nella pasta, invece accade.

Quante persone dicono: “E’ difficile… non ce la faccio… non ho le capacità… non è per me”.

E dichiarano impossibili molte cose che sarebbero possibili con l’impegno e con dei cambiamenti. Solo che dietro a questa scusa vi è dell’altro: “Ma se non ci hai neppure provato?”. Provaci davvero prima. Come fai a sapere che una cosa è impossibile se non ci provi? Allora a volte fingono di provarci: “Hai visto, te l’avevo detto”. “Ma guarda che è la tua vita, non la mia. Sarai tu a viverne le conseguenze. Io non vivo la tua vita. Ciò che conta è che tu non menta a te”. Oppure: “Non è che hai paura delle conseguenze?”. In fondo, è meglio dirsi: “Non ce la faccio” che dirsi: “Non voglio faticare per cui vi rinuncio”. “Cos’è facile nella vita?”. “Niente”. Tutto è difficile prima di essere facile.

La dinamica è: “Siccome questa cosa è faticosa, se mi dico che è impossibile mi evito la fatica”.

Quando Ferdinando Magellano disse che avrebbe voluto circumnavigare la terra gli dissero: “Impossibile!”. “Impossibile perché nessuno lo ha ancora fatto. Quando l’avrò fatto sarà possibile”. E così fu!

Si pensava che nessuno potesse scendere sotto i 4 minuti nel miglio. Era stato addirittura confermato da ricerche cardiologiche. Ma Roger Bannister lavorò sull’allenamento e soprattutto sulla sua mente (“si può scendere”) e nel 1954 ci riuscì. Ma la cosa incredibile è che l’anno successivo ci riuscirono altri trecento atleti!

Virgilio disse una cosa meravigliosa: “Possono perché credono di potere”.

La paura trasforma il possibile in impossibile. La fede trasforma l’impossibile in possibile. Se tu non credi di potercela fare, sicuramente, non ce la farai.

Si racconta questa storia: il grande generale giapponese Nobunaga decise di attaccare anche se aveva solo un soldato per ogni dieci soldati nemici. Era sicuro che avrebbero vinto, ma i suoi soldati erano pieni di dubbi. Mentre erano in cammino verso il campo di battaglia, si fermarono ad un santuario scintoistico. Dopo aver pregato nel santuario, Nobunaga uscì e disse: “Ora getterò in aria una moneta. Se viene testa vinceremo. Se croce, prederemo. Ora il destino rivelerà il suo gioco”. Gettò in aria una moneta. Venne testa. I soldati erano così desiderosi di combattere che vinsero facilmente la battaglia. Il giorno dopo un assistente disse a Nobunaga: “Nessuno può cambiare il destino”. “Giustissimo”, disse Nobunaga, mostrandogli una moneta che aveva testa su entrambe le facce. Se tu credi, sarà!

 

 

Pensiero della Settimana

La paura trasforma il possibile in impossibile.

La fede trasforma l’impossibile in possibile.