Gesù scacciato dalla sinagoga

IV domenica del tempo Ordinario

Domenica 3 febbraio 2019

Prima lettura: Ger 1, 4-5. 17-19   Salmo: Sal 70   Seconda lettura: 1 Cor 12, 31-13, 13   Vangelo: Lc 4, 21-30

 

 

Lc con questo episodio iniziale, non fa altro che anticipare quello che sarà il destino di Gesù. Fin dall’inizio Gesù è stato rifiutato dalle persone religiose e pie. Questo perché Gesù è venuto a distruggere le basi stesse della religione, con le categorie del merito e delle virtù, dei buoni e dei cattivi, del paradiso e dell’inferno, dei fedeli e degli infedeli.

Gesù proclama un Dio che dimostra il suo amore a tutti quanti, perché non ha altra maniera di essere; essendo un Dio d’amore, ogni sua manifestazione sarà soltanto d’amore. E questo suscita il risentimento da parte di tutti i religiosi.

 

Il vangelo di questa domenica è l’esatta continuazione di quello di domenica scorsa. Tanto è vero che la prima frase di oggi l’abbiamo letta anche domenica scorsa. Infatti è un unico episodio che andrebbe letto tutto insieme per essere capito bene. Presentandolo così non si capisce la forza del vangelo.

Abbiamo lasciato Gesù che dice: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi” (Lc 4,21). Prima di ciò, Gesù si era presentato a Nazaret leggendo un testo conosciutissimo, Is 61 (“Lo Spirito del Signore è su di me…”) dove si parlava della vendetta e dell’ira di Dio sui nemici di Israele. Solo che Gesù censura quel versetto, non lo legge e tutti rimangono sbalorditi. Il suo Dio è un Dio d’amore che va offerto a tutti. Su ciò, chi ascolta nella sinagoga non è d’accordo, come ogni buon ebreo non poteva essere d’accordo. Quindi il clima del vangelo di oggi è un clima di grande tensione.

 

4,21 Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

ALLORA COMINCIÒ A DIRE LORO…=l’allusione agli orecchi e agli occhi richiama a Ez 2 dove si parla che il popolo d’Israele ha orecchi ed occhi ma non vede e non sente. E’ un modo per affermare la cocciutaggine del popolo. Noi diremo oggi: “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”.

E quando dice così succede il putiferio e il finimondo. Forse noi non ci rendiamo bene conto ma Gesù si definisce l’unto, il Messia tanto aspettato. “Quello che da secoli aspettavate… quello che da sempre avete pregato e invocato… il vostro desiderio più grande: eccomi qua, sono io. Io sono l’unto; io sono il Messia; io sono l’Aspettato”.

Se un vostro amico vi dicesse: “Io sono Gesù Cristo”, qual è la prima cosa che fate? La prima cosa che fate è che vi mettete a ridere; la seconda è che vi preoccupate e la terza che lo portate da uno psichiatra. E da uno bravo perché uno che dice così…!

Il problema più grande non era che lui si dichiarasse l’Unto (unto=masciah (ebraico)=messia): che fosse l’Unto, il Messia, potevano accettarlo. Ma mai avrebbero potuto accettare che fosse un Messia così. Essere l’Unto era il desiderio più grande di tutti. Perché il Messia era così aspettato che tutti lo avrebbero seguito: era la massima attesa di ogni ebreo. Erode fece (in senso reale) carte false per essere l’Unto del Signore. Ma non il Messia di Gesù.

 

22 Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?».

TUTTI GLI DAVANO TESTIMONIANZA ED ERANO MERAVIGLIATI=qui la traduzione non rende e non spiega bene, anzi fa capire il contrario di ciò che succede.

Infatti sembrerebbe una meraviglia positiva, come se le persone dicessero: “Però, che belle parole! Che meraviglia! Mai sentito una cosa simile, così bella!”.

Ma se tutti gli sono favorevoli come si spiegano le parole successive? 1. “Ma non è il figlio di Giuseppe?” (Lc 4,22), come a dire: “Ma cosa dice? Lo conosciamo tutti! Ma chi pretende di essere?”. 2. E come si spiega ciò che poi tentano di fare: di ucciderlo (Lc 4,29)? Questo perché i due verbi utilizzati sono positivi o negativi a seconda del contesto. Dipende!

RENDERE TESTIMONIANZA=martireo=testimoniare (Lc 4,22). Solo che la testimonianza può essere favorevole o contraria, pro o contro, a seconda del contesto (Mt 23,31; Lc 5,14; 9,5; 21,13). Qui la testimonianza è negativa. Tutti gli sono contro!

In Mt 23,31: “Testimoniate contro voi stessi” (Gesù ai farisei e agli scribi). E’ la medesima espressione.

