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IV domenica del tempo di avvento

Domenica  23 dicembre 2018

Prima lettura: Mi 5, 1-4      Salmo: Sal 79       Seconda lettura: Eb 10, 5-10     Vangelo: Lc 1, 39-45

 

 

Prima di questo vangelo vi è stato l’annuncio al padre di Giovanni della sua nascita e poi l’annuncio alla madre di Gesù della sua nascita. Adesso i due piccoli grandi personaggi, ancora prima di nascere, attraverso le loro madri, s’incontrano. Lc, che in questo racconto sta facendo teologia, mostra che fin da subito, prima ancora di nascere, il Battista riconosce la superiorità di Gesù (il Battista, attraverso la madre Elisabetta dice: “Benedetto il frutto del tuo grembo”, Lc 1,42).

E’ chiaro che i primi due capitoli di Lc non hanno per nulla l’intenzione di narrare la storia dell’infanzia del Battista e di Gesù (quindi non cerchiamo notizie storiche) ma sono un’accurata opera letteraria dove l’A.T., nella figura del Battista, annuncia la sua fine e riconosce la nascita del N.T., nella figura di Gesù.

Maria, la madre, da parte sua, fin da subito è discepola di suo figlio, cioè si mette a servizio di Gesù.  

 

1,39 In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.

IN QUEI GIORNI=quali giorni? Sono i giorni successivi all’annunciazione. Maria, dopo l’annunciazione, si trova incinta per opera dello Spirito Santo.

 

L’amicizia: tu mi puoi capire!

 

Cosa succede? Maria ha saputo dall’angelo che la sua parente Elisabetta (Lc 1,36) è incinta.

Noi abbiamo proiettato le nostre idee e abbiamo detto: “La va ad aiutare!”. Ma nel vangelo non c’è scritto nulla di tutto ciò. Perché se fanno qualcosa, invece, è condividere, comunicare.

Nel vangelo non si dice che Elisabetta abbia bisogno di Maria; inoltre, Maria ritorna a casa prima del parto di Elisabetta. Ora, tutti sappiamo che se una donna ha bisogno di aiuto, è proprio durante il parto e nei giorni immediatamente successivi. Perché allora torna a casa prima?

E’ evidente che l’accento non cade sull’aiuto ma sulla condivisione. L’una e l’altra, infatti, si benedicono, si riconoscono perché entrambe vivono situazioni simili, si raccontano la gioia grande che stanno vivendo. C’è tanta comunicazione fra di loro!

Entrambe hanno un meraviglioso (e pericoloso!) segreto e sentono il desiderio di raccontarlo, di dirlo, di esprimerlo. Non possono tenerlo per sé: ma a chi dirlo? Chi può capire?

Ecco l’amicizia: avere qualcuno a cui puoi dire tutto. Avere qualcuno che sai che ti accoglierà nonostante tutto. Avere qualcuno che ci sarà al di là di ciò che tu farai, dirai o vivrai.

Tu hai qualcuno così? C’è qualcuno a cui potresti dire tutto, ma proprio tutto di tutto?

Tu puoi essere così per qualcuno? Puoi amare ed essere presente per qualcuno al di là di tutto?

 

SI MISE IN VIAGGIO=lett. è “alzatasi (anistemi=alzarsi, risorgere), andò”. Ma alzatasi da cosa? Da dov’era prima! E dov’era prima? In casa sua. L’annuncio dell’angelo, la chiamata che riceve ad essere madre di Dio, la mette in movimento, in azione.

La vocazione di Maria la spinge fuori: la chiamata di Dio non è mai solamente tra te e Lui. Quando si è chiamati ci si muove. La chiamata ha un aspetto intimistico perché è l’incontro tra Dio e l’uomo nel suo profondo, ma la si riconosce dall’aspetto esterno: essere chiamati è muoversi, realizzare, mettersi in gioco, operare qualcosa di grande per questo mondo.

Osserviamo, inoltre, che mentre Elisabetta si nasconde (Lc 1,24) di fronte all’incredibile che le accade, Maria, a cui è capitata la medesima cosa, esce, si alza e si muove. Lei non si nasconde: ciò che le succede la mette in movimento e in azione.

 

Maria donna del coraggio

 

Dal nord della Galilea Maria si mette in viaggio, in fretta, verso il sud della Giudea. Qui ci sono almeno due problemi.

