La vita è donarsi

SS. Corpo e Sangue di Cristo

domenica 14 giugno 2020

 

  • Prima lettura: Dt 8, 2-3
  • Salmo: 147
  • Seconda lettura: 1 Cor 10, 16-17
  • Vangelo: Gv 6, 51-58

 

La chiesa oggi celebra la festa del Corpo e Sangue di Cristo. Queste due parole fanno immediatamente pensare all’eucarestia: ed è così.

Una volta, e tutt’ora, vi era la famosa processione del Corpus Domini: il sacerdote davanti con i chierichetti e poi tutta le gente portava l’eucarestia per le strade e per i vicoli del paese.

Quale era la grande questione dei primi cristiani dopo la morte di Gesù? Prima Gesù ce l’avevano lì: ma dopo la sua morte, Gesù non era più presente fisicamente. Erano, allora, senza Gesù? No!

Nell’eucarestia, Corpo e Sangue di Cristo, Gesù si faceva realmente presente e realmente visibile. Gesù non c’è più fisicamente ma è presente sotto la forma di Pane e di Vino.

La Chiesa infatti conosceva (e conosce) i tre Corpi di Gesù. Il Corpo fisico: Gesù, vissuto 33 anni e morto duemila anni fa. Il Corpus misticum: l’eucarestia, presente nel pane. Il verum Corpus, Gesù presente nelle persone. Poi nel corso dei secoli il corpus misticum sono diventate le persone, Dio presente in ciascuno di noi e il verum corpus l’eucarestia.

Storicamente la festa nasce dal miracolo di Bolsena (a cui dobbiamo la costruzione del duomo di Orvieto). Un  sacerdote si chiede: “Ma vuoi che in un pezzo di pane sia proprio il Corpo e Sangue di Cristo?”.

E durante una messa ottiene risposta perché, quando spezza il pane, un po’ di sangue scorre dalla piccola ostia.

Dal 1264 la festa viene estesa a tutta la chiesa.

La festa nasce dall’Ultima Cena: Gesù è presente adesso così. Cos’era successo in quella sera?

Gesù capisce di aver le ore contate: non sapeva di dover morire come se avesse il dono della preveggenza ma “sapeva” di dover morire perché uno che vive così, con tale libertà, con tale verità       di fronte a tutto e a tutti, come non può non morire? Uno così sconvolge troppo il sistema.

Sa che il tempo che gli rimane è poco e quindi prepara il suo addio: è un gesto preparato e preciso.

Dobbiamo ricordarci che una delle novità sconvolgenti di Gesù erano i suoi pranzi. Gesù pranzava con tutti e spesso e alla sua tavola tutti vi avevano posto.

“Sei un lebbroso? Vieni!”: i lebbrosi neppure potevano avvicinarsi ai centri abitati e con una campana dovevano segnare la loro presenza in modo che tutti rimanessero lontano.

“Sei un peccatore? Vieni!”: di questo era accusato di continuo dai “puri” religiosi.

“Sei una donna, una peccatrice? Vieni”: la cosa era totalmente scandalosa, inopportuna, eretica, impura e contro il buon senso morale del tempo (e di ogni tempo).

Alla sua tavola c’era posto per tutti, segno di un amore infinito, smisurato, illimitato, incondizionato di Dio. La tavola di Gesù era la concretizzazione fisica di ciò che Gesù viveva nel suo cuore e di come Gesù aveva sperimentato suo Padre, quel Padre che lui chiamava Abbà.

Che tutti avessero il loro posto alla tavola di Gesù, e non importava chi tu fossi, era il segno che nel cuore di Dio (e di Gesù) ogni uomo ha il suo posto, che ogni uomo è amato.

Finché Gesù era stato in vita questo lo avevano visto e vissuto e sentito dalle sue parole.

Adesso Gesù se ne va e compie questo gesto. Cosa vuol dire allora?

