Giovedì Santo 2019

Giovedì Santo

Giovedì 18 aprile 2019

Prima lettura: Es 12, 1-8. 11-14      Salmo: Sal 115           Seconda lettura: 1 Cor 11, 23-36     Vangelo: Gv 13, 1-15

 

 

Il vangelo di questa sera ci presenta la lavanda dei piedi.

  1. L’amore di Gesù non chiede qualcosa agli altri (neppure pretendeva che lo seguissero!) ma si mette a servizio perché ciascuno diventi il meglio di sé, di ciò che può essere, perché ciascuno vinca le sue paure e abbia il coraggio di diventare sé stesso. Questo è lavare i piedi.

E’ l’amore totale di Gesù per gli altri che troveremo in tutti i vangeli. Gesù, quando incontrava qualcuno, cercava di guarirlo, cioè di farlo diventare il meglio di sé, cercava di farlo brillare. Gesù era così pieno di sé che aveva un amore traboccante che usciva: ti amava anche se tu non lo amavi. Il suo amore non dipendeva dal tuo.

 

  1. Ma nei vangeli, oltre alla lavanda dei piedi, c’è un’altra grande esperienza che Gesù fa. La troviamo concentrata nell’episodio del Battesimo (Mc 1,9-11) e tracce varie in tutto il vangelo (la preghiera di Gesù; il chiamarlo Padre-Abbà). Gesù fa esperienza, sente, un amore del Padre per Lui totale, incondizionato, gratuito.

Allora: l’amore totale per gli altri di Gesù è frutto-conseguenza dell’amore totale del Padre per Lui. Questo è l’amore: dare e ricevere; un amore in entrata e uno in uscita. L’amore scorre.

 

13,1PRIMA DELLA FESTA DI PASQUA GESÙ, SAPENDO CHE ERA VENUTA LA SUA ORA DI PASSARE DA QUESTO MONDO AL PADRE, AVENDO AMATO I SUOI CHE ERANO NEL MONDO, LI AMÒ FINO ALLA FINE.

PRIMA DELLA FESTA DI PASQUA=è Pasqua e quest’anno Gesù non offrirà un agnello per Pasqua (quindi qualcosa di esterno) ma offrirà se stesso come agnello pasquale.

Questo ci dice due cose: 1. Gesù ci ricorda che se non c’è coinvolgimento di sé non c’è nessuna Pasqua. In questi giorni molte persone andranno in chiesa: bene! Ma se non c’è coinvolgimento di sé, se non c’è la disponibilità a mettersi in gioco, a lasciar coinvolgere il proprio cuore e la propria anima, allora è Pasqua (quella del calendario) ma non la festa di Pasqua (quella della vita). Puoi lasciarti coinvolgere? Puoi lasciare che il tuo cuore e la tua anima siano toccati in questi giorni?

  1. Gesù si dona come agnello: finora aveva donato un agnello, adesso diventa lui agnello. Gesù si dona liberamente: non è trascinato dagli eventi, ma ha deciso, è cosciente di ciò che può accadere e, succeda quel che succeda, ha deciso di donare la propria vita per una missione grande: mostrare chi è davvero il Padre. Questa è la sua ora.

Tutto attorno a noi si dona: l’aria si dona a noi perché possiamo respirare; la carne, le verdure, i frutti, si donano a noi perché possiamo vivere, i genitori ci hanno donato la vita. Tutto è un dono.

Tu a chi ti doni? Per cosa vuoi donare le tue ore e i tuoi giorni? Un uomo che non si dona a nessuno è un uomo che non serve a nessuno perché non ha un motivo per vivere.

 

SAPENDO CHE ERA VENUTA LA SUA ORA DI PASSARE DA QUESTO MONDO AL PADRE=Gesù capisce che è arrivato ormai alla fine. Sa che gli rimane poco tempo. Ha detto cose troppo scomode ed è andato a toccare interessi troppo grandi: hanno già tentato di arrestarlo e di ammazzarlo nel Tempio, per due volte hanno cercato di lapidarlo, Gesù intuisce, quindi, che è solo questione di tempo.

Il passare da questo mondo al Padre non è soltanto l’indicazione che Gesù è disposto a correre il rischio di morire, ma indica anche una modalità di vita. Gesù non vuole più vivere o sottostare alle regole del mondo (kosmos=mondo in Gv ha sempre un significato negativo) ma vuole “passare”, vivere, secondo le regole di Dio.

Tutti pensano a fare gli interessi propri, ma qualcuno ha altre regole (ad es. la regola della misericordia).

