La sorpresa di Dio è che Lui stesso è una sorpresa

I domenica di Avvento

Domenica 1 dicembre 2019

 

  • Prima lettura: Is 2, 1-5
  • Salmo: Sal 121
  • Seconda lettura: Rm 13, 11-14
  • Vangelo: Mt 24, 37-44

 

L’avvento: l’attesa. La dimensione dell’attesa nella mia vita

Inizia l’avvento. Si dice che l’avvento è il tempo per definizione dell’attesa. Ma l’attesa non è solo un valore dell’Avvento ma una dimensione che attraversa trasversalmente tutta la nostra vita.

Un bambino piccolo, neonato, non conosce l’attesa: lui vuole la gratificazione immediata. Se ha fame piange; se vuole qualcosa urla; se ha bisogno di qualcosa, la vuole adesso e immediatamente. E la mamma, in genere, corre per dargliela.

E’ il PRINCIPIO DI PIACERE: “Voglio una cosa e la voglio adesso”.

  1. Nel principio di piacere le cose si possiedono: “Poiché la tetta della mamma è mia, la voglio ora; poiché ho paura, e l’abbraccio della mamma è mio, lo voglio subito”. Si instaura un’idea: “Poiché le cose sono mie, le voglio subito, le voglio quando le voglio io”.
  2. Nel principio di piacere il bambino rimane sempre un bambino.
  3. Qui non c’è l’amore perché tutto è suo e l’amore esiste solamente dove c’è una distanza, dove un io può guardare un tu.
  4. Nel principio di piacere il tempo e lo spazio vengono eliminati (i fisici dicono che il tempo sia una variabile dello spazio): “Ti voglio qui (spazio) e subito e adesso (tempo)”, dice il bambino alla mamma.

Poi crescendo, il bambino dovrebbe imparare l’attesa: non sempre la mamma può arrivare subito; non sempre la mamma capisce il suo bisogno; non sempre gli altri sono a disposizione tutti per te, ecc.

E’ il PRINCIPIO DI REALTÀ dove di impara a posticipare le cose.

  1. Nel principio di realtà si impara che le cose, la mamma, il papà, gli altri, non sono tuoi, per cui non sono a tua disposizione, non sono lì sempre per te; sì impara che non li possiedi e che, poiché non sono tuoi, bisogna imparare ad attendere, ad aspettare un po’, a rimandare il “tutto e subito” oppure “lo voglio ora”.
  2. Si impara che bisogna chiedere.
  3. Si impara, che bisogna qualche volta accettare la frustrazione di un no.
  4. Si impara che per avere una cosa bisogna impegnarsi, lottare e desiderarla.
  5. Nel principio di realtà (cioè di confronto col mondo) il bambino diventa un adulto.
  6. Qui può esistere l’amore, dove l’io si rapporta ad un tu, diverso da lui.
  7. Nel principio di realtà si accettano le dimensioni di tempo e spazio: “Mi piacerebbe che tu fossi qui ma non sei qui, non ci sei (spazio) e non ci sei neppure adesso (tempo)”, ecco la frustrazione. “Però ti desidero, ti attendo, ti aspetto e farò qualcosa perché tu possa essere qui e adesso”.

Nella nostra società noi abbiamo bisogno della dimensione “attesa”, perché oggi molte cose hanno eliminato la dinamica “tempo e spazio”, creando un mondo di irrealtà. La dipendenza nasce proprio dall’eliminazione del tempo e dello spazio: “Ti voglio qui e ora, e soprattutto non posso fare a meno di te, qui e adesso”. Così siamo dipendenti dalla tv, dal telefono, dai Social, dalla radio, dalle persone.

Il contrario della dipendenza è l’indipendenza, cioè la capacità di poter stare anche senza di te, anche senza quella cosa. E l’indipendenza nasce con il posticipare una cosa, con il non volerla subito, col non “mangiarla subito”, col non “consumarla adesso”: nasce con l’attesa, con la capacità di poterle dire: “Non sei mia, ti rispetto, non ti ingoio”.

