Non fatevi chiamare rabbì

XXXI Domenica del Tempo Ordinario

5 Novembre 2023

 

  • Prima lettura: Ml 1, 14-2,2-10
  • Salmo: 130
  • Seconda lettura: Ts 2, 7-9.13
  • Vangelo: Mt 23, 1-12

 

Per riflettere...

Unica guida il Cristo

Nei vangeli delle scorse domeniche abbiamo visto questo conflitto tremendo fra Gesù e i sommi sacerdoti (Mt 21,23-27: “Con quale autorità fai
questo?”), fra Gesù e i farisei (Mt 22,15-22: tributo a Cesare), fra Gesù e i sadducei (Mt 22,23-33: resurrezione dei morti), fra Gesù e dottori della
legge (Mt 22,34-40: “Qual è il più grande comandamento?”). Insomma, tutti ce l’hanno con Gesù!
In questo capitolo 23 Gesù rivolge contro scribi e farisei le parole più violente del vangelo. E’ un discorso di una violenza verbale sconcertante:
sembra impossibile sentire Gesù dire tali cose, eppure! Gesù è schifato dall’istituzione giudaica ma sono parole di monito a tutti coloro che nella
comunità cristiana utilizzano strumenti di potere, di dominazione e di ambizione.
In questo capitolo li chiama “teatranti”, “guide cieche”, “pazzi”, “serpenti” e “sepolcri imbiancati”: insomma da starci lontani e da non imitare perché
ti contamino come la peste. Eppure sono le guide di Israele!
Cos’è che fa arrabbiare terribilmente Gesù? Che questi qui, che si credono “guide”, hanno impedito di far conoscere il vero volto di Gesù: Dio è Amore
per tutti. Invece hanno convinto il popolo che è impuro, che è in peccato, che deve sempre chiedere scusa. Hanno convinto che l’amore di Dio
dev’essere guadagnato con i meriti (che stabiliscono loro), con i digiuni (che stabiliscono loro), con le offerte (il cui ricavato va a loro).
Quindi cosa succede? Quando una persona accetta che “Dio” è questo ha due possibilità: o lo accetta e si sottomette al Dio della paura, a cui bisogna
sempre dare e a cui non basta mai; oppure lo rifiuta e rimane senza quell’Amore e quella Forza che viene da Lui.
Il dramma è che chiamano “Dio” quella che è “il loro Dio, il loro interesse”. “Ma quale legge di Dio? Sono le vostre regole che vi siete fatti… ma Dio
non ha mai detto così!”.
23,1 Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2 dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei.
 ALLORA GESÙ SI RIVOLSE ALLA FOLLA=sono le stesse parole di inizio del discorso della Montagna (Mt 5-7): lì era bene sapere cosa fare, qui è
bene sapere cosa non fare e cosa non essere. Gesù dice: “Mi raccomando, evitate in tutti i modi di essere così!”. Ma così come?
❒ SULLA CATTEDRA DI MOSÈ SI SONO SEDUTI GLI SCRIBI E I FARISEI=nella sinagoga, a rappresentare la presenza di Mosè, c’era una
seggiola lasciata vuota. Sarebbe stata occupata dal profeta annunziato da Mosè quando sarebbe arrivato. Solo che non c’è seduto Mosè (il Dio
della liberazione, il Dio Creatore) ma si sono seduti i farisei: è un Dio giurista (come il grande legislatore Mosè), un Dio del merito, del buono e del
cattivo e della paura.
❒ SCRIBI E I FARISEI=uno dei titoli ambiti a quel tempo da parte delle autorità religiose era quello di essere “guida dei ciechi”: non solo, cioè di
quelli che ci vedono, ma anche di quelli ciechi, tanto si ritenevano importanti, tanto strabordante era il loro ego. Gesù dice: “Guide dei ciechi? Voi
siete guide cieche, altro guida dei ciechi”.
Mia nonna quando predicava il suo parroco: “Beo ciò!”. “Ma cosa ha detto nonna?”. “Ah, non lo so ma senti che scienza”. Alcune citazioni in latino,
qualche parola, avevano un effetto ipnotizzante su di lei.
3 Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno.
❒ PRATICATE E OSSERVATE TUTTO CIÒ CHE VI DICONO=in realtà Gesù condanna non solo la pratica degli scribi e dei farisei (qui) ma anche la
loro dottrina: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 5,20-48).
Gesù afferma che le loro leggi sono “invenzione”, creazione degli uomini: non vengono per niente da Dio, come dicono loro.