Tutti pensano “male degli altri”, ma qualcuno sa anche vedere negli uomini la luce e il bene che c’è in loro.

Tutti pensano che “questa società è marcia”, ma alcuni sanno riconoscere il bene diffuso che vive.

Sono gli uomini che sono “passati” dalla mentalità del mondo a quella di Dio.

 

AVENDO AMATO I SUOI=agapao. Agapao è l’amore che si dona, che si dà liberamente, senza nulla in cambio. Ci sono molti livelli di amore. Le persone chiamano “amore” un sacco di cose che non c’entrano niente o molto poco con l’amore.

 

CHE ERANO NEL MONDO=perché c’è questa ripetizione inutile “che erano nel mondo”? Non è necessaria! Gv sa che il mondo conosce un amore molto basso, fatto di possesso e di interessi. Gesù, invece, mostra ai suoi discepoli un amore così grande che “non è di questo mondo”: non perché non lo si possa vivere in questo mondo, ma perché in genere il mondo non lo vive.

 

FINO ALLA FINE=ricorda ancora un’altra cosa. Di Mosè, nel Deuteronomio, si dice che scrisse la Legge “fino alla fine”. Di nuovo quest’espressione! Ecco la Nuova Legge. La legge, le regole, l’obbedienza, la scrupolosità, viene sostituita dalla nuova Legge dell’amore. Questa è l’unica Legge: “Io ti amo senza se e senza ma, gratuitamente”. Puoi accettarlo?

 

Ma fino alla fine vuol dire anche: “Del tutto”. Il vangelo, infatti, dice che Gesù li amò sino alla fine” ed usa telos=compimento, del tutto. “Sino alla fine” è l’amore supremo, massimo: Lui ci ama in maniera totale. Ama tutto di noi. Lui ci ama del tutto e tutto di noi. Non dobbiamo cambiare per Lui (per andargli bene): se lo facciamo, lo facciamo per noi!

E’ il livello di Gesù che ci ha amati non perché siamo senza peccati, errori, non perché siamo dei buoni cristiani, non perché siamo puri, ma ci ha amati senza condizioni, solo perché siamo noi. Quest’amore ti entra nel cuore e ti fa sentire di valere… a prescindere.

 

Questo sino alla fine, fino al compimento, indica che Gesù li ama del tutto, con un amore che giunge al suo compimento, cioè al massimo livello d’amore. Ciò dice che ci sono vari livelli di amore e che noi chiamiamo “amore” cosa molto diverse. Nel corso della vita noi dovremo vivere da piccoli, da neonati, il primo, poi crescendo dovremo lasciare un modo “d’amare” per impararne uno più maturo e cresciuto. Spesso, a volte, invece, proprio perché non abbiamo fatto esperienza di modelli precedenti “sani”, ci fermiamo, ci blocchiamo ad un livello di amore molto basso e infantile.

 

2DURANTE LA CENA, QUANDO IL DIAVOLO AVEVA GIÀ MESSO IN CUORE A GIUDA, FIGLIO DI SIMONE ISCARIOTA, DI TRADIRLO.

CENA=non si dice che è la cena pasquale ma una cena. E’ chiaro che Gv si riferisce all’eucarestia. In ogni eucarestia noi tentiamo di crescere verso quest’amore. Tra l’altro ci si lavava i piedi prima di mettersi a tavola (Lc 7,44) e non durante la cena.

DIAVOLO… GIUDA=qui il diavolo è Giuda. Ma come verrà descritto Giuda poi? Come colui che si tiene la cassa, che sottrae i soldi, le energie agli altri per sé.

Sono i due modi contrapposti di vivere: chi vive per aiutare gli altri a diventare migliori, a risplendere, ad essere ciò che possono essere, a fiorire e non sente competizione o invidia per tutto ciò. E chi, invece, è invidioso, geloso, e per questo tiene per sé le cose, le idee, non condivide, non si spende e sente gli altri come nemici che gli tolgono luce e valore.

Gesù è colui fa grandi gli altri; Giuda è colui che li fa piccoli. Ciò che fai con gli altri è ciò che sei. Gesù è colui che da, mentre Giuda è colui che trattiene. Gesù ha fiducia e dono, Giuda ha paura e ruba.

 

3GESÙ, SAPENDO CHE IL PADRE GLI AVEVA DATO TUTTO NELLE MANI E CHE ERA VENUTO DA DIO E A DIO RITORNAVA.

NELLE MANI=le mani nella Bibbia sono il simbolo della potenza di Dio: Dio, adesso, agisce nelle mani di Gesù.