PROVARE MERAVIGLIA=thaumazo, stupore, sorpresa o sbigottimento in senso positivo o negativo (Lc 1,21; 9,43; 11,38; 20,26). Qui però è chiaro il senso di ciò che provano: sono fuori di sé, sbigottiti, increduli, nel sentire ciò che sentono. Sono pieni di rabbia per “la bestemmia” che ritengono che Gesù dica.

Come può dire, infatti si chiedono, “Io sono l’Unto, l’Aspettato, il Messia”? Ma soprattutto: “Come può non dire, non affermare la vendetta di Dio?”.

NON È COSTUI IL FIGLIO DI GIUSEPPE?=in greco manca l’articolo (cioè: “Figlio di Giuseppe” e non “Il figlio di Giuseppe”) e quando manca l’articolo per la figliolanza, si vuole sottolineare più la figliolanza di somiglianza che quella biologica.

Essere figlio di qualcuno, nel mondo ebraico, significa comportarsi come il padre. Qui allora non viene messa in dubbio la paternità di Giuseppe, che nel vangelo di Luca non viene mai messa in dubbio, ma che Gesù non si comporta come il padre Giuseppe.

Non sappiamo di preciso, ma da questo testo possiamo ipotizzare che forse anche Giuseppe condividesse queste idee nazionalistiche e violente.

Questa frase vuol dire: “Ma come, non è come suo padre (che aspetta il Messia vendicatore)?”. “No, Gesù non sarà come suo padre. Gesù non sarà come nessun altro. E proprio per questo sarà se stesso, il Figlio di Dio, il pienamente Uomo e il pienamente Dio”.

Non sono tanto arrabbiati per la presunzione di Gesù nel dire: “Io sono il Messia”, ma perché Gesù non è il Messia che loro vogliono e si aspettano. Gesù non è come l’immagine che hanno in testa. Per questo lo rifiutano.

Isaia (Is 61,5) era stato chiaro: i pagani dovevano essere sottomessi e diventare schiavi di Israele. Il primo compito del Messia era quello di distruggere le nazioni che calpestavano la Santa Gerusalemme e punire tutti gli ingiusti. E come si permette un nessuno come Gesù di parlare d’amore e di anno di grazia? Nessuna grazia!

Che Dio parli di amore per gli oppressi si può capire, ma che Dio, lo stesso Dio, parli d’amore pure per gli oppressori, questo è troppo e tutta l’assemblea insorge contro Gesù.

 

23 Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”».

CERTAMENTE VOI MI CITERETE QUESTO PROVERBIO…=Gesù qui non sta presentando un fatto di cronaca ma anticipa le scene della passione di Gesù.

Nel momento della crocifissione, ad esempio, gli dicono: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso” (Lc 23,37). “Hai liberato tante persone, beh, adesso che sei in croce, libera te stesso”.

“Ci riportano tante belle notizie che hai fatto a Cafarnao, beh, falle anche qui!

CAFARNAO=lett. “quella Cafarnao”: è dispregiativo il termine. Forse perché era una città di frontiera, la popolazione era mescolata, e per questo era vista con disprezzo dai puri Nazaretani.

MEDICO, CURA TE STESSO…=Gesù non solo non fa nulla per calmare gli animi ma quasi li eccita. Invece di difendersi, attacca.

Infatti, Gesù non tenta affatto di calmare l’assemblea ma peggiora la situazione e dice: “Voi di certo mi citerete il proverbio: Medico cura te stesso. Quanto abbiamo udito a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria” (Lc 4,23).

Gesù a Cafarnao aveva: 1. scacciato un demonio dalla sinagoga (Mc 1,21-28); 2. guarito la suocera di Simone dalla febbre (Mc 1,29-31); 3. compiuto guarigioni di malati (Mc 1,32-24) e 4. aveva guarito il famoso paralitico (Mc 2,1-12).

Ora la fama di Gesù si diffonde, tanto è vero che Gesù non può neppure più entrare pubblicamente in una città ed è costretto a starsene in disparte, nel deserto; ma anche là arrivano a lui da ogni parte (Mc 1,45). In Lc tutto ciò si ritrova proprio dopo questo vangelo (Lc 4,31-44).

Per questo gli dicono: “Beh, quello che hai fatto in giro, a Cafarnao, fallo a maggior ragione da noi!”.

 

24 Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria.

IN VERITÀ IO VI DICO=in verità indica un’affermazione solenne: “Purtroppo, siate certi che è così!”.

NESSUN PROFETA È BENE ACCETTO NELLA SUA PATRIA=ma perché i profeti non sono mai ben accetti proprio dalla loro patria? Perché il profeta non ripete la tradizione, gli schemi abituali, ma la riformula in maniera nuova; il profeta è colui che crea e questo creerà sempre disagio in tutti quelli che sono abituati a ripetere le norme, i decreti, le dottrine della tradizione.