 

  1. Il primo problema è che Maria è una donna.

Ma come fa una ragazzina tra i 12 e i 13 anni a intraprendere un viaggio da sola (Lc non dice che si sia unita a qualche carovana, né che l’accompagni il marito) e passare attraverso la regione montuosa? Pensateci un attimo: Maria intraprende da sola un viaggio di più giorni. Indicativamente devono essere stati qualcosa come 150 km: una bambina di 12 anni fa da sola un viaggio così? Una donna a quel tempo da sola!: poteva essere oggetto di tutto! Oggi nessuno di noi lascerebbe sua figlia da sola alla sera: figuratevi a quel tempo!

Dobbiamo anche ricordarci che per scendere dalla Galilea alla Giudea si allungava il viaggio di 3 o 4 giorni evitando di passare per la Samaria, data la secolare inimicizia tra Giudei e Samaritani. Perché, allora, non ha scelto il percorso che facevano i pellegrini nella valle del Giordano, strada più lunga ma più tranquilla? Perché tanto era il desiderio di comunicare, di condividere la gioia e di portare l’amore che aveva dentro ad Elisabetta. E’ l’amore che non conosce difficoltà.

L’amore, le difficoltà, le supera. Quando si ha qualcosa di grande dentro non vi sono difficoltà od ostacoli che tengano. Se tu guardi all’ostacolo tutto è impossibile. Ma se tu guardi al tuo desiderio, allora tutto è possibile.

 

  1. Secondo problema: non consulta né il padre né Giuseppe.

A quel tempo non si poteva neppure uscire di casa senza l’approvazione e il consenso del maschio (marito o padre), figuriamoci fare un viaggio del genere!

Quindi ciò che fa è una trasgressione delle regole sociali e un sovvertimento dell’ordine gerarchico: a capo della sua vita non c’è più l’uomo maschio ma lei stessa.

 

Vedete che donna Maria! A volte noi ce la immaginiamo come modello dell’umiltà e del silenzio, modello del nascondimento o colei che ubbidisce e se ne sta zitta, tutta casa, madre e preghiera. Ma i vangeli non ci presentano affatto Maria così: era una donna con “le palle”, decisa, forte, coraggiosa.

Che fiducia ci vuole per dire “sì” ad una maternità del genere? Ad affrontare Giuseppe e il giudizio della gente, dei familiari? Nella condizione, poi, di quel tempo!

Che forza ci vuole per dire certe cose: “Dio rovescia i potenti… rimanda a mani vuote i ricchi… disperde i superbi…”. E’ una donna sovversiva!

Che coraggio ci vuole per rischiare da sola un viaggio del genere?

Che forza fisica ci vuole per andare fino a Betlemme, incinta e “avanti”, su quelle strade?

Se c’è da parlare a Gesù chi lo fa? Non lo fa mica Giuseppe, lo fa lei (Lc 2,41-50)!

Maria è una donna-coraggio, forte, decisa un po’ come le madri di Plaza de Mayo, che con coraggio cercavano la verità sui loro figli scomparsi (desaparecidos).

Maria è una donna indipendente, autonoma, non sottomessa alla normale legge del patriarcato.

Maria è una donna che osa il rischio e il pericolo perché per lei ciò che ha dentro, la vita che ha dentro, è più importante di ogni cosa.

 

IN UNA CITTA’ DI Giuda=Lc poteva dire in “una città della Giudea” e invece dice in “una città di Giuda”, cioè sottolineandone l’appartenenza alla tribù di Giuda. Perché usa quest’espressione?

Perché Maria viene da Nazaret che si trova in Galilea e va in una città della Giudea. Ma cosa pensano quelli di Giuda dei Galilei? Pensano che siano soltanto degli ignoranti, dei bifolchi (Galilea vuol dire proprio questo: “Bifolchi”), delle teste calde, ostili e ostinati, dimenticati da Dio.

Gv 1,46: “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?”, dice Natanaele.

Gv 7,52: “Studia e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea”, dicono i farisei a Nicodemo.

Ebbene, l’aiuto viene proprio da là dove nessuno se l’aspettava. E’ la Galilea (Maria) che adesso aiuta la terra di Giuda (Elisabetta); sarà il Galileo Gesù che salverà il mondo.

 

IN FRETTA=perché ha fretta? Maria ha fretta di comunicare vita; Maria ha la vita dentro di lei e sente il bisogno di comunicare questa vita che ha dentro. Il desiderio di comunicare la vita che ha dentro è così forte che parte senz’indugio: la vitalità che ha dentro è più forte del pericolo che c’è fuori. Maria fa esperienza del Signore (ce l’ha dentro!) e vuole comunicarlo.