Quindi qui Gesù dice: “Non fate quello che fanno”. Ma prima Gesù aveva già detto: “Non fate neppure quello che dicono”. E poi Gesù lo confermerà:
se fanno tutto per essere ammirati, che dottrina volete che venga fuori? Se questo è il motivo del loro agire, che dottrina volete che vi insegnino?
Parlerà della loro miseria! Quindi, non fate neanche ciò che dicono perché è una dottrina adulterata, manipolata!
1. Questa stessa espressione “quanto vi dicono fatelo e osservatelo” si trova in Es 24,7-8: “Disse il popolo: “Quanto ha detto il Signore, lo
eseguiremo e vi presteremo ascolto”. Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: “Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso
con voi sulla base di tutte queste parole!””. Gesù non dice delle parole a caso ma richiama esattamente le parole dell’alleanza che il popolo aveva
giurato solennemente e pubblicamente davanti a Dio: si erano impegnati a fare!
Ma l’hanno fatto? No! Quindi hanno tradito la fedeltà a Dio. Loro sono quelli che dicono ma non fanno!
2. Quest’espressione, inoltre, ne richiama un’altra di Es 23,24-25: “Tu non ti prostrerai davanti ai loro dèi (stranieri) e non li servirai; tu non ti
comporterai secondo le loro opere, ma dovrai demolire e frantumare le loro stele. Voi servirete il Signore, vostro Dio (e non gli altri dei!)”.
Allora cosa dice qui Gesù? Proprio voi che vi considerate i custodi di Dio siete senza-Dio, siete degli idolatri, anzi siete nemici-di-Dio, siete satana
(=oppositore). Il loro vero interesse non è Dio ma la loro ambizione, il loro prestigio, il loro potere.
4 Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con
un dito.
❒ LEGANO INFATTI FARDELLI PESANTI E DIFFICILI DA PORTARE=quali sono questi pesanti fardelli? Sono le regole religiose:
1. “Dio ha detto che bisogna dare la decima”: Sì, ma chi non ha pane come fa a darla?
2. “Bisogna andare ogni anno al tempio”: sì, ma chi non ha un soldo come fa a fare un viaggio?
3. “Bisogna non toccare una donna mestruata”: sì, ma chi vive con la propria moglie, come fa a non toccarla?
Questo è il terribile criterio religioso: “Dio dice così”, solo che non è Dio ma la Legge, la Chiesa, le leggi degli uomini: “Chi è separato niente
sacramenti! Chi convive, è in peccato! Chi…, ecc”.
Queste regole impediscono agli uomini di avvicinarsi al Dio della Vita: questo è un grave peccato! Uno che si è separato, uno che sta soffrendo, ha, a
maggior ragione, bisogno di Lui: ha bisogno di essere accettato perché a volte neppure lui si accetta, bisogno di risentirsi una persona degna
d’amore perché a volte ci si sente uno schifo, bisogno di perdonarsi visto tutti i sensi di colpa che ha, bisogno di non sentirsi giudicato da Dio visto
che tutti lo fanno.
E’ come dire: sono ammalato, vado dal medico, dal dottore e lui mi dice: “Non puoi venire qui perché sei ammalato!”. “Ma ci vengo proprio per
questo: perché sono ammalato! Perché ho bisogno di cura”. “No, vieni qui quando sarai guarito!”. “Ma come?”.
Allora la gente non capisce più chi è Dio. Allora la gente, che ne ha così tanto bisogno, viene esclusa proprio da chi potrebbe aiutarla.
Dio è colui che si prende cura del cuore e delle anime delle persone, colui a cui tutti stanno a cuore, colui che ama a prescindere dal nostro
comportamento, come il vangelo ci insegna (“Mt 9,12: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico ma i malati”); oppure Dio è un giudice, un
vigile, insegnante, che ti giudica in base a ciò che tu fai? Se sei bravo sei ammesso, se non hai raggiunto la sufficienza non vieni ammesso?
Ai capi religiosi, dice Gesù, il bene dell’uomo non interessa: interessa quello di Dio. Da questo punto di vista sono insensibili: “La Legge dice così…!”:
sì, ma non vedi che fai soffrire la gente? Non vedi che imponi regole assurde, disumane? Non vedi che schiacci di regole le anime? “La regola dice
così!”. Peccato che il bene di Dio sia l’uomo!
Quindi quello che chiamano “Dio” non è “Dio”, ma la loro ambizione e il loro potere di dominio. Dio è nell’uomo: quando una religione manipola,
sfrutta, è contro l’umano, qualunque cosa dica, è contro Dio.
Ai capi religiosi non interessa la vita degli uomini (saper sentire e gestire le proprie emozioni, essere felici, avere relazioni sane e positive, essere
creativi e vitali, avere sogni grandi, sviluppare l’affettività e l’amore, imparare il perdono di sé e degli altri, far crescere misericordia e compassione
per tutto ciò che esiste, sviluppare una spiritualità universale, imparare a tradurre in azioni il vissuto del proprio cuore).
A loro interessano i riti, le norme, gli abiti, le cerimonie, i distintivi, gli ossequi, i saluti, cioè l’apparato religioso. Questo perché non avendo la Vita