Gesù fa di una cena come tante, una cena che diventi un simbolo. Gli esegeti dicono che forse molto probabilmente non è stata neppure una cena pasquale: sembra infatti celebrata in un contesto pasquale ma sembra che non sia la Cena di Pasqua; e neppure sembra sia che sia avvenuta il giorno prima del suo arresto (è molto improbabile cronologicamente che sia avvenuta il giovedì santo). Ma non è più questo importante. Ciò che conta è il suo senso.

All’inizio di ogni pasto giudaico il padrone di casa si metteva in piedi, prendeva il pane nella mani e pronunciava una benedizione rivolta a Dio, a cui tutti rispondevano. “Amen”.

Quando Gesù lo faceva con i peccatori, con le prostitute, con gli esattori, la gente ne rimaneva impressionata, stupita, meravigliata, toccata: Dio amava anche loro e quell’amore, se gli lasciavano spazio nel loro cuore, cambiava la loro esistenza e la loro vita.

Facendo di questa cena una cena di commiato, di saluto e un simbolo Gesù dice: “Quando voi direte: “Questo è il mio Corpo e questo è il mio Sangue” io realmente sarò in mezzo a voi, vi nutrirò e la vostra tavola diverrà e sarà come la mia tavola finché io ero in vita”.

L’eucarestia allora è l’amore di Dio che va e arriva a tutti e di cui tutti hanno bisogno.

In vita Gesù accoglieva tutti alla sua tavola. L’eucarestia è Gesù: tutti hanno accesso alla sua tavola. Tutti mangiano con Lui e di Lui non perché ne abbiano i meriti (chi di noi ne ha?) ma perché l’amore di Dio vuole scendere su ogni cuore e su ogni anima.

Quando andavamo a scuola se raggiungevamo il “sei” venivamo promossi; ma Dio non si merita. L’amore di Dio è gratuito, è per tutti coloro che ne hanno bisogno.

Sei un lebbroso? Nessuno ti vuole per il tuo caratteraccio?    Tutti ti escludono perché sei “pesante”, soffocante, perché è difficile stare con te, perché brontoli sempre o sei un’anima in pena? Vieni qui, mangiamo insieme, sapessi quanto ti amo io…

Sei un pubblicano? Non sei in regola con le legge La legge religiosa? La legge del tuo cuore? Dovresti cambiare e hai paura? Dovresti cambiare ma non sei disposto ad accettarne le conseguenze? Sei lontano da Me? Vieni solo quando ne hai bisogno? Non importa, adesso vieni qui, pranziamo insieme, rilassati e sappi che il mio amore è gratuito.

Sei un esattore? Giudichi sempre? Guardi gli altri perché non sai vivere la tua vita? Ce l’hai col mondo che dovrebbe cambiare (così non cambi ciò che puoi tu)? Pretendi, chiedi; gli altri dovrebbero fare un sacco di cose per te? Non fai niente per gratuità, per dono? Sì, il tuo cuore è corroso dalla rabbia, dall’inferiorità e da chissà cosa. Ma adesso vieni e cibati un po’ di cose buone, belle e di amore.

Sei una prostituta? Hai tradito l’amore? Hai tradito la fedeltà? Hai venduto il tuo corpo? La tua anima? Il tuo corpo? La tua mente? Ti sei prostituito a quello che fanno tutti? Ti sei adattato? Hai perso la tua dignità di uomo? Vieni qui, mangiamo insieme, io ti amo e il mio amore sia la tua forza.

Sei una donna? Sei piena di paura? Paura di vivere, di osare, di cambiare strada, di decidere? Hai il pianto facile? Pianto di dolore, di rabbia, di vergogna? Sei pieno di sentimenti? Hai un uragano dentro? Vieni qui, riposati in me, qui sei a casa tua, rilassati che io ti amo.

L’eucarestia è questo: un banchetto, un pranzo per tutti, aperto a tutti, perché tutti hanno fame di Dio e Dio si vuol dare a tutti, perché tutti sono e saranno sempre figli suoi.

Gesù, il pane, l’ha condiviso con tutti. Quello che c’era si divideva.

Gesù, il vino, l’ha condiviso con tutti. Quello che c’era si condivideva e tutti facevano festa.