Ecco l’attesa: mi piace averti ma ti chiedo (e non pretendo=ti voglio qui/ora), ti domando, ti cerco, provo a raggiungerti sapendo che non è certo che ti raggiungerò.

Se vuoi amici vai su Facebook o su Instagram e pensi di averne un sacco, visto tutti i contatti che hai. Ma l’amicizia richiede il tempo di conoscersi, richiede il vedersi, richiede lo stare di fronte all’altro per vederlo e per vederlo per come è.

Se ti senti solo prendi il cellulare e mandi un sms qualcuno. Non è male, ma “togliendo spazio e tempo” alla solitudine, impari a non stare mai con te, a non essere mai presente a te, amico a te.

Nei rapporti, in amore, nelle emozioni, c’è la costante tempo, cioè le cose si attendono, vanno desiderate, vanno conquistate, non si possono avere né sempre e né subito.

  1. L’attesa ci insegna LA MISURA.

Se prendi troppo di una cosa rischi di farti del male. Se ti “intossichi” di cibo, di tv, di cellulare, diventi dipendente, diventi schiavo di te stesso. Allora: me ne prendo un po’ e poi mi dico: “Adesso basta”. “Questo va bene, di più mi farebbe male”.

  1. L’attesa ci insegna a CONQUISTARE CIÒ CHE DESIDERIAMO.

Se non lotti e non investi energie per ciò che vuoi non lo avrai. Alcune persone vorrebbero che il lavoro che a loro piace cadesse dal cielo: bello, ma irrealistico. Bisogna studiare, impegnarsi, partire dal basso, investire psichicamente ed economicamente, ecc. Allora: “Se voglio quello, ci devo investire tempo e vita”.

  1. L’attesa ci insegna il LIMITE DELLE COSE.

Ci sono cose che non possiamo avere. E’ assai più semplice, sebbene meno istruttivo, dire ad un figlio: “Non te lo posso comprare, non ho i soldi” che dovergli spiegare: “Te lo potrei comprare, ma non lo ritengo giusto”. Ma bisogna insegnare ai figli che non tutto ciò che si può avere è bene averlo. A volte bisogna dire e dirsi: “No, perché non ti fa bene; non perché credo non si può avere tutto”.

  1. L’attesa ci insegna L’AUTOCONTROLLO, a fermarci e a dirci: “Che cosa è buono adesso?”. Altrimenti siamo istintivi (che in realtà vuol dire automatici) e reagiamo senza pensarci.

E’ più piacevole chattare su whatsapp o studiare storia? Un adolescente non avrebbe dubbi!

Esco prima con i miei amici o faccio prima i compiti di matematica?

Rimando una conversazione sgradevole con il capo o la affronto subito?

Mi arrabbio subito con chi mi ha tagliato la strada con una manovra pericolosa o conto sino a dieci e lascio che mi passi la rabbia per dimenticare quanto accaduto?

  1. L’attesa ci insegna IL TEMPO DELLE COSE.

La patente a 18 anni, prima no!; i fiori in primavera; le vacanze in estate; la promozione a fine anno. Tutto ciò che esiste ha un tempo: se tu lo vuoi prima lo rovini. Allora: “Se vuoi quella cosa, devi darle il suo tempo”.

Se in Italia c’è un proverbio che dice: “La gattina frettolosa fece i gattini cechi”, in Cina si dice “bá miáo zhù zhǎng”, ovvero “tirare i germogli per aiutarli a crescere” e si riferisce alla seguente storia.