dentro di sé non possono darla.
Quindi dice Gesù: da questa gente non aspettatevi niente! Anche quello che vi dicono lo dicono solo per dominarvi. Quindi non solo non fate ciò che
fanno ma neppure ciò che dicono!
Come poteva non esser ucciso Gesù, dicendo tali cose!
❒ ESSI NON VOGLIONO MUOVERLI NEPPURE CON UN DITO=perché non vogliono muovere o meglio rimuovere questi fardelli? Perché se lo
facessero perderebbero il loro ruolo di prestigio.
Il loro potere è: “Noi sappiamo cosa vuole/dice Dio, quindi voi, per seguire Dio, dovete ascoltare noi”. Se per caso, un giorno, come farà Gesù, le
persone scoprissero che Dio è già nel cuore di ciascuno, loro a che cosa servirebbero? Certamente non più a questo.
E qui c’è una grande differenza per i mediatori di Dio (preti, suore, consacrati, ecc.): una cosa è credere di “avere Dio”, cioè: “Se non fate quello che
vi diciamo, Dio non vi vuole (e quindi noi vi escludiamo)”; una cosa diversa è portare a Dio, cioè: “Noi siamo solamente un mezzo, una strada, per
arrivare a Lui” (e allora lo scopo è creare momenti vivi per sentire, vivere, l’esperienza di Dio).
5 Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange;
❒ ALLARGANO I LORO FILATTÈRI=i filatteri erano delle custodie di pelle, contenenti quattro brani della scrittura (quindi era un modo per
mostrare la propria devozione alla Legge).
❒ E ALLUNGANO LE FRANGE=le frange ricordavano i comandamenti.
Quindi questi segni dovevano ricordare la Legge e la loro devozione a Dio. Scribi e farisei osservanti sembrano devoti alla Legge perché ostentano
questi segni ma in realtà sono solo esibizioni esteriori che nascondono la povertà interna e la miseria interiore: non hanno cuore né umanità; non
c’è qui la Legge dell’Amore. La gente li guardava e diceva: “Guarda che religiosi! Guarda quanto pregano!”.
L’esibizione delle insegne religiose è la denuncia che in realtà queste persone non osservano e non praticano nulla.
Primo ritratto: amano sentirsi importanti, più/sopra degli altri per quello che fanno. Ma quando uno vuole essere più degli altri è perché si
sente meno degli altri.
6 si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe,
❒ SI COMPIACCIONO DEI POSTI D’ONORE NEI BANCHETTI=il posto d’onore era vicino al padrone di casa, dove si veniva serviti prima e si
mangiava meglio.
❒ PRIMI SEGGI NELLE SINAGOGHE=le sinagoghe a gradinate, quindi i primi seggi erano quelli in alto, quelli più in vista, quelli per le persone
importanti e distanti dalla gente comune.
7 dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
❒ DEI SALUTI NELLE PIAZZE=i saluti è la deferenza, l’ossequiosità della gente per il loro incarico: “Buongiorno Monsignore!; buongiorno dottore,
ecc”.
Secondo ritratto: amano essere ammirati (=stimati, riveriti; ad-mirabilia=vedere cose meravigliose).
❒ ESSERE CHIAMATI “RABBÌ” DALLA GENTE=lett. è “Signore mio”, che oggi sarebbe alla lettera “Monsignore (mio Signore)”. Solo Giuda
chiamerà così (rabbì) Gesù (Mt 26,49).
Cosa amano quindi? Amano essere riveriti, amano essere ossequiati perché non cercano l’onore di Dio, ma soltanto il proprio.
La denuncia di Gesù è tremenda e non è tanto una denuncia contro di loro (sì certo!), piuttosto un monito perché all'interno della comunità cristiana
non rinascano queste situazioni.