L’eucarestia, allora, non può essere un evento privato o solo un culto liturgico. L’eucarestia è un atto politico perché l’essenziale, dice il vangelo, dev’essere di tutti, accessibile a tutti.

L’acqua? Ogni giorno muoiono 6.000 bambini di sete. Come se 10 Boeing cadessero dal cielo. Ci sono cose che non possono essere commercializzate; se producono ricchezza produrranno anche morti. Attenzione a privatizzare le acque: dove è successo è stato un disastro.

Il pane? I senza cibo sono progressivamente sempre saliti nell’ultimo decennio. Da 848 milioni del 2005 ai 963 del 2008. Ogni giorno muoiono per denutrizione 20.000 persone.

La vita? Se un embargo produce morte, c’è qualcosa che non va! Il fine non giustifica i mezzi.

La terra? La terra oggi ci serve per far soldi e non più per alimentarci.  Ma se la terra non viene rispettata le conseguenze possono essere tremende. I Sumeri sparirono (una delle ragioni principali) perché vollero produrre troppo dalla terra. I Maia, la più evoluta civiltà americana, decadde perché la non cura dell’ambiente ecologico, impedì la coltivazione di mais e cereali. La malattia della patata tra il 1845 e il 1847 produsse l’emigrazione o la morte di 2 milioni di irlandesi.

Stessa tavola per Gesù voleva dire pane e vino, vita e libertà, perdono e amore di Dio per tutti. Chiunque si appropri di qualcosa che non gli appartiene non può sedere a tavola con Gesù.

Il vangelo è meraviglioso in questo senso: c’è pane e pesci per tutti, se si condivide. Non ce n’è per nessuno se non si condivide.

C’è una bellissima storia: sei persone, colte dal caso nel buio di una gelida nottata, su un’isola deserta, si ritrovarono ciascuna con un pezzo di legno in mano. Non c’era altra legna, il piccolo fuoco moriva lentamente per mancanza di combustibile e freddo si faceva sempre più insopportabile.

  1. La prima era una donna: la fiamma del fuoco illuminò il volto di un immigrato dalla pelle scura. La donna lo vide e pensò: “Perché consumare il suo legno per scaldare uno scansafatiche venuto a rubare pane e lavoro?”.
  2. L’uomo che stava al suo fianco vide uno che non era del proprio partito: mai e poi mai avrebbe sprecato il suo bel grosso pezzo di legno per un avversario politico.
  3. La terza persona era povera, vestita malamente, e vide il suo vicino che era certamente ricco: perché dover usare il suo ramo per un ozioso e riccone?
  4. Il ricco sedeva pensando ai suoi beni, alle sue ville alle quattro automobili e al conto in banca: doveva conservare il suo pezzo di legno a tutti i costi e non consumarlo per quei pigri e inetti.
  5. Il volto scuro dell’immigrato era una smorfia di vendetta. Sapeva bene che tutti quei bianchi lo disprezzavano. La sua vendetta era arrivata: non avrebbe mai messo il suo pezzo di legno nel fuoco.
  6. L’ultimo membro del gruppo era un tipo gretto e diffidente, non faceva nulla se non per profitto. Dare soltanto a chi ti ridà. Me lo devono pagare caro questo pezzo di legna, pensava.

Il fuoco si spense. La mattina li trovarono, con i pezzi di legno stretti nei pugni, immobili nella morte per assideramento. Non erano morti per il freddo di fuori, erano morti per il freddo di dentro.

Il vangelo di oggi: quando la gente ascoltava queste parole di Gesù, inorridiva. E possiamo capire che non capissero.

Il vangelo parla più volte di “mangiare la carne” e “bere il sangue”. Non a caso ai primi cristiani, fra le varie accuse, fu data anche quella di cannibalismo (accuse di antropofagia, di crimine: avrebbero ucciso uomini per sacrificarli; di infanticidio). La Bibbia era chiara: “Non si può bere il sangue perché il sangue è la sede della vita. E chi beve il sangue dev’essere ucciso”.

E il verbo trogo, mangiare, non lascia dubbi: vuol dire proprio masticare.