Un tempo, nel regno di Song, viveva un contadino che era sempre molto attivo e che non riusciva a essere paziente in nessuna delle cose che faceva. Una volta, dopo aver piantato dei germogli di riso, il contadino si mise a controllare le piantine e ogni giorno correva più volte al campo per vedere se erano cresciute. Passarono alcuni giorni ma ancora non si vedevano cambiamenti e le piantine sembravano non crescere affatto. Il contadino iniziò a spazientirsi e decise che doveva inventare qualcosa per far sì che le piantine crescessero più in fretta. Così ci pensò su e, dopo una giornata passata a spremersi le meningi, alla fine gli venne un’idea. Il contadino entrò nell’acqua del campo e da solo si mise a tirare un germoglio alla volta finché non ebbe tirato su tutte le piantine. Alla fine della giornata l’uomo era distrutto dalla fatica ma finalmente le piante sembravano più alte. Il contadino tornò a casa soddisfatto, si buttò sul letto e, fra uno sbuffo di stanchezza e l’altro, disse ai suoi familiari: «Oggi sono davvero a pezzi! Ho lavorato senza sosta nel campo per tutto il giorno e non ho più nemmeno la forza per alzarmi. Però il mio lavoro non è stato vano, tutte le piantine sono cresciute parecchio!». Il figlio del contadino fu molto sorpreso da queste parole e il giorno dopo di prima mattina andò a vedere cosa fosse successo. Appena arrivato al campo, il ragazzo rimase senza parole: dovunque guardasse, si vedevano solo piantine morte.

Un giovane sognò di entrare in un grande negozio. A far da commesso dietro il bancone c’era un angelo. «Che cosa vendete qui?», chiese il giovane. «Tutto ciò che desidera», rispose cortesemente l’angelo. Il giovane cominciò ad elencare: «Vorrei la fine di tutte le guerre nel mondo, più giustizia per gli sfruttati, tolleranza e generosità verso gli stranieri, più amore nelle famiglie, lavoro per i disoccupati, più comunione nella Chiesa e… e …». L’angelo lo interruppe: «Mi dispiace, signore. Lei mi ha frainteso. Noi non vendiamo frutti, noi vendiamo solo semi».

Le cose hanno il loro tempo, la loro gradualità, la loro attesa: forzarle significa rovinarle.

  1. L’attesa ci insegna che C’È DELL’ALTRO.

Sono quello che sono ma mi posso attendere di essere qualcos’altro. Vivo ma l’attesa mi dice che c’è dell’altro oltre la vita.

Per questo l’attesa ha sempre a che fare con la speranza. At-tendere (ad=andare verso+tendere=dirigersi) vuol dire che si va verso qualcos’altro: magari non lo si sa ma lo si aspetta. Il simbolo dell’attesa è la gravidanza; c’è qualcos’altro che ci sta venendo incontro anche se non si ha ancora visto cosa.

  1. L’attesa ci insegna a NON volere la GRATIFICAZIONE IMMEDIATA.

Sì, io posso nel week-end andare al cinema il sabato sera, andare a sciare la domenica e mangiare insieme al ritorno. Buono!, ma se cerco sempre gratificazioni immediate, come posso costruire me stesso? Certo, andare ad un corso di coppia o su se stessi, forse, è più faticoso, meno gratificante. Ma nel tempo, che accadrà nel tempo?

L’attesa mi dice: “Rinuncia a qualcosa di piacevole oggi per avere molto di più domani”. Perché ognuno ha ciò che vuole!

Nel 1972 Walter Mischel ha condotto un esperimento nell’università di Stanford. A dei bambini di 4-6 anni veniva consegnato un mashmallow sul piatto (si tratta di uno zuccherino, un dolcetto, molto apprezzato dai bambini dei paesi anglosassoni). Se il bambino riusciva a resistere per 15 minuti a mangiare il dolcetto che aveva nel piatto, ne poteva ricevere un altro in premio. Alcuni di questi bambini per resistere (e questo ci dice quanto poco sia presente questa capacità e quanto sia da educare!) “si coprivano gli occhi con le mani o si giravano per non guardarlo, mentre altri cominciavano a prendere a calci la scrivania, oppure a tirarsi i capelli, o cose del genere, mentre altri decidevano di mangiarlo subito”.

Degli oltre 600 bambini che parteciparono all’esperimento, un terzo riuscì a rimandare la gratificazione abbastanza a lungo per ottenere il secondo mashmallow.

La cosa più interessante è stata però il risultato del follow-up dello studio: i bambini che nel 1972 avevano saputo rimandare la gratificazione, nel 1988 venivano descritti dai genitori come adolescenti più maturi e responsabili degli altri. E i bambini che riuscirono a rimandare la gratificazione immediata nel 1972, nel 1990, quindi a circa 30 anni, aveva punteggi universitari migliori.