Purtroppo non è così, perché tra i discepoli di Gesù ci sono quelli che si fanno già chiamare “Monsignore”, che amano essere riveriti e ossequiati (Mt
23,8; Mt 18,1-6 o Lc 9,46: “Chi è il più grande? Un bambino, cioè chi è più piccolo!”; Lc 22,24: “Chi tra loro fosse il più grande? Colui che serve”).
8 Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli.
❒ VOI NON FATEVI CHIAMARE “RABBÌ”=il rabbì è colui che sa, colui che insegna. Quindi, l’atteggiamento di ciascuno, sia quello che nessuno si
ponga o si creda superiore agli altri. Siete tutti sullo stesso piano.
Gesù stesso nella sua vita è stato etichettato. A volte in senso negativo (il mangione, l’amico dei pubblicani, delle prostitute, l’amico di Beelzebul
principe dei demoni, ecc), a volte in senso positivo: “Maestro buono, Figlio di Davide”. Tutti gli altri titoli attribuitogli (ad es. Figlio di Dio) gli sono
stati attribuiti dopo la sua morte quando non poteva più intervenire e non poteva più difendersi.
Ma Gesù era semplicemente Gesù e questo gli bastava. Gesù non aveva bisogno di nessun titolo. E quando parlò di sé parlo semplicemente di Figlio
dell’Uomo che significa nient’altro che uomo. Gesù rifiutò sempre di essere Figlio di Dio, Messia (=Christos in greco), Figlio di Davide: anzi si
dissociò da tutti i titoli del suo tempo (scriba, fariseo, dottore, ecc).
Sii te stesso e questo è più che sufficiente!
Il titolo ti dà un potere. Quando uno si presenta come il dottor tal dei tali o il parlamentare o il laureato, naturalmente noi ci mettiamo in un
atteggiamento di rispetto e venerazione maggiore. Ma ogni uomo è semplicemente un uomo. Chi, invece, ha bisogno di titoli deve compensare
una inferiorità interna che il titolo offre. Agli occhi di Dio non esistono i laureati, i politici, gli avvocati, i magistrati, i docenti, i vescovi: agli occhi
di Dio esistono solo i suoi figli.
Il maestro è il tuo servo. Servo, cioè, in ascolto di quello che sei tu. Il suo compito è quello di far emergere ciò che tu sei. Di far sì che tu possa
diventare te stesso.
Tutti i nostri maestri sono nostri servi altrimenti non sono maestri, sono impostori, arroganti e rivendicano per sé il diritto sulle nostre vite. Vogliono
vivere e dirigere anche la nostra? Non gli basta la loro? O non riescono a viverla, forse?
Se il maestro ti vuole come lui è un cattivo maestro. Il maestro è chi è al servizio tuo, perché tu divenga te. Se un genitore non è servo, maestro,
non è un buon genitore. Se un educatore non è un buon maestro, cioè servo, non è un buon educatore.
Quando uno ti dice: “Fa’ così… segui il mio consiglio… io sono tuo padre, tuo vescovo, tuo capo… fa’ come ti dico io… io so cosa è bene per te”, ti
inganna: non seguirlo.
Nel Testamento di Francesco si legge: “Nessuno mi ha insegnato come dovevo vivere: né la chiesa, né i sacerdoti, né i teologi. E’ stato Dio stesso a
rivelarmelo. E mi ha rivelato che dovevo lasciare il mondo e andare in mezzo ai lebbrosi”.
Quando Leonardo Boff decise di lasciare il ministero (per scontri con la gerarchia), gli dissero: “Leonardo, tu sei un profeta. Allontanati un po’, poi
tutto si calmerà e tu potrai continuare. Fa’ come ha fatto Teilhard (de Chardin)”. Lui rispose: “Lui era Teilhard. Io sono Leonardo”. E lasciò.
9 E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste.
❒ E NON CHIAMATE “PADRE” NESSUNO DI VOI SULLA TERRA=padre era uno dei titoli dei componenti del sinedrio. Quindi il “padre” era colui
che era superiore agli altri, così come il padre comandava e dirigeva (era cioè superiore) il proprio figlio.
Quindi nessuno si faccia chiamare: “Padre; don (diminutivo di dominus=signore); monsignore; guida”, che non si tratta di non dire queste parole ma
di credere che un ruolo e una funzione (scriba, guida, sacerdote, dottore) determini una superiorità di essere e di valore.
Terzo ritratto: amano sentirsi superiori degli altri (=avere potere sugli altri).
Non chiamare nessuno “Padre” vuol dire: “Io ho una vita. Nessuno può vivere la mia vita; nessuno può vivere la mia morte. Nessuno può percorrere
la mia strada per me, nessuno può dirsi o arrogarsi di essere mio maestro, nessuno può pretendere di sapere che cosa è bene per me. Non glielo
devo permettere!

