Missione dei Dodici

XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 

18 giugno 2023

 

  • Prima lettura: Es 19, 2-6
  • Salmo: 99
  • Seconda lettura: Rm 5, 6-11
  • Vangelo: Mt 9, 36-10, 8

 

 

Io credo nella potenza che c'è in te: l'ho messa io!

 

Nel vangelo di oggi c’è una sensazione di dolore intenso misto a rabbia. Gesù vede la gente (9,36) e ne ha compassione. Il verbo usato splanchnizomai è quella sensazione che ti prende la pancia, le viscere, quell’emozione che si prova quando si è inteneriti dal dolore che hai davanti.

Cosa sta succedendo? Mosé aveva chiesto al Signore che dopo di lui ci fossero degli uomini alla guida del popolo, affinché “la comunità del Signore non fosse come un gregge senza pastore” (Nm 27,17). Di per sé c’era chi doveva fare questa cosa: i dottori della legge; ma costoro non badavano al gregge ma a pascere se stessi e i loro interessi. Allora il popolo era come “pecore senza pastore” (espressione popolare), che vuol dire senza riferimenti, in balia di chiunque volesse impadronirsene, allo sbando, perso, rassegnato e disperato.

Osservate bene: Gesù non chiede altri pastori che sostituiscano quelli esistenti. Gesù chiede operai. Perché non pastori? Perché uno solo è il Pastore. Solo Dio è il Pastore da seguire; gli altri sono solo operai del pastore.

“La messe è molta ma gli operai sono pochi”, indica non che ci sono pochi preti, pochi pastori. Indica che ci sono poche persone che vengono in nome di Dio, che veramente lasciano trasparire il Dio che vive in loro e non loro stessi. Il punto non è di averne tanti, ma di avere persone che annuncino per davvero Dio.

Gesù è toccato dal dolore di questa gente, che invece di essere aiutata a vivere, ad esprimersi, a sentirsi benedetta, amata, accolta, voluta dal Padre, viene ingabbiata e repressa da regole assurde, non di Dio.

Gesù è “furente”, e un giorno nel tempio di Gerusalemme la sua furia scoppierà (21,12-13), perché chi doveva mostrare il vero volto di Dio, di un Padre amorevole e sorridente verso i suoi figli, ha nascosto il suo volto mostrandone solamente una facciata di giudizio e di paura.

“Dio non è così! Dio non è questo che voi presentate, anche se vi chiamate sacerdoti, scribi e dottori della Legge. Annunciate il vero Dio! Non chiamate Dio chi e cose che non lo sono. Io conosco il Padre, so chi è e so che non è come voi dite”. Per tutta la vita dovrà testimoniare e ripetere questa frase.

 

Che cosa devono fare gli inviati di Gesù? Dire messa? No. Pregare sempre? No. Celebrare i sacramenti? No.

Da tutti i vangeli risulta chiaro e incontrovertibile il compito degli apostoli, secondo Gesù. Sono due: il primo è predicare il regno dei cieli (10,7) e il secondo scacciare gli spiriti immondi e guarire le malattie e le infermità (10,1.8). Mt qui si sofferma sul secondo.

Gesù, duemila anni fa aveva capito che la fede è qualcosa di molto concreto, tangibile, materiale.  Se credi in Dio, cambiano i tuoi pensieri, i tuoi schemi mentali, il tuo corpo. Se credi in Dio guarisci dalle tue malattie reali, fisiche, interiori ed esteriori. Gesù è stato il grande medico degli uomini: non era un dottore ma un maestro. Ma aveva colto il grande principio universale per cui se ci ammaliamo è solo perché non rispettiamo la nostra anima e non viviamo secondi i principi naturali. La tua malattia è il più grande amico che hai: ti dice quanta è la tua fede (aldilà di quello che dici!).

 

Guarire gli infermi. Guarire è terapeuo, “fare una terapia, guarire, prendersi cura, medicare, curare, rivolgere i pensieri a, coltivare”.  Infermi è “fiacchi, deboli, mancanti, malati”, lett. i “non forti”.

Tu eri senza forza, stanco di vivere, annoiato, zeppo di pensieri. Dicevi: “La vita è così; non si può cambiare; io non ce la faccio; io non ne ho forza; io non posso”. Ma poi hai scoperto che non era vero; poi hai scoperto che la forza e la potenza sono in te; e che ciò che chiamavi impossibile è possibile e ciò che dicevi “magari!” invece è “adesso!”.