Ci fu un altro profeta nell’A.T. i cui compaesani tentarono di assassinare, Geremia, a cui i suoi “amici” compaesani dissero: “Non profetare nel nome del signore, se no morirai per mano nostra” (Ger 11,21).

 

25 Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26 ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone.

ANZI IN VERITA’ VI DICO=di nuovo un’affermazione solenne.

Qui Gesù fa qualcosa d’imperdonabile: Gesù tira fuori dal dimenticatoio ciò che si preferiva non ricordare perché Dio anziché soccorrere il popolo che si credeva eletto, soccorse i pagani.

Lc racconta due episodi dell’A.T. indigesti agli ebrei. Avete presente quelle cose che tutti sanno ma che nessuno dice perché sono delle accuse contro di sé? Bene, Gesù mette il dito nella piaga e va a raccontare e a ricordare proprio quelle cose lì. Figuratevi la reazione.

 

Era Israele che si considerava il popolo eletto di Dio ma non che Dio fosse così.

Questo è tipico di ogni nazione che pensa di essere il popolo preferito da Dio.

E quando un popolo pensa così, sono guai per gli altri popoli (pensate al terrorismo Islamico).

Israele si credeva il popolo preferito. Gesù dirà: “No cari, Dio non preferisce voi, ma quello che ha fatto con voi Dio lo fa con tutti. Voi non siete meglio di nessun altro popolo”.

Am 9,7: “Non siete voi per me come gli Etiopi, Israeliti? Parola del Signore. Non sono io che ho fatto uscire Israele dal paese d’Egitto, i Filistei da Caftor (=Creta) e gli Aramei da Kir?”.

“Quello che ho fatto per voi, e di cui tanto vi lodate (il passaggio del Mar Rosso), guardate che io l’ho fatto anche con i vostri nemici!”. Dio è un Dio Liberatore per tutti i popoli.

 

C’ERANO MOLTE VEDOVE IN ISRAELE AL TEMPO DI ELIA…=cos’era successo? Durante una carestia tremenda, senza pioggia per 42 mesi e con la peste della lebbra (conseguenze dell’allontanamento del cuore degli israeliti da Dio), il grande profeta Elia non va ad aiutare e a soccorrere il suo popolo ma va proprio da quelli che gli ebrei tanto disprezzavano. Va infatti da una vedova pagana di Zarepta di Sidone (1 Re 17,8-16). E a questo vedova guarirà il figlio morto (senza respiro; 1 Re 17,17-24).

Dio quindi guarisce tutti, pagani o no: non è attratto da chi ne ha i meriti. L’amore di Dio è universale. E se non guarisce Israele, non è perché Lui non vuole, ma perché Israele non si converte, perché Israele lo rifiuta.

 

27 C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».

C’ERANO MOLTI LEBBROSI IN ISRAELE AL TEMPO DEL PROFETA ELISEO…=dalla lebbra si pensava che solamente Dio potesse farti guarire. L’unico caso (oltre a quello citato oggi) era Maria, la sorella di Mosè, castigata da Dio stesso con la lebbra.

E l’altro grande profeta dell’A.T. Eliseo, discepolo proprio di Elia, con tanti lebbrosi che c’erano in Israele, non guarì nessuno degli ebrei se non che un militare pagano, Naaman il Siro (2 Re 5,1-14).

 

Cosa fa gesù? Gesù mette i suoi ascoltatori di fronte a una terribile verità: “Secondo voi, come mai i vostri grandi profeti sono andati a soccorrere una vedova pagana con tutti i bisognosi che c’erano in Israele? E secondo voi, come mai l’unico guarito dalla lebbra con tutti quelli che c’erano qui da noi, è stato un pagano straniero?”.

La risposta è chiara: “Perché non c’era fede qui! Vedete: i vostri grandi profeti, quelli che voi stimate e di cui parlate sempre: se ne sono andati altrove, come me, proprio perché qui non poterono operare nulla”.

Per i Nazaretani tutto questo è troppo!

 

28 All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno.

ALL’UDIRE QUESTE COSE, TUTTI=nessuno è con Gesù. Gesù è riuscito a fare infuriare tutti i presenti della sinagoga perché ha parlato di quest’amore universale e non di predilezione per Israele.

Forse, ancora oggi, questo fa infuriare: che Dio accetti tutti, indipendentemente da qualunque categoria etnica, sociale, sessuale, morale, appartenga, forse, è ancora difficile da accettare.

SI RIEMPIRONO=quando Gesù dice così, scoppia il finimondo.