Prima di questo vangelo Gesù dice: “Quanto a quel giorno e a quell’ora, però, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre” (Mt 24,36).

Riguardo alla fine di Gerusalemme Gesù aveva assicurato: “Non passerà questa generazione prima che tutto questo accada” (Mt 24,34), e infatti la distruzione di Gerusalemme avviene nel 70 d.C. Quindi, con la distruzione del tempio di Gerusalemme, sede dell’istituzione religiosa giudaica, inizia il tempo in cui il Regno di Dio cessa di essere appannaggio esclusivo del popolo di Israele e viene esteso a tutta l’umanità.

Quindi Gesù non vede come una sventura, ma come una benedizione, come l’eliminazione di quello che era un impedimento per il disegno di Dio sopra tutti i popoli. Ben venga che il tempio sia distrutto!

Riguardo, invece, alla fine di ciascuno, Gesù si rimette al Padre. Neanche lui lo sa. Quindi è inutile voler sapere quando, come, cosa: non si sa!

24,37COME FURONO I GIORNI DI NOÈ, COSÌ SARÀ LA VENUTA DEL FIGLIO DELL’UOMO.

Gesù abbina la sua salvezza a quella di Noè: infatti quella di Noè non fu la fine del mondo (visto che il mondo continuò anche dopo Noè) ma un rinnovamento, una nuova umanità. Quindi sia quella di Noè che quella di Gesù sono proposte di una nuova salvezza: Noè con l’arca e Gesù con il regno di Dio.

38INFATTI, COME NEI GIORNI CHE PRECEDETTERO IL DILUVIO MANGIAVANO E BEVEVANO, PRENDEVANO MOGLIE E PRENDEVANO MARITO, FINO AL GIORNO IN CUI NOÈ ENTRÒ NELL’ARCA,

Maritarsi, sposarsi, sono azioni ordinarie della vita. Quindi a quel tempo non facevano niente di straordinario ma semplicemente le cose della vita di tutti i giorni, che però rischiavano, di non far vedere, di coprire, di distogliere dalla straordinarietà dell’evento che stava per incombere.

39E NON SI ACCORSERO DI NULLA FINCHÉ VENNE IL DILUVIO E TRAVOLSE TUTTI: COSÌ SARÀ ANCHE LA VENUTA DEL FIGLIO DELL’UOMO.

Gesù quindi invita ad essere svegli, attenti, a non farsi prendere dalla routine della vita quotidiana che rischia, oggi come allora, di soffocare tutto. L’arca di Noè non ha accolto tutti ma solo quelli svegli, solo quelli che non presero sonno!

Fermiamoci un attimo sull’esempio che Gesù fa. Cos’è questo Noè e qual è il senso profondo di quella storia? In ebraico noah, significa condurre.

Cosa fa Noè? Conduce tutti gli animali in salvo. Ma ciò che noi traduciamo “animali” vuol dire “viventi, tutto ciò che vive”. Cioè Noè salva tutta la vita che c’è e non la lascia morire. E il senso di salvarne due, una coppia per ogni animale, è quello di far sì che la vita progredisca, si evolva, cresca e si moltiplichi. Ed è interessante perché dove conduce gli animali, Noè? Nell’arca, cioè nell’arché, in ciò che c’è da sempre, fin da principio.

Cosa vuol dire questo mito, che non è chiaramente una storia successa (è inutile quindi cercare l’arca sul monte Ararat) ma un insegnamento profondo? Tu sei quell’arca, dove fin da principio c’è tanta vita vivente, che vuol vivere (gli animali): il tuo compito è quello di salvarla, di non farla morire, di non permettere che tutta la forza che c’è in te, giorno dopo giorno, muoia, si spenga, si esaurisca. Il tuo compito è di salvarla, di tenerla viva, di moltiplicarla, di farla crescere, di riempire il mondo con tutto ciò che tu hai dentro.

Il grande rischio, come al tempo di Noè, è quello di, presi dalla quotidianità, dalle preoccupazioni e soprattutto da mille distrazioni, lasciar morire la parte più vera di noi, la nostra vitalità interna.