 

Maria la nuova arca

 

Nell’A.T. vi era l’arca dell’alleanza: era un cofanetto trasportabile contenente le due Tavole della testimonianza, cioè il Decalogo (Es 25,16; 31,18).

Cosa racconta l’A.T. sull’arca?

Ad esempio della salita dell’arca verso la città santa (2 Sam 6,2): ecco perché Maria “deve” salire per la regione montuosa (Lc 1,39).

Quando l’arca arriva vi sono grida e acclamazioni di giubilo (2 Sam 6,15; 1 Cr 15,28; 2 Cr 5,13): anche Elisabetta esulta nel vedere l’arrivo di Maria e del suo “cofanetto” Gesù (Lc 1,42-44).

Quando l’arca arriva vi sono salti di gioia (2 Sam 6,16; Ml 3,20; Sal 114,4-6; Sap 19,9): anche il bambino di Elisabetta salta nel suo grembo all’arrivo dell’arca che contiene Gesù (Lc 1,44).

E’ chiaro il parallelismo: prima l’antica arca conteneva dei libri e delle leggi (i Dieci Comandamenti), adesso la nuova arca contiene una persona, Gesù. Con l’antica arca il verbo adeguato era osservare quelle leggi, adesso è amare una persona. Si va a Dio non più attraverso l’osservanza delle regole ma attraverso l’amore per le persone. E se l’antica arca conteneva le leggi, le tavole, dell’Alleanza, la nuova contiene Gesù, il Figlio di Dio, che manifesterà il suo amore non solo agli ebrei ma a tutta l’umanità.

Lc, allora, presenta Maria come arca della nuova alleanza. L’antica alleanza conteneva le tavole della legge mentre Maria è l’arca della nuova alleanza e non contiene più una legge ma la potenza di Dio: l’amore, Gesù.

 

Come non bastasse vi è il parallelismo con un altro episodio molto conosciuto. In 2 Sam 6,11 e in 1 Cr 13,14 si racconta che “L’arca del Signore rimase tre mesi (guarda caso!) in casa di Obed-Edom di Gat e il Signore benedisse Obed-Edom e tutta la sua casa”.

Quanto rimane Maria da Elisabetta? Tre mesi (Lc 1,56)! Per questo Maria “deve” stare tre mesi perché adesso è lei la nuova arca che benedice.

 

40 Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta.

SALUTO’ ELISABETTA=Maria fa esattamente ad Elisabetta quello che l’angelo aveva fatto con lei (“Entrando da lei, l’angelo disse: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”, Lc 1,28): saluta. Prima si riceve e lo si impara, poi lo si da.

Il saluto nel contesto del tempo ebraico non è: “Ciao! Come va? Come stai? Hai fatto buon viaggio?”.

Non si desidera solamente il bene della persona ma si cerca di procurarlo. Salutare è voler dire: 1. “Sono qui per il tuo bene”. “Sono qui per te! Sono qui per aiutarti! Mi metto a tuo servizio!”. 2. “Vedo che Dio è con te e in te”. Salutare vuol dire riconoscere che in quella persona Dio c’è. In Elisabetta Dio c’è, in Zaccaria no.

 

Chi è morto non può capire chi è vivo

 

Le due donne si possono capire perché hanno in comune la stessa cosa: la vita dentro.

E qui c’è un criterio enorme per la nostra vita: “Non ti può capire chi non vive, chi non ha, lo stesso tuo linguaggio”.

Elisabetta capisce Maria perché anche lei è viva dentro. Zaccaria no: lui è morto e non può capire le due donne così piene di vita.

Due che sono stati in guerra, quando si parla di certe cose si capiscono bene: uno che l’ha letta sui libri no! Due donne che hanno partorito si capiscono bene quando parlano di gravidanza e di travaglio, noi uomini no. Due scalatori che sono andati sul Monte Bianco si capiscono bene, tu che vai sempre al mare no. Due persone che hanno cambiato radicalmente vita per il vangelo si capiscono benissimo, ma non ti può capire chi per cui il vangelo è solamente un libro come tanti altri.

Chi è “vivo” è capito benissimo da chi è “vivo”, da chi ha il cuore aperto, elastico, capace di vibrare, di sussultare, di entusiasmarsi, di gioire, di emozionarsi, ma non può essere capito da chi è “morto”, freddo nei suoi schemi mentali, rigido nella sua paura di cambiare, intellettualizzato nel mondo delle idee che lo proteggono e lo salvaguardano dalla vitalità delle emozioni.