Il verbo è chiaro: fare una terapia. Terapia vuol dire cammino, tempo, prendersi cura. In realtà la vita stessa è una grande terapia dove noi tentiamo di diventare ciò che possiamo essere e che già siamo: figli di Dio.

Le persone arrivano e dicono: “Sto male!”. “Facciamo un cammino!”. “Ma quanto ci vuole?”. E sperano che in un mese (massimo due) si possa trovare la soluzione. Se in due mesi guarisci o non stavi male o te la stai raccontando (ti risollevi solo!).

Soffri di attacchi d’ansia? Soffri di attacchi di panico? Sei senza voglia di vivere? Quello è solo il sintomo. Ma cosa c’è dietro? Ci vuole il tempo di scoprirlo, di capirlo, di sentirlo. La magia non esiste. Non si è formato in un giorno, in un attimo. Dietro (dentro) ci sono emozioni, blocchi, paure. Fede è: “Signore, con te, mi metto in cammino perché posso e voglio essere più libero e guarire. Tu Signore che facevi così tante terapie, aiutami nella mia. Io camminerò e tu mi guarirai”. Non fede è: “Mi accontento; me la faccia andare bene; tanto non si cambia!; è il mio carattere!”.

 

Risuscitare i morti. Risorgere è egheiro, svegliare, destare, eccitare (mettere vita dove non c’è). Morti, nekros, è cadavere, morto, estinto, inanimato.

Tu eri morto e dicevi: “Io vivo”, e invece quella era morte. Poi Lui ti ha dato la Vita. Adesso tu sai davvero cos’è la Vita, per questo sai riconoscere chi come te confonde la morte con la vita. Allora tu vai da tutti a dire: “Vivi; stai vegetando: guarda che si può vivere!; non hai neppure idea di cosa sia la vita, di quanto meravigliosa sia! Vivi!”.

Ti è morto chi amavi: “Vuoi morire anche tu? Piangi, fai il lutto, disperati e torna a vivere! Non ti attaccare alla morte. Se muori perché lui se ne è andato vuol dire che lui era la tua vita; vuol dire che gli avevi delegato il compito di farti vivere; eri dipendente da lui”.

Niente ti dà soddisfazione, sei apatico, teledipendente: “Hai sofferto così tanto che ti sei creato un muro enorme che nessuno valicherà, così da tener lontano il tuo dolore. Vuoi vivere sempre così?”. E’ come quando bisogna operarsi: “Ma ho paura!”. “Ho capito, ma vuoi star male tutta la vita?”. “Facciamo ciò che c’è da fare, affrontiamo, soffriamo e poi non se ne parla più”.

 

Sanare i lebbrosi. Sanare, katarizo è “mondare, rendere puro, purificare”; lebbrosi, lepros, è “lebbroso, scabbioso, squamoso, aspro”.

Tu eri pieno di lebbra, di vergogna, ti sentivi sporco e colpevole. “Devo imparare a conviverci; non posso più cambiare; nessuno me lo può togliere”. Ma poi hai incontrato Lui e ti ha ridato dignità. Allora adesso tu vai da tutti a dire: “Si può tornare ad essere puri, incontaminati, degni di vivere”. Si può!

La lebbra della vergogna: “Non posso perdonarmi questa cosa”. Perché vuoi punirti e torturarti per sempre? Tu vuoi punirti per sempre perché non accetti di essere imperfetto, di sbagliare. Vedi: ti credevi perfetto e adesso non ti va di vedere che non lo sei.

La lebbra dell’esser sbagliato: “Non gli va bene niente di ciò che faccio; è sempre sbagliato tutto”. Ti senti sbagliato perché vuoi che per forza lui ti accetti. Se reagisci sai che non lo accetterà e per questo non reagisci. Fai di tutto perché lui ti accetti. Accetta di perderlo, di deluderlo, di non andargli bene e non ti sentirai più sbagliato.

La lebbra dell’amore: “Nessuno mi capisce; nessuno mi vuole; nessuno sta con me”. E chi vuoi che stia con te? Tu vuoi che gli altri stiano con te ma tu non vuoi cambiare di un millimetro.