Quindi quando Gesù dice queste parole la maggior parte delle persone pensava ad una cosa: “I cristiani mangiano realmente dei corpi, delle persone”.

Ma Gesù, vuol dire tutt’altro. Le sue parole si riferiscono invece al diventare una sola cosa con lui e in lui, così come il pane mangiato diventa noi e noi diventiamo il pane mangiato. Quando noi mangiamo, poi, non possiamo più distinguere ciò che mangiamo da noi. Ciò che abbiamo mangiato diventa “Noi” e noi diventiamo il “cibo”. Non è un caso che quando ci si ama ci si dica: “Ti mangerei”. E’ l’unione che si brama. Io in te e tu in me.

Cosa vuol dire diventare una cosa sola con lui? Vuol dire, diventare ciò che si mangia. Ciascuno di noi, cioè, è chiamato a lasciare il suo “uomo vecchio” per diventare “Cristo”.

Deve lasciare l’ego, per diventare il Sé. Deve lasciare il suo “io” per diventare il “Dio in lui”. E non si tratta di un processo semplice o facile: per questo Gv parla di masticare. E’ una ruminatio, un’assimilazione graduale, lenta. In ogni caso è una conversione. Se non ci si converte, non c’è vera fede, autentica.

“Che idee ha cambiato Dio nella tua vita? Quanto, dove, come, ti ha sconvolto? Dove lo hai incontrato? Che fuoco ha acceso dentro di te? Che paure, blocchi, Dio vuole che affronti?”. Nei vangeli tutti quelli che hanno incontrato il Cristo, non sono più stati gli stessi di prima.      E’ stato cioè un incontro radicale, potente, sconvolgente: “Mi ha cambiato la vita, il Cristo?”.

Non si può diventare “Lui” se si vuole rimanere “sé”, ancorati alle proprie idee e atteggiamenti (propri o quelli ricevuti dall’ambiente o dalla famiglia).

Diventare ciò che si mangia vuol dire diventare come Gesù. Si mangia la sua carne per diventare della sua stessa carne… cioè come Lui. E si beve il suo sangue per diventare del suo stesso sangue… cioè come Lui.

Ma come ha vissuto Gesù la sua vita? Ha ricevuto l’Amore, la Verità, la Vita dal Padre e l’ha donata a tutti noi. Perché la vita si dona sempre in avanti.

Gesù ti ha donato tutto quello che ha ricevuto e tu fa lo stesso.

Gesù fa una constatazione: la vita vive a spese di altra vita. Mio padre e mia madre mi hanno dato la vita: non me la sono data io. Mia madre ha pianto, sofferto, si è preoccupata per me, ha perso tempo e “anni” per me. E’ il suo dono. Mio padre ha lavorato, si è sacrificato, ha fatto molte rinunce per me. E’ il suo dono per me. Io mangio i frutti, le ciliegie, i meloni, ecc: ma sono un dono della terra. E’ il dono della terra per me. Io mangio la carne, le verdure: è la vita di altre creature che io mangio. E’ il dono di altri per me. Io respiro l’aria del cielo: è il dono del cielo per me. Perché la vita viva bisogna che altri si sacrifichino.

Un giorno un bambino prende un foglio: Per aver portato giù il bidone dell’immondizia: 1 euro. Per aver fatto il letto: 1 euro. Per aver spolverato: 1 euro. Per aver dato da mangiare al cane: 1 euro. Per lavato i piatti: 3 euro. Totale: 7 euro. Poi lo chiude e lo dà alla madre. La madre lo apre e legge.

Allora la madre sul retro scrive: Per averti portato 9 mesi nel grembo: 0 (zero) euro. Per avermi svegliato tante notti quando piangevi: 0 euro. Perché mi sono preoccupata di te e ti ho allevato: 0 euro. Perché a volte mi hai fatto piangere: 0 euro. Perché in certi giorni avevo ragione e non mi ascoltasti: 0 euro. Totale: 0 euro. Poi chiuse il foglietto lo diede al figlio. Questi lo aprì e lo lesse. Poi arrossì e capì.

Cioè: la vita è un dono che si riceve.