Non insegnare ad un maiale a cantare perché tu perdi tempo e lui s’incazza.

Non chiedere a chi “è morto” di capire te che sei “vivo”, non perché sia cattivo, ma perché non può: non ce l’ha questo linguaggio dentro!

 

Qui Lc vuol dire: solo chi è vivo può capire la vita; solo chi è innamorato può capire l’amore; solo chi ha la gioia può capire certi gesti.

Zaccaria non può capire; Zaccaria non può vibrare, Zaccaria non sa entusiasmarsi, non sa stupirsi, non sa meravigliarsi, non sa piangere, non sa rallegrarsi, non ha quel cuore che queste donne hanno.

Una ragazza ha utilizzato i suoi primi 3 stipendi per fare come regalo di compleanno al suo fidanzato un viaggio con lei. I suoi genitori le hanno detto: “Ma sei matta? Mettiti da parte qualcosa che poi te lo ritrovi! A che serve buttare via i soldi così?”. Economicamente sono buttati via, forse, ma il cuore ha ragioni che la mente non conosce. Il cuore accumula amore e felicità; la mente soldi.

Elias, 37 anni, era un uomo impegnato per la liberazione dei ragazzi dalla prigionia delle favelas. Un giorno i squadroni della morte andarono a casa sua e lo uccisero. Sua madre quando lo vide sanguinante gli disse: “Te l’avevo detto, perché ti sei impicciato con quella gentaglia?”. “Mamma sono stato al mondo 37 anni e ho vissuto 37 anni. Sono stato felice di ciò che ho fatto. Lasciami andare!”. E così morì. Sono le ragioni del cuore che sono incomprensibili per chi non ha cuore.

Nel gennaio 1981 un aereo appena decollato dall’aeroporto di Washington si scontrò con un ponte precipitando nel fiume Potomac (a gennaio è gelido!). Dall’elicottero i soccorritori lanciavano i salvagente ad un uomo che nell’acqua li passava a tutti gli altri. Lui non se lo metteva ma come gliene arrivava uno subito lo passava a qualcuno salvandogli la vita. L’ultimo salvagente era per lui ma un attimo prima “l’uomo nell’acqua” scomparse. Aveva salvato molte vite ma sacrificando la sua. “Io non capisco”, mi disse un uomo quando raccontai questa storia: “Non poteva tenersene uno, dico uno, per sé”. “Non capisci perché non hai gli occhi dell’amore”.

Vi ricordate Gesù? Prima della sua passione una donna (Mc 14,3-9) venne e ruppe un vaso di alabastro preziosissimo (trecento denari=un anno di lavoro). E chi vedeva: “Ma che spreco! Perché tutto questo olio profumato? Non si poteva benissimo vendere quest’olio per 300 denari e darli ai poveri!?”. Ma Gesù: “Lasciatela fare! In tutto il mondo sarà ricordato il suo gesto”.

Sono i gesti dell’amore, di chi ha il cuore vivo, di chi ha il cuore grande. Gli altri non possono capire perché sono legati alle logiche della mente, economiche, finanziarie o della paura.

 

ENTRATA NELLA CASA DI ZACCARIA=ma cosa avrebbe dovuto fare Maria? Salutare il padrone di casa, Zaccaria… ma non lo fa!

Zaccaria è l’autorità perché maschio e un’autorità perché sacerdote. Ma il saluto di Maria, nonostante sia nella casa di Zaccaria, si rivolge ad Elisabetta (neppure lo degna Zaccaria!). Maria sembra ignorare Zaccaria. Maria ignora l’uomo del rito, il sacerdote, l’uomo che prega ma non crede.

“Una viene a trovarmi e non mi saluta? E non saluta il padrone di casa?”, avrà pensato Zaccaria. Forse che Maria è irrispettosa? Forse che non è gentile? Maleducata? O forse c’è dell’altro?

Cos’era successo? Zaccaria era rimasto muto (e sordo!) perché era stato refrattario, freddo, incredulo, all’annuncio di Dio (Lc 1,5-25). Zaccaria, sacerdote e religioso, aveva rifiutato lo Spirito Santo, aveva rifiutato l’annuncio di Dio. Maria ed Elisabetta, invece, lo Spirito Santo lo avevano accolto. E questo Spirito le aveva riempite non solo di un figlio ma di una gioia, di una sensibilità, di una profondità che Zaccaria non ha.

 

41 Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo

IL BAMBINO LE SUSSULTO’ NEL SUO GREMBO=ma chi è questo bambino? E’ il Battista.