 

Scacciare i demoni. Scacciare, ekballo, è “buttare fuori, espellere, mandare via”; demoni, daimon, è il demone che ti entra dentro per cui non sei più tu a vivere ma lui; non sei più tu a dirigere la tua vita ma qualcun altro; c’è qualcun altro che pensa, vive e decide in te pur non essendo te.

Tu eri pieno di demoni. Altri che decidono per te (capo, genitori, società, autorità), altri che ti impongono di essere così (aspettative, richieste), altri che ti impongono cosa dire e cosa fare. Dove sei finito tu? Sei scomparso! Non ci sei più! Hai perso te stesso! Ma poi ti sei ritrovato, hai cacciato fuori tutti i tuoi invasori, i tuoi parassiti e i tuoi demoni e sei tornato ad essere te stesso. Adesso “a casa tua”, nella tua vita decidi e comandi tu.

Demonio per la Bibbia è quando un’altra persona entra dentro di te e si impossessa di te. Il demonio è ogni volta che tu agisci non a partire dal tuo cuore, da te, dal tuo centro interiore, ma dagli altri.

Quando tu fai una cosa perché sai che piace a tua madre, tu hai un demonio dentro. Quando fai una cosa contro il tuo volere, solo perché sei costretto, tu hai un demonio dentro. Quando lo fai perché altrimenti il capo o il partner te la faranno pagare, tu hai un demonio dentro. Non rispetti quello che tu senti; fai una cosa contro di te; un’altra persona (capo, partner, ecc.) decide al posto tuo.

Il demonio della paura: “Non ce la faccio!”. “Ma se devi ancora provarci, come fai a dire che non ce la fai?”.

“E’ difficile” che vuol dire: “Non voglio farlo perché dopo magari soffro”.

“Cosa penseranno gli altri”, che vuol dire: “Gli altri sono più importanti di me; non ho sufficiente personalità per accettare la disapprovazione degli altri”.

“Non lo faccio perché altrimenti lo faccio star male”, che vuol dire: “Siccome io non voglio farlo, ho paura di farlo, i costi sarebbero troppo alti, trovo una giustificazione (non lo faccio per lui)”.

 

Il vangelo concluderà con una frase meravigliosa: “Gratuitamente avere ricevuto, gratuitamente date” (10,8). Quello che fai per gli altri lo puoi fare solo se anche a te è stato fatto. E siccome ti è stato fatto gratuitamente, per amore, anche tu, adesso che l’hai ricevuto, che sei guarito, vai e fai lo stesso.

Non puoi fare agli altri quello che non hai fatto su di te. Non puoi trasmettere ciò che tu non provi. Non puoi guarire se tu non sei stato guarito. Non puoi dar fede se tu non ce l’hai. Non puoi far vivere se tu non hai la vita dentro. Fai agli altri quello che a te è stato fatto.

Gesù ne sceglie Dodici. Erano proprio dodici? Erano un gruppo, numericamente non stabile. A volte c’era qualcuno, a volte qualcun altro; qualcuno, invece, c’era sempre.

Il numero dodici è un numero altamente simbolico: dodici sono i mesi dell’anno; le ore del giorno e le ore della notte; i segni dello zodiaco; i figli di Giacobbe a capo delle dodici tribù di Israele; i profeti minori; gli apostoli; i titani; i dei olimpici; le fatiche di Ercole; a dodici anni in molte culture si diventa adulti.

Il dodici è il ciclo che si compie e che richiede un passaggio molto difficile e faticoso, che è il solo che porta a crescere. Il dodici, infatti, segna il passaggio dal profano al sacro.

E’ ciò che hanno dovuto compiere gli apostoli: pur rimanendo in questa vita e aderenti alla realtà, devono scoprire, vedere Dio in tutte le cose. Finché stanno con Gesù (il Tredici) rimangono ancora a questo livello (sono Dodici) ma dopo la sua morte passeranno al livello successivo e per questo scioglieranno i dodici per andare in tutto il mondo ad annunciare il vangelo.

E’ il grande passaggio della vita: far nascere, far vivere il Dio che c’è in noi; lasciare il piano della materia per far vivere lo spirito che abita in tutte le cose. E’ un passaggio trasformativo, evolutivo, difficile, perché chiede di perdere tutto di noi, di farci nudi, di spogliarci di tutto, per poter entrare in una dimensione totalmente nuova.

 

Mt elenca questi Dodici.