ERA VENUTO DA DIO E A DIO RITORNAVA=qui c’è allusione a Is 55,11 dove si parla che la Parola di Dio (e Gesù viene presentato come la Parola incarnata di Dio!), uscita dalla sua bocca, non ritorna a Lui senza effetto, cioè senza aver operato ciò che Lui desiderava e senza aver compiuto ciò per cui l’aveva mandata.

 

4SI ALZÒ DA TAVOLA, DEPOSE LE VESTI, PRESE UN ASCIUGAMANO E SE LO CINSE ATTORNO ALLA VITA.

SI ALZO’ DA TAVOLA=quindi non è il lavaggio che si faceva prima del pranzo (abluzioni). Gesù interrompe la Cena pasquale (quindi è un atto molto forte) e inserisce un gesto totalmente nuovo: facendo così ne cambia radicalmente il significato. Da adesso in poi la Pasqua non sarà più il ricordo del passaggio del Mar Rosso, della sconfitta degli Egiziani, dell’uscita dalla prigionia d’Egitto, ma sarà il segno dell’Amore infinito di Dio per ogni uomo.

DEPOSE LE VESTI=lett. “si tolse il mantello”: il mantello era un elemento fondamentale (uno dei pochi) per la gente del tempo, una delle poche cose che si possedeva. Il mantello ti proteggeva dal freddo, dal vento, dagli animali, ecc.

Quindi il mantello rappresentava la dignità.

Lavare i piedi, per la gente comune, era un gesto disonorevole: solo i sottomessi lo facevano. Ma per Gesù lavare i piedi, adesso, è un segno di amore: non solo non c’è più niente di male inchinarsi e lavare i piedi, ma l’amore, cioè il servire, è il segno distintivo del cristiano. E, inoltre, l’amore di Gesù (e di ogni cristiano) è per ogni uomo. Per tutti!

Gesù depone il suo “scudo” e si mostra vulnerabile. Amare rende vulnerabili, per questo molte persone non ne sono capaci. Amare = “Mostro il mio lato debole… Quando ti amo so che tu puoi ferirmi: corro questo rischio!”.

PRESE UN ASCIUGAMANO=lett. un asciugatoio. E’ il simbolo del servizio, del mettersi a disposizione per. Ciò che Gesù fa coglie tutti di sorpresa: nessuno mai si sarebbe aspettato una cosa del genere.

 

5POI VERSÒ DELL’ACQUA NEL CATINO E COMINCIÒ A LAVARE I PIEDI DEI DISCEPOLI E AD ASCIUGARLI CON L’ASCIUGAMANO DI CUI SI ERA CINTO. 

COMINCIO’ A LAVARE=il verbo lavare viene ripetuto sette volte.

Gesù lava i piedi ai suoi “presunti” amici. E, dobbiamo ricordare, che nelle strade della Palestina ci sono escrementi, sputi, polvere e che i piedi erano la parte più sporca e impura. Il compito di lavare i piedi era riservato agli esseri inferiori nei confronti di quelli superiori. Era la moglie che lavava i piedi al marito, il figlio al padre e i discepoli al proprio maestro.

I discepoli vogliono far Gesù re (Gv 6,35): Gesù mostra, invece cos’è la vera regalità. Gesù fa un lavoro da servi perché i servi si sentano signori. Nella comunità di Gesù non ci sono gerarchie, ranghi o superiori: tutti sono signori per farsi servi degli altri.

Gesù non si abbassa ma innalza gli altri. Cosa facciamo invece noi? Quando qualcuno non ci va lo abbassiamo: lo giudichiamo, mettiamo in luce il negativo, troviamo sempre qualcosa che non va. In realtà lo stiamo abbassando al nostro livello. E quanto male parliamo degli altri dice nient’altro il livello che noi siamo e non dove sono gli altri.

 

“Cosa??? Ma che fa? E’ pazzo? Non è possibile!” La reazione dei presenti dev’essere stata qualcosa di simile.

Dobbiamo considerare come funzionava a quel tempo la società. Al vertice della piramide c’era Dio nella sua divinità. Subito un gradino più in giù c’erano i sommi sacerdoti e un po’ più sotto gli altri religiosi del tempo. All’ultimo posto i servi e fuori dalla piramide, cioè neppure contemplati e considerati, c’erano gli schiavi!

Che fa Gesù? Capovolge la piramide! Chi è adesso considera grande? I servi, gli schiavi: chi era all’ultimo posto (o addirittura fuori) adesso viene preso a modello.