Morte non è solo uccidere qualcuno, ferire, denigrare o picchiare. Morte è non essere ciò che posso essere. Morte è non far uscire l’energia, la vitalità, che c’è in me. Morte è non tirare fuori le mie doti, le mie capacità. Morte è vivere a bassa quota quando si è aquile. Morte è non provare più nulla, essere freddi, non sapersi né entusiasmare né indignare, senza emozioni. Morte è non sapersi più innamorare per paura di ciò che poi potrà succedere o non credere più nell’amore. Morte è non saper più piangere, ridere o commuoversi, amare. Alcuni uomini muoiono una volta sola, altri tutti i giorni. Voglio che la morte mi trovi vivo.

Il compito di ciascuno di noi, piccoli Noè, è quello di dar alla luce tutto il potenziale che c’è in noi. Sei un’aquila, vivi da aquila. Sei una Ferrari, vivi da Ferrari. Sei un leone, non accontentarti di essere un gattino. Sei un re, non vivere da suddito.

Ma poi il senso del vangelo è anche un altro. Dio viene, la Buona Novella accade (l’Avvento altro non è che l’avvento, la venuta di Dio: ecco il Natale, una nuova nascita e non un’altra volta la stessa nascita), ma se dormi non la vedrai.

Al tempo di Noè, cosa incredibile, non si accorsero di nulla. Così tu se vuoi “vedere Dio”, devi aprire gli occhi, “vedere”, svegliare, essere desto. Non basta respirare per vedere Dio.

All’inizio della creazione Dio aveva detto: “Crescete e moltiplicatevi”, che noi abbiamo tradotto con: “Fate figli”. Ma quel mito della Genesi si pone su di un livello molto più profondo. Non si tratta di un criterio quantitativo esterno (fate figli, abbiate prole) ma qualitativo interno: “Sviluppate la vita (i figli) che ci sono dentro di voi”. Crescere e moltiplicarsi vuol dire evolvere, divenire, sviluppare nuova vita.

Questo era il compito dell’umanità, di cui far figli biologici era soltanto un segno: moltiplicare la vita che c’era dentro ogni uomo. Ma cos’era successo poi? Era successo che l’uomo si era moltiplicato solo fuori, nel regno della quantità. Ma facendo così, non salvando i suoi “animali” (=vitalità) interni era morto. E perché era morto? Perché la gente si era anestetizzata: mangiare, bere, correre e lavorare, ingrossarsi e ingolfarsi di prodotti, di esperienze, di relazioni, di scoop, di piaceri vacui. Pensava cioè solo al moltiplicarsi fuori e non al crescere dentro. Pensava all’aver di più invece che all’essere di più. E quando vivi così, inevitabilmente, inesorabilmente accade il diluvio.

Il diluvio non è la punizione per un’umanità corrotta o per la tua vita, ma l’inevitabile e ovvia conseguenza del tuo vivere. Quando vivi solo nel regno dell’avere arriva il diluvio (mabul=anarchia, ragionamenti falsi): è l’inconsapevolezza, la cecità, l’oscurità, il vivere nelle tenebre (“E non si accorsero di nulla”).

C’è una storiella che amo molto e dice così: “Un tizio bussa alla porta di suo figlio: “Jaime, svegliati”, gli dice. Jaime risponde: “Non voglio alzarmi papà”. Il padre urla: “Alzati! devi andare a scuola”. “Jaime gli risponde: “Non voglio andare a scuola”. “E perché no?”, gli chiede il padre. “Ci sono tre ragioni”, risponde Jaime. “1. Prima di tutto, è una noia; 2. i ragazzi mi prendono in giro; 3. odio la scuola”. E il padre gli risponde: “Bene, adesso ti dirò io tre ragioni per cui devi andare a scuola; 1. perché è tuo dovere; 2. perché hai 45 anni, e 3. perché sei il preside”.

Se non dormissimo così tanto potremmo anche ridere di questa storia. E’ il messaggio del vangelo e dell’Avvento: “Stai sveglio, non dormire, non vivere sonnecchiando, inconsapevole” altrimenti è come dare il volante della tua auto ad un altro: non sai dove ti porterà e cosa accadrà.