Dire che nessuno può dirci cosa fare nella vita vuol dire ricordarci che noi siamo responsabili della nostra vita. E’ mia, la vivo come credo più
opportuno e mi prendo le conseguenze delle mie scelte. E non devo dare la colpa a nessuno della mia infelicità. E’ la mia vita; sono le mie scelte.
Se non mi va, la cambio. Ma non mi lamento.
Ad un giovane diventato rabbino dopo la morte del padre, anche lui rabbino, dicono: “Sei proprio uguale a tuo padre!”. E lui: “Sì, è vero, siamo
proprio uguali. Lui non assomigliava a nessuno. E neanch’io!”.
La gente ha così tanto bisogno di ciucci! Il ciuccio è un bel biberon già pronto. Con il ciuccio non c’è da faticare, né da procurarsi niente. E’ tutto già
pronto, basta succhiare. Cerchiamo così tanto qualcuno che ci dia le risposte… che ci risolva i problemi… che abbia le soluzioni per noi… che abbia
le idee giuste per noi… che non vediamo l’ora di buttarci nelle mani di qualcuno…
Ci piacciono le regole… le definizioni… le certezze: “Fai questo; fai quello”. Anche al tempo di Gesù gli chiedevano sempre: “Maestro cosa devo fare
per avere la vita eterna?” .
La gente chiede: “E cosa devo fare?”. Il maestro: “Guarda non lo so. Solo tu puoi scoprirlo. Se vuoi ti posso accompagnare nella ricerca”.
L’impostore: “Fai così… fai colà… fai come me… fa’ questo”.
Quante agenzie tentano di venderci la verità: “Come essere belli… felici… prestanti sessualmente… ecc”. Guardate i giornali: “Come… cosa fare per
dimagrire… per essere sempre giovani…”. Le ricette.
Avete presente il ciuccio: a noi piacerebbe trovare il biberon della verità. Basta succhiare… applicare… leggere… studiare un po’ ed è fatta.
Spiacente per voi, ma non è così.
La verità è un percorso solo personale. Vuoi trovarla? Cercala! Gesù a chi gli chiedeva: “Maestro dove abiti?”, lui rispondeva: “Vieni e seguimi”.
Ci sono molte persone che si credono dei salvatori, dei padri. Ma solo Dio salva.
Dio salva e solo io posso permettergli questa cosa. Tutti gli altri no. Molti, invece, si arrogano il diritto di salvare gli altri.
Ma quando io mi sostituisco a qualcuno gli tolgo la grande possibilità di esprimere le sue risorse, le potenzialità, di prendere coscienza che la forza è
dentro di lui, che la sua salvezza dipende da lui, che la sua felicità e la sua vita sono nelle sue mani e non nelle mani di altri.
La madre che si sostituisce in tutto al bambino, non lo ama, lo rende dipendente. Gli lancia questo messaggio: “Non puoi vivere senza di me”. Che
vuol dire: “Tu sei cretino e dovrò esserci sempre io al tuo fianco”.
Quando i figli litigano fra di loro, se non ci sono pericoli gravi, che si arrangino. Se interviene sempre qualcuno a risolvere la situazione gli
sottraiamo la capacità di sapersela gestire da soli. E quando saranno grandi e litigheranno al lavoro, chi ci sarà? La mamma? O quando
entreranno in conflitto con il partner, come faranno?
Alcune persone vivono sostituendosi agli altri. Sembrano disponibili, buone, con un grande animo. Ma sotto sotto c’è una grande onnipotenza.
Alcune persone, invece, delegano a qualche padre la loro vita, vogliono essere salvati dagli altri.
Alcune persone chiedono: “Aiutami”, che vuol dire: “Trovami le soluzioni; che cosa devo fare?”. Purtroppo non lo so; ma se lo sapessi sarebbero
solo le mie e non le tue soluzioni. Quante persone dicono: “Fai tu, decidi tu, tu sai, per me è lo stesso…”.
Amare è lasciare che l’altro trovi le sue soluzioni, faccia le sue scelte e si prenda le sue responsabilità. Se gliele dico io (ammesso che sappia quali
siano) lui non si sviluppa, non cresce: gli ho dato un pesce. Oggi mangia, ma non gli ho insegnato a pescare. E domani che farà? Tornerà da me?
10 E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
❒ E NON FATEVI CHIAMARE “GUIDE”=la guida è il maestro.
Il maestro, quindi, sa di più dell’allievo e del proprio discepolo, per studio, per esperienza. Quando vi fate chiamare così vi mettete in posizione di
superiorità rispetto agli altri. E che solo il Cristo sia la nostra Guida, ci indica che molte persone sono importanti, da loro impariamo molte cose, ci
aiutano, ci insegnano, ma rimangono sempre persone!
Quindi, nessun gruppo, nessuna persona, si ponga come guida (“Fa’ come ti dico io; io so; tu segui me, ecc”) degli altri. Perché? Chi lo fa usurpa il
ruolo del Cristo. Unica guida Cristo, il Maestro. Ma questo fa male ai farisei perché dicendo così Gesù sottrae le persone dal loro potere.