Simone, chiamato Pietro (Cefa, roccia, pietra). Il suo nome era Simone, ma alla fine prevalse il secondo nome dato da Gesù. Di lui sappiamo molto di più: era pescatore, con moglie, famiglia e casa a Cafarnao. Pietro è il portavoce degli apostoli durante la vita di Gesù e il prescelto da Gesù per continuare la sua funzione. Sarà Pietro l’incaricato a nutrire e a prendersi cura degli agnelli e delle persone (in questo senso sarà il primo Papa).

Andrea, fratello di Pietro, scompare nei vangeli. E’ un nome greco.

Giovanni, pescatore come Giacomo e quindi non povero. Mc 3,17 li chiama “i figli del tuono”, Boanerghes (potrebbe voler dire oltre a tuono anche commozione, tremare, agitarsi, eccitarsi, urlare). Probabilmente erano “figli del tuono”, perché Gesù vide in loro personalità decise nella proclamazione del regno.

Giacomo, figlio di Zebedeo, viene sempre menzionato con suo fratello Giovanni. Con Pietro (Gv 21,18-19) è l’unico dei Dodici di cui conosciamo il martirio (At 12,1-2). Per gli altri Apostoli è stata la pietà popolare a volerli martirizzati come il Signore. Viene chiamato “il grande (=Santiago)” per distinguerlo da Giacomo il minore e da altri che portavano lo stesso nome. La leggenda lo colloca missionario in Spagna, ma tale leggenda è del VI-VII secolo.

Filippo, nome greco, era discepolo del Battista (Gv 1,35-44), passato poi a Gesù.

Bartolomeo, il figlio di Talmai. Viene messo da tutti gli evangelisti nella lista dei Dodici, ma non viene mai nominato altrove. Di lui non sappiamo nulla. Non è Natanaele con cui è stato identificato.

Tommaso, compare raramente, eccetto l’episodio di Gv 20 dove “deve toccare le ferite di Gesù”. Il nome Tommaso (Didimo, in greco) vuol dire gemello. Non è, dunque, un nome proprio. Chi c’è dietro a questo personaggio sconosciuto? E di chi era gemello?

Matteo, il pubblicano. In Mc e Lc non vi è l’appellativo “il pubblicano” (Mc 3,18; Lc 6,15) e al posto di Matteo esattore delle tasse c’è Levi (Mc 2,14; Lc 5,27).

Giacomo d’Alfeo. La tradizione lo ha chiamato “il minore” (Mc 15,40). Anche Levi (Mc 2,14) era “figlio di Alfeo”: potrebbero, forse, essere stati fratelli.

Taddeo: non sappiamo nulla di costui. Nella pietà popolare veniva acclamato come il “santo dell’impossibile”.

Simone il Cananeo. Cananeo (qan’ana) è la forma ebraica del greco “zelota”. Gli zeloti erano un gruppo di ebrei molto osservanti della Legge di Mosè, rigoristi, fino ad usare la violenza contro gli apostati.

Giuda Iscariota. Di lui sappiamo poco: che Gesù lo scelse e che consegnò Gesù alle autorità di Gerusalemme precipitando così l’esecuzione. Che fosse ladro o avido questo è storicamente dubbio. Iscariota potrebbe venire dalla radice ebraica sqr (mentire, essere falso). Iscariota, più probabilmente, era il sopranome che designava la sua provenienza che ci rimane però ignota.

 

Cosa possiamo dire di questo gruppo di persone? Storicamente molto poco, ma spiritualmente molto: quando c’è un ideale grande e la disponibilità a mettersi in gioco nulla è più impossibile.

I Dodici avevano un carattere molto diverso. Uno zelota, come Simone il Cananeo, osservante per eccellenza, stava insieme, ad esempio, con un pubblicano come Matteo. Un po’ come mettere insieme un ebreo e un palestinese.

Dev’esserci uno scopo comune, una motivazione profonda e il desiderio di uscire dalle proprie posizioni perché caratteri così diversi abbiano potuto convivere. Fra Giacomo e Giovanni, che erano “figli del tuono”, cioè “scaldarini”, ambiziosi e Pietro “testa dura”, “de coccio!”, non dev’essere stata facile la convivenza. C’erano uomini così diversi fra di loro: c’erano ebrei, greci (tre portano un nome greco), pubblicani (amici dei Romani), zeloti (nemici dei Romani), pescatori poveri (Pietro e Andrea) e pescatori ricchi (Giovanni e Giacomo). Alcuni erano ricchi e benestanti, altri no. Alcuni espansivi e aperti, altri non dicono neppure una parola. Alcuni rilevanti, al centro del gruppo e riconosciuti da Gesù, altri sempre in disparte.