 

Cosa ci dice qui Lc? Che Dio si manifesta attraverso e nelle relazioni umane. Dio si “muove, si fa sentire” proprio in questo saluto, in questo modo di relazionarsi, in questo parlarsi di anime, in questo darci cuore a cuore.

Dio si manifesta, cioè si rende visibile, toccabile, palpabile, là dove le parole comunicano “vita”.

Questo saluto è una trasmissione di percezioni, di energie vitali; è un incontro di anime dove gli spiriti si riconoscono (per alcune persone queste parole sono lingua sconosciuta!).

Dio non si manifesta nelle liturgie ma nelle relazioni umane là dove c’è una comunicazione di vita.

E se la liturgia è relazione allora si manifesta anche lì.

 

Dio si manifesta dovunque… basta saperlo accoglierlo!

Dio si manifesta nelle liturgie? Sì, se lo accogli. E’ che Zaccaria non crede che quello sia “Dio” e per questo nella casa di Dio non incontra Dio (Lc 1,12).

Dio si manifesta nelle intuizioni, nelle visioni, nelle illuminazioni? Sì, per Maria all’annunciazione è così (Lc 1,26)!

Dio si manifesta nella gioia? Sì, per i pastori è così (Lc 2,9)!

Dio si manifesta nelle persone? Sì, per Maria e Giuseppe è così quando Simeone (Lc 2,26), uomo pieno di Spirito Santo, annuncia loro che il loro figlio sarà “luce delle genti” (Lc 2,32).

Dio si manifesta nei sogni? Se li accogli sì, come sarà per Giuseppe (Mt 1,20).

Allora: Dio si manifesta ovunque. Non è questo il problema. Dio lo puoi vedere dappertutto e sempre. La questione è se tu avrai occhi; la questione è se tu lo accoglierai; la questione è se tu potrai accettare di vederlo come lui si manifesta. Perché quando Lui viene, non viene mai come tu avresti pensato, desiderato o come ti saresti aspettato.

 

ELISABETTA FU COLMATA DI SPIRITO=cioè: lo Spirito scende proprio grazie alle parole di Maria.

Le parole di Maria battezzano Elisabetta. Maria è la prima battezzatrice. Gesù battezzerà non con l’acqua ma in Spirito Santo (At 1,5): qui Maria è già battezzata. Maria, quindi, battezza prima di Gesù e ancora prima del Battista.

 

Qui c’è un altro criterio enorme per la nostra fede: lo Spirito Santo c’è dove c’è “vita”. Le due donne si trasmettono Spirito perché hanno la vita dentro di sé, mentre in Zaccaria che è un’anima morta, non scende nessun spirito.

 

Allora: c’è un parlare che ti benedice, che ti riempie di Spirito Santo, che ti fa “percepire” Dio. E c’è un parlare insignificante e addirittura uno maledetto, che ti riempie di male e di dolore.

 

42 ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!

ED ESCLAMO’ A GRAN VOCE=Elisabetta non parla per sentito dire, per delle chiacchiere arrivate dalla gente, ma perché è piena di Spirito.

Se Maria sa di Elisabetta (Lc 1,36), Elisabetta non sa di Maria. E come lo sa? Perché è una profetessa, cioè una donna ripiena di Spirito Santo.

 

Lc è volutamente ironico. Suo marito è muto mentre lei è un effluvio di parole, di benedizioni, di parole vive e gioiose.

“Tu sì che sei benedetta perché hai creduto e non come mio marito Zaccaria che invece non ha creduto”. Quindi in queste parole c’è un implicito rimprovero a Zaccaria.

Tra l’altro, Maria crede a qualcosa che non era mai accaduto (Dio nasce da una donna), mentre Zaccaria, uomo di Dio, non crede a ciò che era già più volte accaduto (una sterile partorisce).

Cosa succede qui? Elisabetta riconoscendo la benedizione del grembo di Maria è una profetessa (i profeti riconoscono Dio e parlano in suo nome) compito che sarebbe toccato a suo marito Zaccaria.

Allora: non è tanto il ruolo che determina la funzione ma la capacità interiore. Zaccaria ha il ruolo di sacerdote ma non è un profeta; Elisabetta non ha nessun ruolo ma fa la funzione di profeta.

Chi doveva essere profeta, Zaccaria, non lo è. Lei, Elisabetta, che non lo doveva essere, lo è.

 

BENEDETTA TU FRA LE DONNE=questa benedizione si rifà alle benedizioni delle donne dell’A.T., delle grandi eroine che hanno salvato il popolo (Giaele, Giuditta).