11 Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo;
❒ CHI TRA VOI È PIÙ GRANDE=meizon=più grande; lo dice qui anche il vangelo: “Chi vuol essere più grande degli altri è perché dentro è più
piccolo”. Ecco la vera grandezza: servire=amare. Più uno ha bisogno di essere ammirato, approvato e minore è la sua maturità: per questo i
bambini e gli adolescenti hanno bisogno di essere visti, ammirati, apprezzati.
❒ SARÀ VOSTRO SERVO=diakonos è colui che sceglie di servire (doulos=schiavo costretto a servire). Ecco la grandezza: non essere più degli altri
(come scribi e farisei) ma essere i servi degli altri; essere cioè sotto degli altri, non perché si è meno ma perché così si serve=si ama tutti.
Chi dovrebbe essere a capo di una comunità? Colui che serve gli altri, cioè colui che ritiene tutti importanti, tutti da ascoltare, tutti da servire e non
colui che vuole comandare gli altri.
12 chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.
❒ CHI SI UMILIERA’=tapeinos=basso=umile, modesto; indica chi non si sente più degli altri.
La domanda sottostante alle parole di Gesù è: “Chi è tuo padre?”.
Ogni domenica noi diciamo: “Padre Nostro”. Ma è proprio vero che Lui è nostro Padre? Padre per Gesù è solo colui che ti dà la vita. Tuo padre
naturale non è tuo padre perché non ti ha dato la vita: te l’ha trasmessa, ma non è la fonte della vita. Solo Dio è la Fonte della Vita, solo Lui è
tuo Padre. Eppure io ho molti padri, ho molti padroni che mi comandano e che mi dirigono.
Una ragazza vuole fare filosofia all’università. Il padre glielo impedisce: “Non si lavora con la filosofia; pensa al tuo futuro e a mantenerti”. Così lei
controvoglia fa giurisprudenza: ha troppa paura di deludere suo padre! Suo padre è suo padrone. Il Padre del Cielo avrebbe detto: “Segui il tuo
cuore e prenditi la responsabilità e le conseguenze di quello che fai”.
Una coppia vorrebbe approfondire il proprio rapporto. Nella loro parrocchia c’è il gruppo giusto per questo. Ma tutti i loro amici la domenica fanno
altro: giro al mare, in montagna, a sciare. “Ci piacerebbe così tanto venire ma poi i nostri amici ironizzano su di noi”. Chi è tuo Padre? Chi decide
nella tua vita?
Una donna separata dal marito vorrebbe fare la catechista. Ma ha già sentito le voci in giro: “Non farà mica la catechista quella lì!”. Chi è tuo Padre?
Il giudizio degli altri? “Segui il tuo cuore, fa’ quello che desideri e accettane le conseguenze. Sì forse (è certo) avranno da dire su di te. E allora?”.
Ogni volta che noi facciamo qualcosa per non deludere gli altri, facciamo di questi altri i nostri padri. Cioè: vogliamo la loro stima, la loro
approvazione e per averla rinunciamo a noi.
Spesso le persone vengono e chiedono: “Cosa devo fare?”. Vorrebbero una risposta e loro la farebbero, come i bambini che fanno le cose per
compiacere il papà o la mamma.
“Non sono tuo padre. Ma nessuno è tuo padre”. “Facciamo luce insieme se vuoi, ma non devi fare nulla perché te lo dico io. Quindi tanto vale la
pena che non te lo dica”.
Quando qualcuno ti dice: “... Ma lo sai cosa penserà tua madre? ... Lo sai cosa ne pensa di queste cose il tuo capo?... Lo sai cosa si dirà in giro?”, tu
rispondi: “Lo sai cosa ne pensa Dio?”.
A chi ti dice: “Non vali niente”, tu rispondi: “per te no, ma per Dio sì”. Chi ci dice così tenta di umiliarci: non permettiamoglielo. “Posso anche non
piacerti perché non sei il mio Dio. E a Lui io piaccio”.
E a chi ti dice: “Tu sei tutto per me”, tu rispondi: “Solo Dio è tutto, io no”. Chi ci dice così tenta di assolutizzarci: non permettiamoglielo (anche se ci
piace essere l’aria per qualcuno)! Sono contento di piacerti ma solo Dio è la tua aria non io: quindi non attaccarti a me.
Diceva S. Chiara: “Fa’ che solo Dio sia Dio. Fa’ che solo il Padre sia tuo padre”.
Il vangelo di oggi ci fa riflettere su di una cosa così banale e semplice tanto da dimenticarla.
In questo mondo noi non siamo soli. In questo mondo ci sono anche gli altri. E noi li guardiamo! E guardando loro, ci chiediamo chi siamo noi?