Mai un sacerdote avrebbe fatto un gesto simile: si sarebbe contaminato, si sarebbe reso impuro! E il sacerdote, colui che neppure si ferma, neppure si sporca le mani per non contaminarsi quando vede un uomo mezzo morto (Lc 10,29-35), adesso finisce all’ultimo posto.

 

Qui cambia tutto. Prima era così: “Tu sei puro, tu non fai peccato, tu sei in grazia, tu sei  perfetto, e Io ti accolgo”. Schiere di generazioni sono state educate (meglio dire terrorizzate) dalla purezza e dal senso del peccato.

Mia nonna se aveva avuto un rapporto sessuale con mio nonno (non dico con un altro uomo ma con mio nonno!, suo marito, sposati per 50 anni con 10 figli!) neppure andava a fare la comunione.

Mio nonno (che lavorava i campi e aveva quindi ben fame!) se aveva mangiato qualcosa dopo la mezzanotte, anche se la messa era la sera, non faceva la comunione. Dio era per i bravi.

Ma adesso tutto si sovverte: “Non sei più tu che vai da Lui, ma Lui viene da te per amarti. Hai i piedi sporchi? Perfetto, Lui viene a lavarteli: lascia che te li lavi! Hai il cuore pieno di sudiciume? Perfetto! Lascia che Lui lavi le sozzure del tuo cuore e in ogni caso Lui ti ama. Non fai mai niente di giusto? E, forse, neppure mai farai niente di giusto, neppure in futuro? Beh, sappi che Lui ti ama lo stesso, oggi e domani.

Lui non ti dice: ti lavo i piedi ma tu cambi vita! No, Lui ti dice: io ti amo, oggi e domani, convertito e no!”.

E ogni volta che tu “servi l’uomo” tu sei sacerdote!

E’ molto interessante che proprio qui dove gli altri evangelisti hanno l’eucarestia, Gv ha la lavanda dei piedi. Allora: si può essere sacerdoti per ordinazione ma si può essere sacerdoti per amore, cioè, perché si sa amare e si ama concretamente. E se si è sacerdoti “per amore” sicuramente si è sacerdoti per Gesù (cosa che non è detta per l’inverso).

 

Vivere significa sporcarsi le mani. Vivere significa buttarsi con coraggio. Vivere significa cadere e sbattere il muso.

Vivere significa provarci e sapere che non sempre andrà bene.

Vivere significa coinvolgersi: non si può sapere cos’è il mare senza immergersi. Non si può conoscere la vita senza vivere. E non è un vero peccato, per paura, non vivere! Non si può sapere cos’è l’amore senza innamorarsi. E non è un vero peccato, per paura degli sconvolgimenti emotivi, non amare! Non si può accedere alla felicità, senza l’esperienza della realtà concreta. E non è un vero peccato, per paura degli incontri (che non si possono mai controllare), non essere felici!

Se volete sapere cos’è la vita dovete necessariamente lasciarvi tirare dentro. Lo diceva anche Gesù: “Vuoi conoscermi?”. “Vieni e seguimi!”. Quello che più cercate non potete trovarlo stando fuori: dovete entrarci dentro… o non lo conoscerete mai!

Sì, in certi giorni sarà buio; sì, in certi giorni vi sentirete persi; sì, in certi giorni maledirete il giorno e le scelte che vi hanno portati lì; sì in certi giorni sarà tempesta ma in quel momento saprete cos’è il mare! In quel giorno, sarete dentro al flusso della vita.

Sarebbe un vero peccato vivere un’esistenza e non esserci mai entrati dentro. La vita non è come dovrebbe essere: è quella che è. E’ il modo in cui l’affronti che fa la differenza. Non puoi conoscerla stando fuori: sporcati le mani ed entraci dentro”.

“Non si può amare a distanza, restando fuori dalla mischia, senza sporcarsi le mani, ma soprattutto non si può amare senza condividere” (Don Luigi Di Liegro).

 

Gesù, che era Dio, non è rimasto lassù nel suo mondo celeste ma è sceso quaggiù, in questo mondo terreno e imperfetto. Non ha detto: “Questa è la verità: se la vivete bene, altrimenti peggio per voi!”, rimanendo lassù.

Lui è sceso. Gesù si è sporcato le mani con gli uomini, cioè si è lasciato coinvolgere. Lui è sceso e ha lavato i piedi: ha voluto contaminarsi, impastarsi con quest’umanità così imperfetta.