Eppure sono stati insieme perché avevano un’ideale grande (il Signore, la Vita, l’Annuncio, il Regno) e la disponibilità ad evolvere, a cambiare, a mettersi in gioco (il “seguimi” è proprio questo: “Mettiti in gioco e fidati di me. Lascia il tuo porto e inoltrati nell’Oceano”).

 

Durante l’innamoramento è favorita l’evoluzione: l’impulso della novità dell’altro ti fa cambiare, evolvere. Ma poi l’innamoramento finisce e a volte finisce anche il desiderio di evolvere insieme, di accettarsi sempre di più nella diversità trovando equilibri sempre nuovi tra autonomia e fusione, tra unicità e amore.

Quando arrivano i figli è favorito l’ideale grande: ma poi i figli crescono, e che rimane alla coppia?

Una coppia: lui aveva un “caratterasso”: burbero, duro e non parlava mai. Lei dolce, carina, con un gran bisogno di comunicare le emozioni e di essere accolta. Lui per tutto il fidanzamento ha fatto un grande sforzo e veramente sembrava “essere l’uomo giusto per lei”. Ma una volta sposati lui ha smesso di evolvere, è ritornato ad essere una pietra inscalfibile e impenetrabile perché le emozioni per lui sono troppo pericolose. Stanno ancora insieme ma è un rapporto tra morti.

E’ incredibile di come la gente ingenuamente pensi che sia semplice stare insieme. Dice: “Sappiamo che è difficile”, ma non fa niente per farsi aiutare, per crescere. Non un incontro, non un percorso, non degli spazi dove imparare, non una “scuola per genitori, per coppie, per amare”. Poi si arrabbiano perché è finito tutto: “E come pensavi che potesse andare?”.

Quando sei single l’obiettivo, lo scopo, è trovarsi il “moroso”. Quando sei fidanzato lo scopo è sposarsi. Quando sei sposato lo scopo è avere dei figli. Quando hai dei figli, che scopo c’è ancora? O fai sempre il genitore, come quei genitori che con i figli di venti-trent’anni dirigono e si intromettono sempre (d’altronde non sanno fare altro che i genitori: se non lo facessero cosa gli rimarrebbe?), o fai come quelli che si trascinano (è un po’ come se aspettassero la morte: “Tanto a che servo io?”). Oppure trovi altre motivazioni, ragioni, scopi per vivere. Altrimenti finisce tutto.

I 12 stavano insieme non per il carattere o perché erano uguali, ma perché: 1. avevano uno scopo in comune; 2. una motivazione fortissima (annunciare il vangelo); 3. erano disposti ad evolvere.

Quando le coppie dicono: “Non siamo fatti l’uno per l’altro”, si dicono una bugia. “E finora?”, “dove siete stati finora? Perché siete stati assieme?”. Le coppie finiscono perché o non si vuol più evolvere o esaurito una funzione (matrimonio, uscire di casa, figli, ecc) non si è in grado di trovarne un’altra.

 

Gesù non ha limato l’intensità del carattere ma l’ha indirizzata.

Pietro era uno testardo e duro; Giacomo e Giovanni erano spigolosi, “scaldarini” e ambiziosi; Tommaso dubitava di tutto; Giuda Iscariota cercava sempre il compromesso; Matteo veniva da un ambiente di ladri legalizzati e riconosciuti, Simone il Cananeo era rigido, un osservante, un intransigente. Ma ce n’era uno di “normale”? Ma che compagni si è preso?

Gli apostoli avevano un carattere forte, deciso, intenso. Per questo Gesù li sceglieva (“seguimi”). Gesù, per questa missione, non sceglieva tutti, ma solo quelli che erano “intensi”. D’altronde dovevano lasciare la famiglia; lasciare tutte le loro precedenti idee e mettere in discussione tutto quello che finora avevano creduto e pensato fosse giusto; incontrare l’ostilità, la derisione e la disapprovazione; affrontare il pericolo fisico e il rischio di un futuro ignoto; credere in se stessi e nella forza che avevano dentro, così da poter trasmettere agli ammalati la forza di guarigione; vivere emozioni trasgressive (stare con gente “dubbia”; toccare), di felicità e di dolore estremo: vi pare una cosa da tutti? Vi pare che tutti possano vivere così? Vi pare che uno non debba essere “strutturato”, forte, radicato, per seguire Gesù?