Renato Zero nella canzone “La vita è un dono” canta: “La vita è un dono legato a un respiro… dovrebbe ringraziare chi si sente vivo… E’ un dono che si deve accettare, condividere poi restituire”.

La vita non è mia, non è tua: non è di nessuno. E’ un dono che ti viene fatto ma non la possiedi. La vita è il dono che Dio ti fa; il modo con cui la vivi è il dono che fai a Dio. La vita è un dono che ti è stato dato, gratuito; se la vivi, la doni anche tu ad altri.

E’ questo che fa infelici tanti uomini e donne: non hanno un motivo per cui vivere. Hanno la vita (un dono) ma non sanno che farsene (non la spendono per niente).

Se non si ha una ragione per vivere non c’è ragione per vivere. Allora le persone si lasciano vivere nei bar… nelle dicerie… nei giudizi… nello sprofondare davanti la tv… nelle liti e beghe… che servono per dare un minimo di emozione ad una vita che non ne ha.

Viene un momento in cui bisogna porsi la grande domanda: “Ma io, visto che la vita passa, per cosa voglio spendere la mia?”. E quando si trova qualcosa, bisogna chiedersi: “Ciò per cui voglio spendere la mia vita, vale la mia vita?”. Perché a volte le persone spendono la vita per delle cretinate. E la vita è un dono grande… e non si può buttare via.

Un ragazzo chiede al vecchio nonno: “Che fai nonno?”. “Pianto alberi”. “Ma questi alberi, nonno, ci mettono decine di anni a crescere: non vedrà mai i suoi frutti”. “E’ vero, io ho mangiato frutti di alberi che altri hanno piantato e tu mangerai i frutti che ho piantato io… E quando sarai grande, ricordati di piantare i tuoi alberi”. Quali sono i miei alberi?

Allora Gesù dice: “La vita è un dono e l’unico modo di vivere è vivere questo dono: donarsi”.

Gesù allora dice: “Farò della mia vita un dono per il mondo”. E’ questo che Gesù dice ogni domenica nell’eucarestia: “Prendete, questo è il mio corpo; prendete questo è il mio sangue” (Mc 14,22-23).

E qual è il dono di Gesù? Dio. Gesù ha vissuto l’esperienza di un Dio nuovo, diverso, Padre. Per questo Gesù dice: “Farò di questa mia vita… missione… sacrificio, un dono per tutti voi”. E il suo “albero” ha dato frutti e vita a tutti noi.

Io sono un dono: un dono è qualcosa di atteso, di cercato, di desiderato. Essere un dono vuol dire che il mondo ha bisogno di noi, ci aspetta, vuole noi. Essere un dono vuol dire che noi abbiamo qualcosa da dare a questo mondo.

Qual’è il mio dono per questo mondo? E cosa posso donare se neppure so di aver qualcosa da donare?

Un bambino aveva piantato un osso e adesso lì vi era un grande albero. Anche il ragazzino era cresciuto e adesso voleva sposarsi. Ma non aveva soldi. Così l’albero gli disse: “Prendi i miei frutti e vendili al mercato, avrai i soldi per il matrimonio”.

Qualche anno dopo, la famiglia del giovane si ingrandì con l’arrivo di alcuni figli. In casa non c’era più posto. Ma il giovane non aveva soldi per un’altra casa: “Prendi i miei rami, tagliali e fatti una casa nuova”.

Qualche anno dopo il giovane tornò dall’albero: era inverno faceva freddo e aveva finito la legna. L’albero gli disse: “Prendi il mio tronco, taglialo e brucialo, così avrai calore per te e per la tua famiglia”. Il giovane gli disse: “ma se faccio questo tu morirai”.                            “E’ vero, disse l’albero, è il mio dono per te: un albero è stato creato per questo”. E prima di tagliarlo, dopo averlo ringraziato, il giovane gli disse: “Tu non morirai, tu vivrai in me”.

Amare è “spezzarsi” per gli altri: non di distruggersi per gli altri ma di fare della propria vita un dono.

 

Pensiero della settimana

La vita non è trovare se stessi:

la vita è creare se stessi.