Siamo come loro? Siamo più o meno di loro? Siamo più bravi, intelligenti, fortunati, simpatici, ammirati, rispettati, amati, accettati, chiamati, scelti,
degli altri o siamo meno di loro?
Poiché ci sono anche gli altri, noi (inevitabilmente) ci confrontiamo e ci chiediamo: “Sono più di loro o sono meno di loro?”.
Ecco gli scribi e i farisei cosa facevano: si confrontavano e loro si ritenevano migliori, più, degli altri, degni di essere ammirati, visti e di essere
“qualcuno”.
E’ la storia della rana e del bue. C’è una rana che vede un bue. Allora si gonfia per essere come il bue. “Sono come il bue?”, chiede alle altre rane.
“Ma neanche per sogno!”. Allora si gonfia di più: “E adesso!”. “Non se ne parla neanche!”. Allora si gonfia ancor di più: “E ora?”. “Ma neanche
lontanamente!”. Allora prende tutta la sua forza e si gonfia all’inverosimile… e scoppia!!!
Solo che, a ben pensarci, è una domanda mal posta. Come dire: è più buona una mela o una pera? Ma non c’è una cosa più o meno buona: hanno
due gusti diversi, non si possono confrontare! Si possono confrontare due persone? No!, sono troppo diverse! Eppure…
Vi ricordate Biancaneve? Quando la strega dice allo specchio: “Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?”. “O mia regina, tu
sei bella, ma in mia fe’, al di là dei monti e dei piani presso i Sette Nani, Biancaneve è più bella di te”. Cosa fa la regina? La vuole uccidere.
Non ci capita di odiare certe persone perché hanno cose o persone che noi non abbiamo?
E cosa succede se un nostro amico ama di più un’altra persona che noi?
Ma ci toglie qualcosa? No. Ma noi vogliamo essere i primi, i preferiti, gli unici.
E così o diventiamo invidiosi o gli rinfacciamo che lui non ci vuole bene.
Ci sono due campeggiatori in Canada. Ad un certo punto si trovano davanti un orso. Allora uno dei due si mette le scarpe e l’altro gli dice: “Perché ti
metti le scarpe? Non puoi correre più veloce di un orso”. Allora l’altro gli risponde: “E chi ha bisogno di correre più veloce dell’orso? Mi basta
soltanto correre più veloce di te”.
Qual è la soluzione: “Io sono io e tu sei tu. Io diverrò il meglio di me e aiuterò te a diventare il meglio di te”.
Il confronto: il modo per non conoscersi!
Com’è che noi ci conosciamo? Come conosciamo chi siamo, noi stessi? Ci sono tre grandi strade:
1) L’autoriflessione. Mi fermo, mi ascolto, guardo a quello che ho dentro e lo sviluppo.
Ma guardarsi dentro richiede tempo, impegno e desiderio. Bisogna fermarsi e vedere cosa c’è dentro nel bagaglio che ognuno di noi ha (risorse,
doni, talenti, capacità, sensibilità, comportamenti, ecc). La maggior parte delle persone non vuole guardarsi dentro per cui non sa chi è.
Quando chiedi alle persone: “Per che cosa daresti la vita? Che cosa ti appassiona? A che cosa saresti disposto a non rinunciare mai? Dove, quando,
ti senti vivo?”, la maggior parte non sa cosa rispondere: “Boh!”. E perché? Perché non si conosce e non sa cosa c’è dentro di sé.
2) L’osservazione del nostro comportamento.
Osservo che sono sempre nervoso, che “scatto” con un niente, che sono sempre irrequieto e mi dico: “Ho rabbia dentro di me”.
Osservo che se non me lo chiedono non parlo mai, che temo sempre di sbagliare o di dire una cosa inappropriata o di fare brutta figura, che
arrossisco quando qualcuno mi rivolge la parola e mi dico: “Sono timido”.
Osservo che non faccio nulla se non ho l’approvazione di mia madre o della mia famiglia o dell’autorità e mi dico: “Non sono autonomo!”.
Solo che osservarsi costa fatica e per farlo bisogna guardarsi dentro.
3) Il confronto con gli altri. Guardo gli altri e mi dico: “Sono più bello di Tizio? Sono più bravo di Caio? Sono più intelligente, fortunato,
“studiato”, ricco di Sempronio?”.
Quando si fa così? Gli studiosi hanno visto che più uno fa così e meno si conosce; cioè più le persone si confrontano e meno si conoscono (meno
cioè hanno informazioni su di loro).