Il verbo pimplemi vuol dire “furono pieni” (Lc 4,28): Gesù ha superato il confine, le “spara troppo grosse”, bisogna fermarlo, bisogna fare qualcosa, perché non si può più lasciarlo agire indisturbato; non si può più accettare ciò che dice. Deve essere eliminato.

DI SDEGNO=timos “sdegno” vuol dire anche collera: indica proprio il sentimento (da cui ad esempio il “timore di Dio”, cioè l’emozione, il sentimento di percepire Dio). Più che un sentimento preciso, timos indica proprio un forte sentimento (a seconda della sfaccettatura).

 

E osserviamo: ci sarebbe la benedizione finale che dice “shabbat shalom”, “pace e gioia per il sabato”: ma sono così furibondi che non l’aspettano.

D’altronde dobbiamo ricordare che per il Talmud svergognare in pubblico una persona è colpa grave come lo spargimento di sangue, perché in tutti e due i casi “il viso della vittima perde il colore rosso e diventa bianco”. La morale ebraica distingue i danni recati con le parole e quelli materiali e ritiene quelli recati con le parole più gravi!

Gesù li ha svergognati in pubblico: ha detto la verità ma ha fatto qualcosa che non doveva fare!

 

29 Si alzarono e lo cacciarono fuori dalla città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù.

SI ALZARONO E LO CACCIARONO=e cosa fanno? Lo prendono per ucciderlo.

Gesù viene trattato come un traditore del popolo e la legge comanda che i traditori debbano essere uccisi (Dt 13,10-11). E chi tenta di farlo sono quelli di casa sua, i suoi familiari, i suoi compaesani. Come a dire che i legami di sangue a volte sono proprio legami di sangue!, di morte e di odio.

FUORI DALLA CITTA’=dove ritroviamo questa espressione? Durante la passione Gesù fu crocefisso “fuori dalla città (Gerusalemme)”. Le esecuzioni infatti avvenivano fuori di Gerusalemme.

E’ un’anticipazione: quello che è successo lì è ovvio perché ha un retroterra lontano e profondo. Gesù fu odiato da sempre, odio che poi culminò così.

E LO CONDUSSERO FIN SUL CIGLIO DEL MONTE, SUL QUALE ERA COSTRUITA LA LORO CITTÀ, PER GETTARLO GIÙ=ma Nazaret non è costruita su di un monte! E allora?

Lc fa un gioco meraviglioso. Infatti l’espressione “il monte sul quale la loro città era situata” (Lc 4,29) è uno dei termini tecnici con i quali si indica la città di Gerusalemme.

E chi aveva tentato di fare un attimo prima la stessa cosa? Il diavolo (Lc 4,9), che gli aveva detto: “Buttati giù da qui (dal pinnacolo del tempio) e i gli angeli non ti lasceranno cadere”.

Lc sta dicendo: “Ecco qua chi è il vero diavolo: voi siete il diavolo! Voi che dovreste credere e che opponete ogni sorta di resistenza e di barriera per non convertirvi”.

 

30 Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

MA EGLI, PASSANDO IN MEZZO A LORO=Lc anticipa la morte (lo portano sul Monte per ucciderlo), ma anche la resurrezione (passando in mezzo a loro). Il popolo lo vuole eliminare ma Gesù continua a vivere.

Quindi qui Lc non fa tanto una cronaca ma un’anticipazione di ciò che poi avverrà.

 

I sette oggi di Luca

 

Cosa può dire a noi questo vangelo? L’“oggi” (semeron) di questo vangelo in Lc ricorre 7 volte.

7 “oggi” come i 7 sacramenti o i 7 giorni della settimana.

Lc vuol dire: “Dio lo devi sperimentare oggi, adesso, qui, nel tuo presente. Perché Dio è Vivo, è Vivente: Lui viene, Lui opera, Lui c’è, Lui ti incontra oggi”.

Un giorno, tanti anni fa, facevo catechismo e spiegavo che dopo la morte avremo incontrato Dio. “Dio di qua nessuno lo incontra ma di là lo vedremo e lo incontreremo”, dicevo. E un ragazzino di seconda elementare (!) mi dice: “Dio non lo vede nessuno, giusto!?”. “Sì. Giusto”, dico io. “Ma allora se tu non lo vedi, come farai a riconoscerlo quando andrai di là?”. Caspita, aveva ragione!

Non si può credere in Dio se mai nell’“oggi” lo si incontra. Dio non è domani, Lui è prima di tutto oggi. Lui è Vivo adesso, ora, non solo quando andremo di là.

 

  1. Lc 2,11: “Oggi vi è nato un Salvatore…” (vangelo di Natale). Oggi si nasce.

Quando si pensa: “Non ci riuscirò… non ce la farò… è troppo per me… mi piacerebbe…”.