L’educazione in seminario dovrebbe formare non delle persone ubbidienti, dolci e servili, remissive e tutte sulla stessa linea. Una pecora o viene sbranata dal lupo (non ha la forza di essere radicata e radicale) o si rinchiude nel suo recinto (per paura non riesce ad uscire, ad evolvere). Il seminario dovrebbe aiutare i futuri preti ad essere persone radicate, interiormente forti, intense, senza paura dell’autorità o del giudizio sociale. Certo, persone non facili da gestire, ma persone, uomini veri, profeti, amanti della Passione e del Fuoco, non marionette o funzionari del sacro o esecutori religiosi.

Gesù ha scelto discepoli personalità forti, intense. Per questo a volte remano contro di lui; per questo a volte si ribellano; per questo troviamo degli scontri. E Gesù non ha addolcito la loro intensità, la loro impetuosità: l’ha messa a servizio del regno.

C’è un ragazzo che ha una personalità forte. In classe lui dev’essere al centro; al catechismo o tutti lo vedono o lui ti impedisce di fare qualunque cosa. E’ difficile da gestire uno così; uno così ti viene da riprenderlo sempre. “Smettila!; stai fermo!; non ci sei solo tu!; sei impossibile; che caratteraccio che hai!, ecc”. Se lo dovessi addolcire o rabbonire potesti poi dire: “Ce l’ho fatta! Per fortuna che ha cambiato carattere!”, ma in realtà lo hai rovinato, gli hai tolto la sua caratteristica: l’intensità. Uno così lo devi aiutare ad essere protagonista, ad essere al centro; uno così è un trascinatore, un leader (lo farai chierichetto, capoclasse; responsabile di…, ecc).

In un compito di italiano, un ragazzo di dodici anni ha scritto, rivolgendosi a suo padre: “Non mi tagliare la testa solo perché è più alta della tua, non levarmi il cervello se è più grande del tuo e non uccidermi il cuore se ama più di te e batte”.

Gesù ha scelto persone intense, decise, radicate, perché il vangelo è così, passionale, pericoloso, rivoluzionario, profetico, dirompente, sconvolgente. E per volere una cosa bisogna chiedersi, non solo: “La voglio?”, ma anche: “Sono in grado? Ne ho la forza? Quanto sono disposto a lasciarmi coinvolgere?”.

 

Gesù non si scoraggiò davanti alle cadute e ai tradimenti dei suoi compagni. Giacomo e Giovanni, erano così ambiziosi da chiedergli “posti di potere” (Mc 10,35-45). Pietro lo ha rinnegato tre volte pubblicamente (Gv 18,27). Giuda lo ha tradito (Gv 18,3) e tutti lo hanno abbandonato nel momento decisivo e più difficile della croce.

Eppure Gesù ha creduto in loro. Non si è fermato ai loro “no”, ai loro ritiri e alle loro fughe. Sapeva che erano in grado di cose grandi, sapeva la forza e conosceva la potenza che abitava nel loro cuore. Credette in loro e questa fiducia che non ritirò mai, e che loro percepirono, permise agli apostoli di fidarsi di se stessi, di quello che avevano dentro e di andare poi in tutto il mondo.

“Credo in te”: se posso trasmettere questo ai miei figli, ai miei discepoli, farò loro il dono più grande.

Ad un ragazzo, ex tossicodipendente, uscito da San Patrignano hanno chiesto: “Che cosa ti ha salvato?”. E lui: “Ha creduto in me (il fondatore) anche se non c’era niente per cui valesse la pena di credere in me”.

L’amore è questo: “Credo in te perché vedo oltre ciò che fai; credo in te perché io ti vedo dentro”. Se lo crederai anche tu, e ti darò tutto il tempo per farlo, potrai prendere il volo e il largo.

 

 

Pensiero della Settimana

 

Chi non si attacca a nulla non perderà mai niente.

Chi non si attacca alle persone non avrà mai perdite.

Vivi ogni cosa ma lasciala scorrere.

Vivi ogni persona ma lasciala andare.

Beati i poveri in spirito perché non possedendo nulla avranno tutto.