In Gdt 13,18 prima che Giuditta tagli la testa ad Oloferne si scrive: “Benedetta sei tu figlia, davanti al Dio altissimo più di tutte le donne che vivono sulla terra e benedetto il Signore Dio che ha creato il cielo e la terra e ti ha guidato a troncare la testa del capo dei nostri nemici…”.

Osserviamo che lo Spirito cambia lo sguardo di Elisabetta: Maria adesso non è più tanto sua “parente” (Lc 1,36) ma la “madre del suo Signore”, cioè del Messia atteso (Lc 1,43). I legami di anima, per la fede, sono più importanti dei legami di sangue.

 

E BENEDETTO IL FRUTTO DEL TUO GREMBO=questa era la benedizione contenuta nel Deuteronomio per gli uomini fedeli all’alleanza: “Benedetto il frutto delle tue viscere”. Non viene più benedetto un uomo ma una donna!

 

43 A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?

A CHE COSA DEVO=significa: “Come mai a me quest’onore…”.

CHE LA MADRE DEL MIO SIGNORE=l’espressione è un’eco di un’espressione dell’A.T. e serve per mostrare che in quel tempo l’arca conteneva le Tavole della Legge, mentre adesso è Maria che contiene la nuova arca, Gesù, il Salvatore del popolo.

 

Cos’era successo? Araunà possedeva un terreno, un luogo, dove poi Davide fece costruire il tempio, e quando il re Davide andò da lui, sorpreso della cosa, gli disse proprio queste parole: “A che devo che il mio signore viene dal suo servo” (2 Sam 24,21).

Araunà salutò così Davide che costruì il Tempio di Gerusalemme, la dimora di Dio; Elisabetta, adesso, invece, saluta così Maria che è il Tempio e la dimora di Dio.

La dimora di Dio non è più il tempio ma l’uomo.

 

SIGNORE=signore non indica precisamente il figlio di Dio ma è un sostantivo che a quel tempo indicava anche il re (Sal 110,1) oppure un sovrano (2 Sam 24,21; Sir 51,10) oppure il Messia.

Le parole di Elisabetta, probabilmente, si riferiscono proprio a questo, come madre del “messia regale”.

 

44 Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo.

HA SUSSULTATO DI GIOIA NEL MIO GREMBO=lett. di “esultanza”. E’ la stessa esultanza e gioia con cui l’angelo aveva annunciato la nascita del Battista (Lc 1,14).

E’ la stessa esultanza del Battista: “Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo” (Gv 3,29).

 

45 E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

BEATA COLEI CHE HA CREDUTO NELL’ADEMPIMENTO DI CIO’ CHE IL SIGNORE LE HA DETTO=la prima beatitudine dei vangeli è di Maria e riguarda il credere: “Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”. E l’ultima beatitudine si trova in Gv 20,29 e riguarda ancora il credere: “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno”.

Noi Mediterranei, molto mammoni, abbiamo creduto che la prima cosa che abbia fatto Gesù Risorto sia stata quella di andare da sua madre: “Ciao mamma, stai tranquilla, hai visto che non sono morto definitivamente ma che sono risorto!”.

Ma le apparizioni, invece, non sono per quelli che credono ma per quelli che non credono, per i testoni e i duri di cuore (Gv 20,27: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani… e non essere più incredulo ma credente”).

Per questo Maria non ha avuto apparizioni: perché non aveva bisogno di credere, visto che già credeva!

 

Quindi perché Maria è beata, cioè felice? Perché si fida! Ma si fida di cosa? Di quello che le ha detto l’angelo! E che cosa le ha detto l’angelo? Le ha detto una cosa che lei mai, e dico proprio mai, avrebbe pensato possibile: essere madre di Dio.

Dio ha detto qualcosa a Maria (che avrà un figlio e che questo figlio è il Figlio di Dio; Lc 1,26-38) e Maria crede a ciò che Dio le ha detto. Per questo è beata. E’ beata perché è una cosa così incredibile, inopportuna e scomoda che ci vuole tanto coraggio per credere a tutto ciò.

Per il vangelo la beatitudine è fidarsi di Dio: credere cioè a qualcosa d’in-credibile. E credere che questo in-credibile si realizzi proprio con noi. Ecco la fede: la vergine che contro ogni aspettativa rimane incinta e la sterile che contro ogni aspettativa è diventata madre. E sono due donne che si sono aperte alla vita.