Si pensava che nessuno potesse scendere sotto i 4 minuti nel miglio. Era stato addirittura confermato da ricerche cardiologiche. Ma Roger Bannister lavorò sull’allenamento e soprattutto sulla sua mente (“si può scendere”) e nel 1954 ci riuscì. Ma la cosa incredibile è che l’anno successivo ci riuscirono altri 300 atleti!

Oggi partorisco una nuova idea di me, una nuova immagine di me: oggi nasco e smetto di morire.

Durante un’intervista il giornalista chiese al Maestro: “Quanti famigliari ha vivi?”. “Nessuno!”. “Ma se ho visto suo padre e sua madre di là, un attimo fa!”. “Quelli sono morti prima della morte”.

 

  1. Lc 3,22: “Tu sei mio figlio, in te oggi mi sono compiaciuto (“oggi” vi è nei manoscritti occidentali che sembra proprio l’ambiente di Lc; Battesimo). Oggi ci si sente amati.

Un prete ha scritto: “Quando fui ordinato volevo cambiare il mondo, ne ero convinto. Dopo qualche anno mi dissi: “Beh, è sufficiente l’Europa”. Dopo qualche anno ancora: “Forse mi basta l’Italia!”. Dopo vent’anni di ordinazione mi disse: “Mi basta la mia parrocchia”. Ma poi fu realista: “Spero di cambiare me stesso”. Ma oggi ho capito la cosa più importante: “Spero di cambiare, in ogni caso a Lui vado bene”. E da quando penso così… tutto è cambiato”.

 

  1. Lc 4,21: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura…”. Oggi Dio parla.

Un uomo chiedeva continuamente: “Ma Tu dove sei?”. Poi un giorno ha letto un cartello in montagna: “Non cercare Dio ci sei immerso”. Si è guardato attorno e… come per incanto ha visto ciò che i suoi occhi vedevano sempre, ma non il suo cuore: le montagne, la neve, il cielo, gli uccelli… e ha pianto. Dio gli aveva parlato.

 

  1. Lc 5,26: “Oggi abbiamo visto cose prodigiose” (dopo la guarigione del paralitico). Oggi avvengono i miracoli e i prodigi.

Irena Sendler, una cattolica polacca, ha salvato 2500 bambini ebrei dal ghetto. Lavorava come idraulica; entrava nel ghetto e nascondeva i bambini nel fondo della sua cassetta degli attrezzi. I bambini più grandi in un sacco di iuta. Nel camion teneva un cane addestrato ad abbaiare ai soldati nazisti. Fu catturata, torturata, le ruppero braccia e gambe, ma non parlò. E’ morta nel 2008.

Oggi posso compiere il mio miracolo e dire: “Lo faccio oggi”.

 

  1. Lc 19,5: “Oggi devo fermarmi a casa tua” (Zaccheo). Oggi Dio viene a farmi visita.

Alexander Lowen racconta che un giorno tentò di spiegare a suo figlio chi fosse Dio. Ma suo figlio lo interruppe e gli disse: “Conosco Dio”. Allora il padre gli disse: “Ma che ne sai tu di Dio?”. Il figlio indicò alcuni fiori e disse: “E’ lì!”. Aveva 6 anni, non aveva forse il concetto di Dio, ma lo sentiva dentro.

Dio va accolto, visto, toccato, compreso, oggi. Perché come posso “vederlo” domani se non lo riconosco oggi?

 

  1. Lc 19,9: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa” (Zaccheo). Il cambiamento (salvezza) avviene oggi.

Richard Buckminster Fuller a 32 anni, nel 1927, è in bancarotta, la figlia Alexandra gli muore di polmonite, comincia a bere e decide di suicidarsi. Ma all’ultimo momento mentre stava per buttarsi sul lago Michigan un pensiero, un’illuminazione, gli cambia la mente: “Perché non donare la mia vita al mondo? Perché non fare della mia vita un esperimento?”. E divenne un famosissimo architetto, inventore e filosofo. Visse con l’idea di fare della propria vita un dono per l’umanità. E’ morto nel 1983.

Oggi posso cambiare. Inizio oggi.

 

  1. Lc 23,43: “Oggi sarai con me in Paradiso” (Gesù al ladrone). Il paradiso è qui adesso, oggi.

Un uomo, dopo 15 anni di alcolismo e una vita d’inferno, un giorno si è detto: “Da oggi non bevo più!”. E da cinque anni non beve più. La sua vita adesso è un paradiso.

E’ meravigliosa la storia di Rosa Parks, nera, che un giorno, finché era in pullman e il conducente James Blake le ordinò di alzarsi e di lasciare il suo posto ad alcuni bianchi, si disse: “Adesso basta!”. Finì in prigione per 381 giorni ma alla fine la legge della segregazione fu tolta in Alabama.