Questa è la fede: non è pregare nella propria stanza per sé e fare le proprie devozioni intime; se si prega nella propria stanza è per “scendere”, è per cambiare se stessi e questo mondo, è per portare la Vita e l’Amore in questo mondo così conflittuale, che lo rifiuta, che non lo conosce, che ti si oppone. La fede e la preghiera che non diventano “cambiamento, discesa” rimangono evasione religiosa.

Gesù è venuto per cambiare il mondo.

 

6VENNE DUNQUE DA SIMON PIETRO E QUESTI GLI DISSE: «SIGNORE, TU LAVI I PIEDI A ME?».

SIMON PIETRO=quando nel vangelo troviamo Pietro nominato “Simon Pietro” l’evangelista ci sta dicendo: “Preparati che adesso succede qualcosa”.

SIGNORE=lo chiama “Signore” e non “Maestro” proprio perché vuole mantenere una distanza fra lui e Gesù, cioè non vuole farsi coinvolgere.

TU LAVI I PIEDI A ME?=e chi è che si oppone? Quello che da sempre ha preteso di essere il modello, l’esempio, il primo degli altri. E perché si oppone? Perché ha compreso benissimo il gesto di Gesù!

“Cosa? Se lo fai tu, lo dobbiamo poi fare anche noi? Se tu che sei il primo lavi i piedi a me, poi anche a me (che mi considero e ritengo il primo!) tocca di farlo agli altri! Non penso proprio!!!”. Pietro, quindi, rifiuta il messaggio di Gesù.

 

7RISPOSE GESÙ: «QUELLO CHE IO FACCIO, TU ORA NON LO CAPISCI; LO CAPIRAI DOPO».

LO CAPIRAI DOPO=dopo quando? In Gv 21,15-21 Pietro in un dialogo tremendo con Gesù, smette di resistere, smette di seguire i suoi ideali e la sua idea di Gesù e finalmente, deposte le armi e le false credenze, seguirà il vero Gesù. Lì e solo lì, capirà chi è veramente Gesù.

 

8GLI DISSE PIETRO: «TU NON MI LAVERAI I PIEDI IN ETERNO!». GLI RISPOSE GESÙ: «SE NON TI LAVERÒ, NON AVRAI PARTE CON ME».

TU NON MI LAVERAI I PIEDI IN ETERNO=mai! Pietro gli dice: “Io no!”.

SE NON TI LAVERÒ, NON AVRAI PARTE CON ME=non puoi essere dei miei! Gesù qui è radicale: questa è l’unica condizione che Gesù mette per seguirlo. Non chiede ai suoi discepoli di rinunciare all’affettività o alle relazioni o di fare questo o quello, ma di vivere nel servizio. “Se vuoi seguirmi adotta lo stile del servizio: se non lo accetti non mi puoi seguire”.

 

9GLI DISSE SIMON PIETRO: «SIGNORE, NON SOLO I MIEI PIEDI, MA ANCHE LE MANI E IL CAPO!». 10SOGGIUNSE GESÙ: «CHI HA FATTO IL BAGNO, NON HA BISOGNO DI LAVARSI SE NON I PIEDI ED È TUTTO PURO; E VOI SIETE PURI, MA NON TUTTI». 11SAPEVA INFATTI CHI LO TRADIVA; PER QUESTO DISSE: «NON TUTTI SIETE PURI».

 

SIGNORE, NON SOLO I MIEI PIEDI MA ANCHE LE MANI E IL CAPO=di fronte a ciò, allora, Pietro tenta uno stratagemma: “Non solo i piedi ma anche le mani e il capo”.

Cosa sono questi lavaggi? Sono i lavaggi che i pellegrini facevano per Pasqua per rendersi puri. Di nuovo rifiuta! Pietro tenta di deformare il gesto di Gesù, facendone un gesto di purificazione a Dio e non una lavanda di servizio all’uomo. Mentre gli apostoli pensano a salire, ad essere “più” degli altri, Gesù chiede loro di scendere!

MA NON TUTTI=infatti Giuda, a cui pure a lui sono stati lavati i piedi, non è puro.

Allora: non è il semplice lavaggio dei piedi, non è il semplice rito religioso, che ti fa puro se tu non ti converti dentro. Sì, Giuda accetta il lavaggio dei piedi (rito esterno), ma non accetta di lavare i piedi/servire gli altri (rito interno: senso del rito). Per cui attenti a tutte le nostre preghiere: se non producono cambiamenti, aperture di cuore, di mente e d’amore, sono niente.