Dio viene (Avvento) ma se tu non ci sei, se tu dormi, è ovvio che non lo vedrai.

40ALLORA DUE UOMINI SARANNO NEL CAMPO: UNO VERRÀ PORTATO VIA E L’ALTRO LASCIATO. 41DUE DONNE MACINERANNO ALLA MOLA: UNA VERRÀ PORTATA VIA E L’ALTRA LASCIATA.

Ma che vuol dire questo? Infatti a leggerla così sembra che uno la scampi e l’altro no: sembra una questione di fortuna! Invece è l’esatto contrario: è una questione di scelta!

  • PORTATO VIA =lett. “preso”, infatti, ha il senso di accogliere (paralambano). Questo stesso verbo lo troviamo quando l’angelo dice a Giuseppe: “Non temere di prendere (paralambano) con te Maria, tua sposa…” (Mt 1,20). Quindi non è un “portato via” ma un “prendere per accogliere”, per salvare. La cosa si ripete due volte: sia per gli uomini che per le donne.

Come l’arca di Noè non ha accolto tutti ma solo alcuni dal disastro incombente, così nel regno di Dio vengono presi solo quelli che rispondono al messaggio di Gesù.

La salvezza proposta da Dio è per tutti ma non di tutti. Perché per accoglierla bisogna convertirsi: cioè convertire, cambiare i valori dell’uomo e della sua condotta e soprattutto la prima beatitudine: “Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,3). Bisogna cioè essere liberi, liberati, vuoti e uomini di condivisione, perché nessuno sia povero. Se vuoi qualcosa che non hai mai avuto, devi essere pronto a fare qualcosa che non hai mai fatto. Non puoi avere qualcosa che non hai sperando che cada dal cielo o rimanendo lo stesso: devi, necessariamente, cambiare qualcosa della tua vita.

42VEGLIATE DUNQUE, PERCHÉ NON SAPETE IN QUALE GIORNO IL SIGNORE VOSTRO VERRÀ.

  • VEGLIATE=gregoreo (da cui il canto gregoriano) in Mt viene ripetuto 3 volte: Mt 24,42: “Vegliate perché non sapete in quale giorno il Signore verrà”. Mt 25,13: “Vegliate perché non sapete né il giorno né l’ora”. Mt 26,38: “Restate qui e vegliate con me (siamo nel Getsemani)”.

Il momento della verità per Gesù sarà il Getsemani, cioè il momento della persecuzione. Il momento della verità per i discepoli, ma per ogni uomo, è il momento della prova, della difficoltà, quando è difficile, duro, rimanere in ciò che si è scelto, in ciò che si è detto di credere. Ma è la prova che prova ciò che un uomo crede.

Ma il vegliare è il saper attendere, il non dormire, perché Dio è “sorpresa”, non aspettato, non calcolabile, non pianificabile, non rientrabile nei nostri schemi. Quante volte Gesù fu rifiutato perché non era “nei canoni” e secondo le idee delle persone. Le persone avevano già una loro idea di Dio, un loro canone di riferimento e dicevano: “No, tu non sei come il mio canone, quindi non puoi essere Dio”. E, invece, lo era. Invece di adattarsi loro a Dio adattavano Dio a loro. E i religiosi erano i peggiori, i più rifiutanti, perché i loro canoni era rigidissimi e precisissimi.

43CERCATE DI CAPIRE QUESTO: SE IL PADRONE DI CASA SAPESSE A QUALE ORA DELLA NOTTE VIENE IL LADRO, VEGLIEREBBE E NON SI LASCEREBBE SCASSINARE LA CASA.

Cosa vuol dire questa parabola strana? Dio è sorpresa. Avvento (dal verbo ad-venire, avvento, venuta appunto, da cui anche ad-venturus, ciò che verrà in futuro: avventura) è nient’altro Dio che viene. Ma come viene? In maniera sorprendete, non cioè come tu pensavi. Se viene (e viene!) non è come pensi tu.

Dio è come un ladro, una sorpresa. L’identificazione non è sulla persona (Dio non è un ladro!) ma sull’azione della persona (Dio viene di sorpresa, con lo stesso comportamento di sorpresa del ladro!)!