Gesù un giorno disse: “Oggi si adempie…”. Bisogna ad un certo punto dirsi: “Da oggi io cambio… da oggi basta… da oggi si inizia… da oggi sono diverso… smetto di pensare, agisco…”.

 

Fede è agire, è prendere decisioni, è andare in una direzione e non in un’altra. Fede è poter dire, come Gesù, da oggi non sarà più come ieri. E poi procedere su quella strada. Fede è poter dire: “Oggi… adesso… inizio ora… da adesso… qui”.

E’ l’azione che cambia la speranza in realtà. L’azione è il confine fra la possibilità e la realtà.

 

Legami di sangue

 

In questo vangelo Gesù rompe con i legami familiari e con le tradizioni familiari.

Se noi prendiamo il vangelo troviamo spesso la frizione e lo scontro tra Gesù e la sua famiglia.

Mc 3,20: i suoi familiari andarono a prenderlo perché dicevano: “E’ pazzo; è fuori di sé, matto!”.

Mc 3,31-33: a sua madre e i suoi fratelli che lo cercano lui dice: “Non sono mica questi i miei fratelli; non è mica questa mia madre; lo sono chi fa la volontà di Dio”.

Lc 12,51-53 parla di padre contro figlio e figlio contro padre (la stessa cosa vale per i rapporti madre-figlia e suocera-nuora): forse che Gesù dice questo per esperienza personale?

Lc 9,59: c’è un uomo che gli chiede di andare a seppellire prima suo padre e poi lo seguirà. Ma Gesù, secco, risponde: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti”.

Ma Gesù ce l’ha con la famiglia, con i genitori, con il padre e la madre? Perché Gesù del legame familiare ne parla più come difficoltà che come aiuto e sostegno.

 

Tu nasci da due genitori: loro ti danno un dono impagabile, la vita. Tu apprendi da loro non solo la vita fisica, ma anche ciò che loro vivono, pensano, credono, i loro schemi, i loro criteri di giudizio, i loro pregiudizi e la loro visuale del mondo. E’ il legame di sangue.

Ma il legame di sangue crea anche un vincolo. Ogni famiglia, ogni società, ogni clan, ha le sue regole. E se tu vuoi essere riconosciuto, se tu ci vuoi appartenere, le devi rispettare. Quindi all’inizio tu sei come tuo padre, tua madre, come il suo clan e come la sua stirpe.

Il legame di sangue dice: “Tu sei dei nostri perché vieni da noi e fai come noi”. Se non fosse così, se non ci fosse questo legame, non avremmo possibilità di vivere, di crescere e di svilupparci.

Il legame di sangue crea però anche un debito: “Tu sei dei nostri, non ci tradire”. Il vincolo, il debito, è forte: “Noi ti abbiamo dato la vita, tu vieni da noi, ricordatelo”.

Cosa vuol dire tradire? Vuol dire che se tu non fai come vogliamo noi, secondo le nostre regole, se tu hai comportamenti diversi dai nostri, se tu ci dai le spalle, allora tu ci tradisci.

 

Il problema è che si è di fronte ad una scelta radicale e dolorosa: il clan o me; la società o la sequela. Da una parte il tuo clan ti dice: “Fai come noi”, ma se fai così tu perdi te stesso e la tua strada.

Fai come il clan? Il positivo: non sei rifiutato e non ti senti in colpa. Per tutti noi è estremamente difficile dire: “Io faccio così… la mia strada… anche se a voi non va… anche se voi mi date contro”. Perché è difficile sostenere la delusione o la rabbia di un genitore che ti ha dato la vita, che ha lavorato per te, che ha speso la sua vita per te. Senti che tu causi a loro un dolore immenso, che li fai star male, senti che tu rinneghi tutte le aspettative che loro avevano messo su di te. Se tu fai la tua strada, senza il clan, rischi di essere rifiutato: ti ritrovi solo, senza approvazione, proprio da quelli da cui finora l’avevi avuta.

Allora i legami di sangue, a volte, sono veramente legami di sangue, cioè mortali, non vitali. Perché in nome del legame tu rinunci a fare la tua volontà e la Sua volontà.

 

Giuseppe Impastato è figlio di un capomafia. Tutta la famiglia è mafiosa (il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella). Lui rompe con i legami familiari e denuncia le attività mafiose del clan del suo paese, Cinisi. Viene ucciso dai suoi familiari con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia. Perfino la madre e i fratelli si chiudono nell’omertà mafiosa.

Roberto Saviano, di Napoli, autore del libro e del film “Gomorra” ha denunciato le attività camorristiche della sua gente e dei suoi paesi. I Casalesi lo hanno avvisato dicendogli: “I Casalesi arrivano tardi, ma non dimenticano mai. Basta aspettare, verrà il momento giusto. E allora si chiuderanno i conti”.