 

12QUANDO EBBE LAVATO LORO I PIEDI, RIPRESE LE SUE VESTI, SEDETTE DI NUOVO E DISSE LORO: «CAPITE QUELLO CHE HO FATTO PER VOI?

QUANDO EBBE LAVATO I PIEDI=l’esperienza dell’essere amati, dell’essere accettati a prescindere, al di là del bene e del male, viene prima dell’esperienza del dare. Per questo molte persone sono giudicanti e dure: perché non hanno mai accettato l’esperienza (umile) dell’essere amati per e nelle proprie imperfezioni.

RIPRESE LE VESTI=vuol dire che riprende la sua dignità (=mantello). Il servire non ti toglie dignità (come si pensava a quel tempo) ma anzi te l’aumenta. Gesù riprende le vesti ma non mette giù il grembiule: Gv si è dimenticato? No, chiaro! Il servizio, cioè l’essere a servizio perché l’altro diventi il meglio di sé, non si depone mai. L’abito sacro, il paramento, la veste sacerdotale, è essere per il bene dell’altro, è servire.

SEDETTE DI NUOVO=ma chi erano coloro che mangiavano sdraiati: solo i signori! I signori erano signori perché erano uomini liberi (gli altri, i servi/schiavi li servivano). Per noi servire=essere servi, schiavi, sgobbare, rinunciare a sé, sacrificio, annullarsi.

Ma Gesù non dice questo: il servo è sempre un signore, cioè libero. Non tolgo nulla a me, ma mi metto a tuo servizio perché tu possa essere il meglio di ciò che puoi. Questo è servire.

 

Con i figli…

   si è servi…: “Ascolta me… fa come ti dico io… io ti comando… io so cos’è la verità”. Quando si prende una persona e si fa tutto quello che lei dice…

   e si è signori, genitori veri: “Sono qui perché tu possa diventare non ciò che voglio io ma il meglio di ciò che tu sei… anche se non è quello che io voglio… Vivo con te ma non vivo per te. Ho la mia vita e non mi annullo e neppure mi esaurisco per te perché se lo facessi, io perderei me e tu perderesti un genitore”.

Con il compagno…

   si è servi…: “Sono qui perché senza di te non ce la faccio… perché sento un buco dentro… perché mi sento in colpa… perché che cosa faccio se no… perché temo di cambiare o di perderti”.

   … e signori: “Non ti possiedo e non possedermi. Non ti incateno e non incatenarmi. Non sei un mio possesso e non sono un tuo possesso… sono qui per stare accanto a te… condividere… per fare insieme un viaggio”.

Con il superiore…

   si è servi…: “Sono alle tue dipendenze e sei tu che mi dici cosa io devo fare; sei tu il capo, sei tu la guida e io obbedisco”.

   … e signori: “Non sono una marionetta né un burattino. Ho la mia testa per pensare e per scegliere. Sono un tuo dipendente ma non hai potere sulla mia libertà”.

 

13VOI MI CHIAMATE IL MAESTRO E IL SIGNORE, E DITE BENE, PERCHÉ LO SONO. 14SE DUNQUE IO, IL SIGNORE E IL MAESTRO, HO LAVATO I PIEDI A VOI, ANCHE VOI DOVETE LAVARE I PIEDI GLI UNI AGLI ALTRI.

VOI MI CHIAMATE IL MAESTRO=l’articolo “il” esclude altri maestri: Lui è l’unico maestro.

SIGNORE=il signore è “colui che non obbedisce a nessuno” e non tanto colui che comanda gli altri. Che Gesù sia “Signore” vuol dire che Lui non obbedisce ai potenti della terra ma a Dio

DOVETE LAVARVI I PIEDI=ofeilo=lett. “essere debitori, avere un debito, quindi avere un obbligo verso qualcuno”. Non si serve gli altri perché “si è dei bravi cristiani o perché c’è l’ha detto Gesù”: no!, è la conseguenza dell’essere stati amati, è la conseguenza della consapevolezza che i nostri piedi, per quanto siamo bravi e buoni sono sempre “sporchi” e Lui ci ama lo stesso!

L’amore dato è un’esperienza dell’amore ricevuto. Sei tu puoi sentire di essere stato amato gratuitamente, ti viene naturale di fare altrettanto.

Ma se tu ti credi perfetto allora o non c’è amore verso gli altri o il tuo amore sarà nient’altro che per sentirti “di più” degli altri.

 

15VI HO DATO UN ESEMPIO, INFATTI, PERCHÉ ANCHE VOI FACCIATE COME IO HO FATTO A VOI.