 

La lode di Elisabetta a Maria è una disapprovazione verso il marito Zaccaria. Zaccaria, che doveva essere profeta, è muto; Maria, invece, che non era nessuno è piena di Spirito.

Maria è beata, “graziata”, perché ha creduto alla parola del Signore; il marito è “dis-graziato” (=senza grazia) perché non ci ha creduto.

Maria ha creduto a qualcosa che non era mai accaduto nella storia di Israele e si è fidata. Zaccaria invece, il sacerdote, non ha creduto a qualcosa che era successo e capitato ben tante altre volte (la nascita di figli da donne sterili, come Sara o Rebecca).

 

CHE HA CREDUTO NELL’ADEMPIMENTO=lett. “il compimento”.

Il compimento della parola esige la collaborazione dell’uomo. La parola di Dio non porta frutto se non viene accolta e trasformata in realtà dall’uomo.

Dio è Tutto e Dio è Niente: se l’uomo lo accoglie e lo fa nascere allora il Tutto diventa realtà e si manifesta e diventa visibile. Gesù nasce perché Maria crede che la Parola di Dio, detta dall’angelo, si possa manifestare in lei. Questo Tutto (di nome Gesù) è possibile (nasce) perché Maria crede (che una cosa del genere possa avvenire in lei).

Quindi: se non c’è fede Dio non esiste, Dio non nasce, Dio non si può manifestare.

 

Parole divine

 

Questo vangelo sconvolgente ci mostra che Dio, lo Spirito, si rende visibile, toccabile, presente, in un certo modo di relazionarsi. Dove ci relazioniamo in un certo modo, lì Dio c’è. E dove ci relazioniamo in altro modo, lì Dio non c’è.

Cos’ha di speciale la comunicazione tra Maria ed Elisabetta?

Forse il loro modo di parlarsi tanti secoli fa ha anche per noi delle risonanze e dei sensi profondi.

 

  1. Nessuna critica

Potevano dirsi: “Ma sei matta!… Fare tutta questa strada che sei incinta!… Ma non serviva!… Saluta Zaccaria prima, non me!… ecc.” e, invece, si benedicono l’un l’altra (“Benedetta tu… beata colei…”).

Sanno mettere in luce il meglio, il positivo, dell’altra persona. Qui c’è Dio.

Quante volte le nostre comunicazioni sono piene di frasi del tipo: “Non fai mai niente di quello che ti chiedo… Non mi ascolti mai… Non mi capisci… Non mantieni le tue promesse… aveva ragione mia madre su di te… dovresti capirlo da solo… dovrebbe essere chiaro… sei inaffidabile”.

La critica rompe la comunicazione perché afferma: “Io sono giusto, tu sei sbagliato”.

La critica rivela solamente ciò che tu hai dentro: rancore, rabbia e insoddisfazione.

Un giorno eravamo in seminario e io e un mio amico facemmo una cosa ardita che non dovevamo fare (e sapevamo di non doverla fare!). Quando il nostro assistente ci scoprì, pensammo che ci avrebbe punito severamente come era consuetudine in quei casi. Ci guardò a lungo negli occhi in silenzio e ci disse: “Avete avuto proprio coraggio a farlo. Adesso andate a letto”. Non ci rimproverò di nulla ma seppe mettere in luce il nostro coraggio. Rinunciò a punirci ma guadagnò la stima di due ragazzi.

 

  1. Empatia

Maria pensa ad Elisabetta (saluta) ed Elisabetta pensa a Maria (Benedetta tu…). Nessun pensiero egocentrato sulla mancanza o sulla pretesa. Al centro c’è l’altro.

Ciascuna si mette nei panni dell’altra. Maria va verso Elisabetta ed Elisabetta verso Maria. Fra di loro c’è connessione ed empatia. Qui c’è Dio.

Il nostro parlare può avere tre modalità: andare verso, andare contro, andare via.

  1. Andare verso è l’empatia. L’altro parla e io lo ascolto mettendomi nei suoi panni: “Ti ascolto… capisco… sento il tuo dolore…”. Non parlo di me, non reagisco se non sono d’accordo, ma gli lascio tutto lo spazio perché lui si possa sentire visto da me con i suoi occhi e sentito da me con il suo cuore.

Se un ragazzo è terrorizzato dal parlare in pubblico allo spettacolo con i genitori, a me viene da sorridere, ma mi metto nei suoi panni e capisco che per lui è veramente un terrore. Non sminuisco, non rido e sento tutto il suo terrore e insieme ci aiutiamo a trovare risorse per questo terrore.