Ecco allora il primo atteggiamento: lasciati sorprendere e stupire, lasciati meravigliare, lasciati sorprendere: “Non me l’aspettavo!… Non l’avrei mai detto!… Ma pensa un po’…!”.

E il secondo atteggiamento è ovvio e conseguente: “Veglio, sto sveglio, sono consapevole, rimango attento (come si farebbe se uno sapesse che un ladro sta per entrare in casa), perché se non sono sveglio, non vedrò la sua venuta. Lui verrà, busserà alla mia porta, ma io non lo sentirò perché starò dormendo”.

Lasciati sorprendere. Tu hai le tue idee su Dio ma Lui viene di nascosto, come una sorpresa, in maniera inaspettata.

Quando Elia incontrò il Signore Iddio (1 Re 19,9-18) ci fu un vento impetuoso, ma Dio non era lì. Poi un terremoto e poi ancora un fuoco, ma Dio non era lì. E dov’era Dio? Sorpresa! In un vento leggero.

Berns e i suoi collaboratori hanno fatto un esperimento (pubblicato tempo fa sul Giornale scientifico di Neuroscienze). Hanno dato ai partecipanti dell’esperimento gocce di acqua e succo di frutta. Per una parte del tempo, la sequenza di gocce d’acqua e succo era prevedibile, mentre in alcuni momenti la sequenza variava. Si è visto che il fatto che uno preferisse le gocce di frutta all’acqua (o viceversa) non aveva nessun influsso sulla stimolazione del cervello. Cos’è che stimolava allora i centri del piacere del cervello? L’imprevedibilità! Cioè: quando veniva dato una sequenza tipo acqua-succo-acqua-succo-acqua-vino, ecco questo elemento imprevedibile (“vino”) stimolava una risposta significativa nel cervello.

Allora: la sorpresa è scientificamente un elemento che stimola il piacere del cervello. Cosa vuol dire questo? Semplicemente che una vita “piena di sorprese” è più vitale, piacevole e impedisce al cervello di invecchiare e di sclerotizzarsi. E’ una vita imprevedibile che ci tiene e che ci mantiene vivi. E’ una vita non scontata, non solita, non già tutta “chiara, pianificata, certa” che ci fa vivi.

E questo lo sappiamo tutti: cos’è che ci fa felici nella vita? Le sorprese! Un regalo, una festa a sorpresa, la sorpresa di un amico non aspettato che viene a trovarci, la sorpresa di conoscere una persona bella, la sorpresa di vedere che siamo di più di quello che pensavamo, la sorpresa di vedere che delle cose “impossibili” invece ci accadono, ecc.

A livello personale sorpresa allora è: inizio ad imparare, studiare, informarmi, su una materia che mai ho approfondito; faccio delle vacanze totalmente diverse (come modalità) da quelle che ho sempre fatto, quando mi dicono: “Vieni a questa serata su…”, mi permetto di lasciarmi sorprendere: “E perché no!” e ci vado; commuoversi o piangere davanti a qualcosa di bello che ti tocca dentro.

A livello relazionale, di coppia: faccio uno scherzo (bello!) al mio partner oppure un invito a sorpresa ad una cena con me; una sera rientro e gli porto un mazzo di fiori o gli dico di prepararsi perché verrà via in un posto con me (che ne so, magari si va in piscina o alle terme insieme); faccio una cosa per il partner che lui non si aspetta: invito i suoi amici a sorpresa a cena; so che gli piace andare a teatro e lo porto; so che gli piace giocare a carte e organizzo una serata con i suoi amici, ecc.

E quando il mio partner brontola, è arrabbiato, mi urla, perché non gli faccio una sorpresa e invece di rispondergli “a tono” non lo sorprendo con una risposta che non si aspetta come ad esempio: “Sono proprio innamorato di te!”.