Nel film “Si può fare” con protagonista Claudio Bisio c’è una scena bellissima ma tristissima. C’è una madre di un figlio malato mentale (“Il mio piccolo Gigio” per la madre, Sergio all’anagrafe) che nel momento in cui cresce e diviene autonomo, va a riprenderselo perché non è più il suo “piccolo bambino”. E quando poi il figlio adulto morirà, lei distribuirà foto di suo figlio bambino. Quando il legame di sangue diventa un ”legame di sangue”, mortale.

 

Il negativo di seguire il Signore, rompendo i legami di sangue, è che rischi (è certo!) di essere rifiutato, di rimanere da solo e di essere accusato di essere ingeneroso verso quelli di casa tua (“Con tutto quello che noi abbiamo fatto per te”). Il negativo è che rischi di perdere chi ami, i tuoi amici, quelli con cui una volta avevi legami forti e sicuri. Il pericolo grande è che tu rimanga sempre dipendente di qualcuno: la “madre” società, la “madre” chiesa, il “clan” della moda, di ciò che fan tutti, “la famiglia” delle regole chiare e di ciò che si deve.

Impari non a vivere e a volere ciò che tu vuoi, ma ad accontentare, a non deludere. Il bisogno di approvazione è così forte che ti porta a non osare, a non dispiegarti, perché sai che se lo facessi potresti rimanere da solo. E’ per questo che chi non può rimanere da solo, che chi ha troppo bisogno degli altri, del consenso, che chi non è autonomo, non può in realtà mai seguire il Signore.

Dall’altra parte, però, c’è la voce della vita: “Vieni e seguimi, segui il tuo cuore e il sogno di Dio per te”. Il positivo è che segui il sogno, la Vita, il desiderio, lo slancio, che c’è dentro di te. E che c’è di più grande?

 

La tua aggressività:

la tua forza o il tuo odio, a seconda di cosa ne fai

Il vangelo di oggi suscita una domanda profonda: “Ma come è possibile che abbiano tentato di ucciderlo?”. Ciò che fanno i suoi paesani è un gesto forte: i suoi amici tentano di ucciderlo!

Ci sono tre elementi che si fondono insieme: aggressività, frustrazione, aspettative dagli altri.

  1. L’aggressività è l’energia che esce (è di tutti gli uomini). Qui è la rabbia feroce contro Gesù.
  2. La frustrazione è il motivo vero: impotenti a risollevarsi dalla loro condizione di sfruttati.
  3. L’occasione: l’aspettativa delusa dalla predica di Gesù, è l’occasione, il pretesto che la legittima.

 

L’aggressività (qui diventa l’azione di uccidere Gesù) è la forza che tutti abbiamo dentro: senza non andremo avanti. Per noi, spesso, ha una connotazione negativa, distruttiva.

Ma aggressività, dal latino ad-gredior, vuol dire semplicemente “avvicinarsi, andare verso”. Avete presente un’auto: senza il motore non può procedere. L’aggressività è il nostro motore, l’energia, la forza, che ci permette di vivere e di andare avanti.

Chi è depresso e reprime la sua “forza di vita”, non ha voglia di alzarsi, di fare, di lavorare: è senza energie. Dove troviamo la forza per vivere? Dove troviamo la forza per amare i figli, per lottare nelle difficoltà?

Cos’è la nostra passione e la nostra vitalità? Nient’altro che una forma gestita dell’aggressività. Spesso la temiamo perché siamo stati educati “a mangiarcela”, a ingoiare: se c’era un contrasto, un conflitto, dovevamo fare i bravi, i buoni, stare zitti e non far valere le nostre idee e ragioni. Così ci hanno insegnato ad ubbidire, ci hanno gestito e ci hanno fatto fare quello che volevano.

Spesso la temiamo perché è pericolosa: è vero, può esserlo. Il motore di un’auto ti può portare con la sua forza a schiantarti, se non lo gestisci e non lo guidi. Ma senza, non puoi andare avanti. L’aggressività incontrollata può uccidere, far male, colpire, distruggere: ma non perché è negativa. E’ come un cavallo: pericoloso se selvaggio ma utile, vitale, se ne hai le briglie.

 

La frustrazione dipende dalla situazione in cui gli ebrei si trovavano: da secoli erano governati da popoli stranieri che li sfruttavano. La loro insoddisfazione era così tanta perché era coniugata con un senso di impotenza, di non poterci far niente, di non poter uscire da quella situazione.

Più un uomo è frustrato e più è pericoloso e anche “rompi…”. E cosa succede se l’aggressività (la vitalità) s’incontra con la frustrazione? Ci sono 4 possibilità.