L’andare verso produce accoglienza: “Ci sono, ti capisco, puoi contare su di me”.

  1. L’andare contro è l’ostilità che si produce nel nostro parlare brusco, nel sarcasmo, nella critica, nell’attacco all’altro. L’andare contro produce solo distanza e rancore.

Nell’andare contro ci si dice: “Non m’interessa del tuo bisogno… mi irriti… sono contento che tu stia male… ho ragione io… tu non mi capisci… vai via, ecc.”.

Lui guarda la tv. Lei gentilmente gli dice: “Possiamo parlare di una cosa?”. “E di cosa vuoi che parliamo?” e continua a guardare la tv e sbuffa per le sue parole. “Che dici se compriamo una tv nuova?”. “Ma che ne sai tu di televisori!”. Comunicazione contro (di te) e interrotta.

Lui torna dal lavoro e dice a lei: “Sai, avevi ragione tu, i 1000 euro che abbiamo prestato a mio fratello non ci ritorneranno indietro”. “Te l’avevo detto! Se mi ascoltassi di più… non avremmo perso i soldi”. Messaggio: “Non capisci niente. Io capisco, tu no”. Comunicazione contro (di te) interrotta.

  1. L’andare via è il disinteresse per l’altro e per ciò che dice. Avviene con il silenzio, col rimanere a fare le proprie cose, col far finta di non sentire, che si ha “cose più importanti da fare”, con il non affrontare mai le questioni, con l’andarsene o il cambiare discorso.

“E’ pronta la cena!”… e nessuno risponde.

“Oggi al lavoro mi veniva da piangere…” e lui: “E’ un gran brutto periodo per tutti”.

Lei gli parla 20 minuti della sua insoddisfazione e lui dice solo: “Sei così perché hai il ciclo!”.

 

  1. Vitalità

Sono donne “già vive” da sé e per questo si possono trasmettere vita. Danno perché hanno qualcosa da dare. Qui c’è Dio. Quand’è che le tue parole trasmettono passione, energia? Di che cosa sai entusiasmarti?

Maria ed Elisabetta sono felici e la loro felicità si trasmette. Se dentro sei felice, passi felicità; se dentro hai gioia, passi gioia; se dentro hai voglia di vivere, passi questo; se hai sicurezza, passi questo; se hai preoccupazione, passi ansia; se hai rancore, passi rabbia.

Se ami i tuoi amici, se ami i tuoi figli, sii tu un uomo migliore! Perché loro avranno da te quello che tu sei.

Questo ci ricorda pure che quando comunichiamo dobbiamo tenere presente il nostro stato d’animo. Se sono arrabbiato “nero”, in quel momento è meglio che non parli, che non dica niente: ho bisogno di tranquillizzarmi, di ritrovare un po’ di lucidità, altrimenti si butta legna sul fuoco.

 

  1. Connessione, intimità, emozione

Sono le loro viscere che sussultano, che si incontrano, che vibrano. E’ un parlarsi cuore a cuore, anima ad anima. Qui c’è Dio.

Il saluto di Maria fa sussultare Elisabetta; Elisabetta parla a gran voce, piena di gioia; Elisabetta è sorpresa dall’arrivo inaspettato di Maria (“A che debbo che la madre…”); Maria canta il Magnificat. Qui c’è Dio.

Molte volte le coppie si dicono: “Non abbiamo più niente in comune”. Vuol dire che si è persa la connessione interna, che non si sa più parlare dei propri sogni, dei propri progetti, di ciò che appassiona, di ciò che fa vibrare dentro.

Un giorno un uomo di 50 anni dice a sua moglie: “Sai cara, vorrei iniziare una scuola di counseling perché sento il bisogno di imparare e di rimettermi in gioco”. Lei: “Sì, sì, intanto vai a mettere fuori il bucato!”. Quando lui ti parla dei suoi sogni non tagliare la sorgente della vitalità perché si perde la connessione.

Una donna dice a suo marito: “C’è qualcosa che non va tra di noi”. Lui: “Sì cara, lo so, è stata una giornata calda e pesante anche per me… adesso dormiamo!”. Connessione rotta, intimità mancata.

Quando un rapporto finisce è perché da molto tempo è venuta meno la connessione. Non è il tradimento o l’ultimo fatto la causa della fine del matrimonio, ma è perché il matrimonio era finito che è successo quello che è successo.

 

Pensiero della settimana

La noia è sentire che tutto è una perdita di tempo,

la serenità è sentire che nulla lo è.