A livello spirituale: quando leggo un brano del vangelo, non penso dentro di me: “Ah sì, questo brano l’ho già letto; sì, sì, vuol dire questo… (e così leggo sempre il presente con il passato)…” ma sono preso da quella curiosità di approfondire, di entrare dentro, di lasciarmi colpire e toccare; quando inizio una giornata non mi dico dentro di me: “Un altro giorno… speriamo che tutto vada bene…” ma: “Cosa dovrò imparare oggi?” e mi predispongo a “cogliere” la sorpresa che la Vita mi dirà e mi darà: forse una frase, forse un’idea nuova, sapendo che qualcosa che non mi aspetto, accadrà; quando vedo un gesto d’amore (ad esempio una persona ha deciso di dare il 10% del suo stipendio alla famiglia vicina di casa dove sono rimasti tutti e due senza lavoro!) mi stupisco, mi lascio colpire e non dico da arrabbiato: “Lo dovrebbero fare tutti… perché nessuno lo fa con me” ma: “Che gente buona che c’è in giro… che bellezza… questo sì che è amare… questi sono i cristiani della vita (al di là che vadano o no in chiesa)”; quando vedo un bel tramonto lasciarmi sorprendere e colpire è fermarmi, spegnere l’auto cinque minuti e gustarlo perché la spiritualità è lasciarsi sorprendere.

Perché Dio è ovunque per chi vuol vederlo e da nessuna parte per chi ha gli occhi chiusi. La Vita, Dio, è ben più grande di noi: lasciarsi sorprendere è nient’altro che riconoscere il proprio posto. Che la grandezza che è la Vita entri dentro di noi e che per questo ci sorprenda. Chi non si lascia sorprendere si è messo nell’arroganza di essere Dio. La sorpresa, fatta o ricevuta, ci mantiene vivi!

44PERCIÒ ANCHE VOI TENETEVI PRONTI PERCHÉ, NELL’ORA CHE NON IMMAGINATE, VIENE IL FIGLIO DELL’UOMO.

Queste parole di Mt sono per cristiani che vivono momenti difficili, di persecuzione.

Mt dice: “Quando non lo senti, quando proprio non lo vedi, quando anzi ti sembra lontano (com’è nei momenti difficili e di persecuzione), ebbene anche in quel momento Dio viene. E così tu potrai sentire e “toccare” che Lui c’è, che Lui ti è vicino, che Lui ti accompagna, che Lui, proprio in quei momenti difficili, ti sostiene. Lui viene in quei momenti e quando non te l’aspetti. Per cui occhi sempre aperti”.

Un giorno il Signore disse al suo fedele: “Domani verrò a trovarti”. “Davvero, mio Signore?”. “Sì, domani verrò”. L’uomo si alzò e iniziò a sistemare la casa. Ma si sa, quando hai fretta te ne succede di tutti i tipi. Venne una donna extracomunitaria con il suo bambino piccolo in braccio: gli chiedevano aiuto, ma lui non aveva tempo, Lui aspettava Dio. La donna insistette perché lo aiutasse e gli fece perdere tempo, ma lui aveva altro da fare. Dopo un po’, già era in ritardo, arrivò un suo amico che aveva bisogno di parlare. “Guarda oggi non è mica il giorno giusto!”. E lo mandò via. Verso sera c’era un tramonto bellissimo e gli uccelli che volavano nel cielo: gli sarebbe piaciuto fermarsi ma come poteva, proprio oggi. Ad un certo punto sentì una gioia dentro di sé meravigliosa e sorprendete: ma non poteva fermarsi, doveva venire Dio. Lavorò tutto il giorno ma di Dio, neanche l’ombra. Così molto deluso la sera si mise in preghiera: “Ma non dovevi venire oggi?”. “Sono venuto più volte, oggi, sai!!!”. “E dove, Signore?”. “Chi credi che fosse quella donna con quel bambino? Ero io sai! E il tuo amico, chi credevi che fossi? Ero io? E il tramonto e gli uccelli? Ero io! E la gioia che sentivi dentro? Anche lì ero io!”.

Quindi… occhi aperti, vegliare, non dormire, perché Lui non verrà come tu credi ma come Lui vorrà.

 

Pensiero della settimana

 Se credi che Lui c’è lo cerchi;

se lo cerchi lo troverai;

se lo troverai sarà una sorpresa

perché Lui sarà diverso da come tu pensavi che Lui fosse.