VI HO DATO UN ESEMPIO PERCHE’ ANCHE VOI…=il termine “esempio” (ipodeigma da ipodeiknimi=faccio vedere, mostrare) indica un far vedere che rende capace di rifare. Uno vede una cosa e poi la impara; è un modello abilitante. Quindi, adesso, i discepoli sono resi capaci di rifare quello che hanno ricevuto. Tutti, cioè, siamo in grado di servire.

Gesù non dice: “Fate sempre così, lavatevi i piedi”. Non si tratta di ripetere un semplice gesto formale. No!, dice: “Questo è un esempio di una capacità, di una dimensione (il servire) che dev’esserci sempre nella Chiesa. Dovete essere sempre così!”.

 

L’amore: mi metto nei tuoi panni (=ti capisco) e mi metto nei miei panni (mi capisco).

Poi ci sediamo e capiamo cosa fare.

 

Sono le 19 di sera e lui torna da lavoro. Si salutano, si danno un bacio e lei dice: “Che mal di schiena”. E lui: “Che giornata al lavoro! Una corsa senza fine!”. Si sono comunicati delle informazioni, ma è proprio questo che si vogliono dire?

Che cosa sta dicendo lei? Sta dicendo semplicemente: “Volevo informarti che ho mal di schiena” o sta dicendo: “Mi piacerebbe da matti se adesso ti sedessi e mi massaggiassi un po’ la schiena. Questo mi farebbe sentire amata”? Oppure sta dicendo: Ti va di sederti qui con me e di ascoltarmi sul perché ho mal di schiena… su cosa ho fatto oggi… anche se non mi passa il mal di schiena, mi farebbe felice il cuore”.

Ma se lei vuole dirgli questo perché non glielo dice?

E lui? Lui sta dicendo: “Sappi che oggi ho lavorato molto” (informazioni) o le sta dicendo: “Lasciami per favore un po’ stare, ho bisogno un po’ di staccare, di silenzio, di non far nulla perché devo un po’ disintossicarmi dalla giornata”. Ma perché non glielo dice?

La regola vale per tutti: se hai un bisogno è un tuo dovere comunicarlo. Non hai un televisore in testa dove gli altri vedono ciò di cui hai bisogno.

“Ma dovrebbe capirlo!”, non è una buona frase! Perché dovrebbe capirlo? Perché hai questa pretesa? Perché dovrebbe capire lui ciò di cui tu hai bisogno? Forse lui non ha questo bisogno!

 

Hai bisogno di ascolto? Dillo!: “Mi piacerebbe che tu ti sedessi con me e mi dedicassi un po’ di tempo”.

Hai bisogno di coccole? Dillo!: “Ti va, per favore, di coccolarmi un po’, di accarezzarmi, ho bisogno di un po’ di attenzioni, di un po’ di tenerezza”.

Hai bisogno di aiuto? Dillo!: “Ti va di aiutarmi? Sono veramente affaticata e se tu mi aiutassi io mi sentirei sollevata e sentirei il tuo amore per me”.

Sei triste? Perché te lo tieni dentro? Dillo: “Ti va di ascoltarmi? Sono molto triste per questo motivo…”.

Ami una persona? Diglielo!: “Ma sai che ti voglio un sacco di bene, che sei una persona di aiuto, che la tua presenza arricchisce la mia vita”.

 

L’amore ha due direzioni: non esiste l’amore se manca una delle due direzioni.

L’amore va verso fuori e verso dentro. Se ha entrambi le direzioni parliamo di amore; se c’è n’è solamente una allora parliamo di “falso amore”.

 

  1. Verso dentro è l’amore per sé.

Lamore per sé è il poter sentire i propri bisogni, lascoltarsi veramente, il darsi valore, il saper mettere i propri panni senza dover sempre pensare agli altri… o il temere di darsi credito… o il pensare di non valere… o il chiedere sempre  agli altri la dimostrazione del proprio valore.

Se c’è solo amore per sé si ha il narcisismo: vedo solamente me e non vedo gli altri. Tutto viene letto in riferimento a me. Il narcisismo non consiste nell’incapacità di amare, ma nell’incapacità di accogliere l’amore dell’altro.

Un uomo dice: “Tu preferisci gli altri a me” (Sì è vero!).  Vede solamente sé, la sua paura di essere escluso e non vede me che scelgo, come amico, chi desidero.

La moglie dice: “Torni dal lavoro e non mi aiuti mai! Io sono stata con i figli tutta la giornata!”. Vede solamente sé (e capisco il suo stress!) e non vede lui e il suo stress.