Confrontarsi è semplice, è facile, ma non permette di conoscersi. Permette solo un giudizio (più o meno) su di sé o sugli altri.
Nella versione positiva: “Io sono più di te” per cui posso criticare, denigrare e, anche se anch’io ho qualche peccato, di certo io non sono come te!!!
Oppure la viviamo nella versione negativa: “Tu sei più di me”, per cui io non valgo niente e sono un nulla. Ma sentirsi più degli altri o sentirsi meno
degli altri, in ogni caso vuol dire confrontarsi. Poi nel confronto si esce vincenti o perdenti ma in ogni caso ci si confronta.
La dinamica profonda è: “Guardo gli altri per vedere se sono meglio o peggio”, che vuol dire: “Io non ho valore: il mio valore dipende dagli altri, a
seconda che sono sotto o sopra. Non dipende da me, ma dalla mia posizione”.
Si è sempre in gara e sempre in competizione. Ecco cosa fa il confrontarsi.
Ama ciò che sei… e sarai felice. Ama ciò che hai… e sarai felice.
C'era una volta un re molto triste che aveva un servo molto felice che circolava sempre con un grande sorriso sul volto. «Paggio», gli chiese un
giorno il re, «qual è il segreto della tua allegria?». «Non ho nessun segreto. Signore, non ho motivo di essere triste. Sono felice di servirvi. Con
mia moglie e i miei figli vivo nella casa che ci è stata assegnata dalla corte. Ho cibo e vestiti e qualche moneta di mancia ogni tanto».
Il re chiamò il più saggio dei suoi consiglieri: «Voglio il segreto della felicità del paggio!». «Non puoi capire il segreto della sua felicità. Ma se vuoi,
puoi sottrargliela». «Come?». «Facendo entrare il tuo paggio nel giro del novantanove». «Che cosa significa?». «Fa' quello che ti dico...».
Seguendo le indicazioni del consigliere, il re preparò una borsa che conteneva novantanove monete d'oro e la fece dare al paggio con un messaggio
che diceva: «Questo tesoro è tuo. Goditelo e non dire a nessuno come lo hai trovato».
Il paggio non aveva mai visto tanto denaro e pieno di eccitazione cominciò a contarle: dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta, sessanta...
novantanove! Deluso, indugiò con lo sguardo sopra il tavolo, alla ricerca della moneta mancante. «Sono stato derubato!» gridò. «Sono stato
derubato! Maledetti!».
Cercò di nuovo sopra il tavolo, per terra, nella borsa, tra i vestiti, nelle tasche, sotto i mobili... Ma non trovò quello che cercava.
Sopra il tavolo, quasi a prendersi gioco di lui, un mucchietto di monete splendenti gli ricordava che aveva novantanove monete d'oro. Soltanto
novantanove. «Novantanove monete. Sono tanti soldi», pensò. «Ma mi manca una moneta. Novantanove non è un numero completo», pensava.
«Cento è un numero completo, novantanove no».
La faccia del paggio non era più la stessa. Aveva la fonte corrugata e i lineamenti irrigiditi. Stringeva gli occhi e la bocca gli si contraeva in una
orribile smorfia, mostrando i denti. Calcolò quanto tempo avrebbe dovuto lavorare per guadagnare la centesima moneta, avrebbe fatto lavorare
sua moglie e i suoi figli. Dieci dodici anni, ma ce l'avrebbe fatta! Il paggio era entrato nel giro del novantanove...
Non passò molto tempo che il re lo licenziò. Non era piacevole avere un paggio di cattivo umore.
E se ci rendessimo conto, così di colpo, che le nostre novantanove monete sono il cento per cento del tesoro. E che non ci manca nulla,
nessuno ci ha portato via nulla, il numero cento non è più rotondo del novantanove.
È soltanto un tranello, una carota che ci hanno messo davanti al naso per renderci stupidi, per farci tirare il carretto, stanchi, di malumore, infelici e
rassegnati. Un tranello per non farci mai smettere di spingere.
Quante cose cambierebbero se potessimo goderci i nostri tesori così come sono.

 

 

 

Pensiero della Settimana

Ho raggiunto l’apice del successo nel modo degli affari.
Agli occhi altrui la mia vita è stata il simbolo del successo.
Tuttavia, a parte il lavoro, ho una piccola gioia

Alla fine la ricchezza è solo un fatto al quale mi sono abituato.

In questo momento sdraiato sul letto d’ospedale e ricordando tutta la mia vita, mi rendo conto che tutti i riconoscimenti e le ricchezze di cui

andavo fiero sono diventati insignificanti davanti alla morte imminente.

Nel buio quando guardo le luci verdi dei macchinari per la respirazione artificiale e sento il brusio dei loro suoni meccanici, riesco a sentire il

respiro della morte che si avvicina…

Solo adesso ho capito, una volta che accumuli sufficiente denaro per il resto della vita,
che dobbiamo perseguire altri obiettivi che non sono correlati alla ricchezza.

Dovrebbe essere qualcosa di più importante: per esempio le storie d’amore, l’arte, i sogni di quando ero bambino…
Non fermarsi a perseguire la ricchezza potrà solo trasformare una persona in un essere contorto proprio come me.
Dio ci ha dato i sensi per farci sentire l’amore nel cuore di ognuno di noi, non le illusioni costruite sulla fama.

I soldi che ho guadagnato nella mia vita non li posso portare con me.
Quello che posso portare con me sono solo i ricordi rafforzati dall’amore.

Questa è la vera ricchezza che ti seguirà, ti accompagnerà, ti darò la forza e la luce per andare avanti.

L’amore può viaggiare per mille miglia.
La vita non ha alcun limite: vai dove vuoi andare.
Raggiungi gli apici che vuoi raggiungere.
E’ tutto nel tuo cuore e nelle tue mani.

Qual è il letto più costoso del mondo? Il letto d’ospedale. Puoi assumere qualcuno che guidi l’auto per te, che guadagni per te, ma non puoi

aver qualcuno che sopporti la malattia al posto tuo.
Le cose materiali perse possono essere ritrovate.

Ma c’è una cosa che non può essere ritrovata quando la si perde: la vita.

In qualsiasi fase della vita siamo in questo momento, alla fine dovremo affrontare il giorno in cui calerà il sipario.
Fate tesoro dell’amore per la vostra famiglia, dell’amore per il vostro coniuge, dell’amore per i vostri amici.

Trattevi bene.
Abbiate cura del prossimo.

(Steve Jobs, sul letto di morte)