 

  1. Il controllo: cerco di tenere a bada la bomba che ho dentro.

C’è una persona ossessiva che si lava le mani due volte prima di mangiare, che controlla tre volte tutte le porte dell’auto se sono chiuse, il gas ogni sera per vedere che non ci siano perdite; controlla il telefono della moglie ogni giorno per vedere che non ci siano telefonate strane, ecc. Ciò che fa è ciò che ha dentro: c’è una bomba che tenta di tenere buona buona.

C’è un uomo che non prova niente: pianto, emozioni, felicità, slanci, lui non sente niente di niente. Dentro ha una tal rabbia, che si impedisce di sentire, che si è anestetizzato del tutto per non sentirla. Come una pentola che bolle… e tu che tieni con tutte le forze premuto il coperchio.

 

  1. Il reprimerla: la butto dentro, la ingoio.

C’è una donna-tappetino: puoi farle di tutto, dirle di tutto e lei sopporta tutto. Poi lei dice che lo fa per amore, che anche il vangelo dice di “porgere l’altra guancia”, ma in realtà non reagisce mai, “mangia tutto” perché le costerebbe troppo difendersi, far valere le proprie ragioni e sentire la rabbia che prova di fronte alle ingiustizie che chi è vicino le fa. Non è buona, è repressa.

Un’altra donna è nel pieno della depressione. La parola de-pressione esprime bene: è il contrario di ex-pressione. Se da piccola s’arrabbiava o alzava la voce, le prendeva o veniva minacciata: “Se fai così la mamma non ti vuole più bene. Se fai così la mamma ti manda via di casa”. Ogni rabbia, ogni, attacco, lei lo accetta per paura e non sa reagire. Come una tigre che vuol uscire dalla gabbia… e che tu lasci morire lì dentro.

 

  1. Il com-primerla: la tengo dentro e poi un giorno dà il “botto” ed ex-plode.

Gli skinheads o le bande razziste che pestano le persone di colore o i barboni, chi sono? E’ gente frustata, insoddisfatta della propria vita: nella vita io sono debole e me la prendo dalla società; in quel momento io sono dall’altra parte e questa volta “ti meno” io.

Il giudizio, le parole che feriscono, le battutine, la curiosità morbosa, cosa sono? Sono insoddisfatto della mia vita, e allento la tensione e la mia insoddisfazione ferendo gli altri.

“Ma sono solo battute?”. Un sasso tirato è tirato: bisogna chiedersi perché c’era il bisogno di farlo.

Chi sono quelli buoni buoni, che un giorno si svegliano, prendono il fucile e uccidono moglie e figli? “Erano così buoni!”, dicono i vicini. Sì, erano buoni perché comprimevano tutto dentro.

In questo episodio la frustrazione dei compaesani di Gesù si è scaricata addosso di lui. Ma era la loro frustrazione. L’occasione è stata data perché Gesù ha predicato qualcosa di diverso da loro: “Non sei come noi=sei contro di noi”. Invece di accettare la differenza hanno tentato di sopprimerla.

Come una vipera… che avvelena qualunque cosa morda perché il veleno è dentro di lei.

 

  1. L’ex-primerla: la tiro fuori e la utilizzo per la mia vita.

Gandhi pregava 8 ore al giorno per convogliare la sua energia in forza non-violenta.

A Madre Teresa fu chiesto: “Ma dove tira fuori tutta questa energia, madre?”. E lei: “La rabbia per la povertà che ho visto si è trasformata in lotta e cura per vivere e per far vivere”.

Oscar Wilde accusato di omosessualità e imprigionato, trasformò la sua rabbia in scritti e racconti.

Beethoven: “Se non avessi provato così tanto dolore e rabbia non avrei composto tutto questo”.

Gesù: la passione, lo zelo, la rabbia per l’ingiustizia religiosa e umana che vedeva si è trasformata in voglia di vivere, di spendersi, di lottare, di andare fino in fondo, di amore.

Etty Hillesum dal campo di concentramento di Auschwitz: “Sento così tanta rabbia dentro di me che potrei bruciare il mondo. Ho deciso di utilizzarla non per bruciarlo ma per amarlo questo mondo”.

Come un fuoco acceso… che riscalda e illumina; come il fuoco dell’amore che ti rende vivo.

 

Dato di fatto: ho un fuoco dentro di me che brucia. E’ il sacro fuoco della Vita, dono della Vita per me.

La scelta, spetta a te: cosa vuoi farne? Come lo vuoi utilizzare?

Passerai tutta la vita a controllarlo? Cercherai di spegnerlo e ne sarai bruciato dentro? Lo tratterrai? Scoppierà quando ne perderai il controllo? O diventerà il sacro fuoco dell’amore e della vita?

Gesù (12,49): “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già acceso”.

 

Pensiero della settimana

Follia è fare sempre la stessa cosa

aspettandosi risultati diversi.