 

  1. Verso fuori è l’amore per gli altri. L’amore per gli altri ha vari possibili origini.

Lamore per gli altri è: Dono il mio tempo, le mie capacità, ciò che sono io, perché tu possa stare bene, perché tu possa essere il meglio di te, perché tu possa brillare.

Se c’è solo amore per gli altri (e non per sé) c’è qualcosa che non va: come posso insegnarti a suonare la chitarra (=amo te) se non so suonarla io (=non amo me)? Allora lamore per gli altri diventa un modo per ottenere amore, un modo per essere riconosciuto, un modo per sentirsi importanti, per sentirsi necessari, per sentire di avere un posto, nella vita di ciascuno.

 

L’amore allora è verso di sé (dentro) e verso gli altri (fuori): quando è così l’amore scorre. Lamore è capisco te e capisco e capisco me: adesso ci sediamo e vediamo cosa fare.

Platone: “Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla. Sii gentile. Sempre”.

Whitman: “Io non chiedo al ferito come si senta, io divento il ferito”.

 

In ospedale: un paziente schiaccia il campanello e chiama l’infermiere, che non arriva. Allora lo schiaccia altre tre volte prima che arrivi: “Ma dov’era finito? Io ho male! Lo pagano per fare il suo lavoro!”. Certo, il paziente ha male, ma non c’è empatia, non si è messo nei suoi panni: forse quell’infermiere lì stava curando un altro che era nella sua stessa situazione.

Tuo figlio torna da scuola: “Come è andata?”. “Bene!” e vedi che ha una faccia da funerale. Dai parlami, non mi dici mai niente! Hai la bocca per parlare!”. Cosa accadrà? Accadrà che si chiuderà ancor di più, che si sentirà pressato dal parlare e a maggior ragione non parlerà.

Mettiti nei suoi panni: forse adesso non ne ha voglia; forse si vergogna di parlarne; forse è qualcosa di così doloroso che non è pronto a parlarne; forse sei tu la ragione e non vuole ferirti. Perché non dirgli: Puoi non dirmi quello che hai dentro. Sento che sei triste o forse deluso, qualcosa di simile. Mi piacerebbe che tu me ne parlassi, se ti è utile”.

Un animatore il giorno prima mi dice: “Non posso venire a darti una mano al camposcuola perché devo andare via con la mia ragazza”. Io mi arrabbio, vado su tutte le furie e se non uso lempatia gli dico: “Beh puoi andarci anche un’altra volta con la tua ragazza! Ma me lo dici adesso? Ma ti pare il modo? Fidati tu dei giovani!”. Ma che ne so io? Meglio non giudicare mai perché non sappiamo mai cosa c’è dentro laltro. La sua ragazza gli aveva detto la sera prima: “Ho intenzione di lasciarti!”. Ovvio non poteva venire! E perché non me lha detto subito? Perché dentro ha una tempesta.

 

Qualche volta mi è successo che le persone mi dicano: “Ma come fai ad ascoltare così bene?”. Io rispondo: “Io non ti ascolto: io divento te, ti capisco da dentro. Per questo so perché lo fai. Io sento quello che senti tu”. E quando si fa così, si scopre, che ogni cosa ha il suo motivo.

 

Charlotte Campbell è una bambina della Nuova Zelanda (quando i fatti sono successi aveva 4 anni). Ha avuto un impianto cocleare per gravi problemi legati alludito: le è stata riscontrata, infatti, una capacità limitata di trasmettere i suoni al suo cervello. In pratica ha due grossi impianti esterni, molto vistosi sul capo (uno sullorecchio e uno sul capo). Sapete cos’ha fatto suo papà, Alaistar Campbell? Si è rasato completamente i capelli e si è fatto un tatuaggio tale e quale allapparecchio della figlia. Uno straordinario gesto d’amore e di empatia.

 

In una fredda giornata d’inverno un gruppo di porcospini si rifugia in una grotta e per proteggersi dal freddo si stringono vicini.  Ben presto però sentono le spine reciproche e il dolore li costringe ad allontanarsi l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li porta di nuovo ad avvicinarsi si pungono di nuovo.

Ripetono più volte questi tentativi, sballottati avanti e indietro tra due mali, finché non trovano quella moderata distanza reciproca che rappresenta la migliore posizione, quella giusta distanza che consente loro di scaldarsi e nello stesso tempo di non farsi del male reciprocamente.

 

Pensiero della settimana

Non puoi dire di aver vissuto veramente

se non ha mai fatto qualcosa per qualcuno che non potrà mai ripagarti.