Spirito consolatore

VI Domenica di Pasqua

Domenica 26 maggio 2019

Prima lettura: At 15, 1-2. 22-29     Salmo: Sal 66  Seconda lettura: Ap 21, 10-14. 22-23    Vangelo: Gv 14, 23-29

 

 

Siamo nell’ultima cena (Gv 13-17) dopo la lavanda dei piedi, dopo che Giuda se n’è andato per compiere il suo tradimento, Gesù fa un lungo discorso e prepara i suoi amici alla sua partenza. Non lo vedranno più.

Per capire questo vangelo dobbiamo fare un passo indietro. Infatti, nel capitolo 14 di Gv tre discepoli fanno a Gesù tre domande, meglio gli pongono tre obiezioni. Tre non è un numero casuale ma indica tutte le domande possibili, cioè la completezza. Questo ci dice che i discepoli hanno resistito, hanno fatto fatica ad accettare le parole di Gesù.

1. Tommaso gli chiede: “Dove vai e come possiamo conoscere la via?” (Gv 14,5). I discepoli credono che ci sia un insieme di pratiche, di cose da dire/fare (com’era nella tradizione del tempo e di ogni religione) per raggiungere, arrivare a Dio.

 

E’ la grande domande religiosa: “Che cosa devo fare?”. Gesù: “Nulla!”. La religione dice: “Fai questo… quello… e Dio sarà felice”. La fede dice: “Sii felice, sii nella verità, e Dio sarà con te”. Ma Gesù risponderà: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Cioè: “Vivete come me che sono una strada (via) che vuole far verità su di sé e sul mondo e facendo questo dà vita vera”.

Una frase breve ma densa che dice: “1. Vuoi essere felice? Sii vivo!”. Per Gesù la felicità è essere pienamente vivi, vitali, al massimo delle proprie capacità. “2. Vuoi essere vivo?”. “Sii nella verità”, cioè fai verità della tua vita, fai cadere le maschere, le ipocrisie, le tende dietro alle quali ti nascondi. “3. Vuoi essere nella verità? Possibile, se lo vuoi, ma è un cammino, una strada”. Cioè: si realizza un po’ alla volta, passo passo, aprendosi sempre di più alla verità.

 

2. Filippo gli chiede: “Mostraci il Padre e ci basta” (Gv 14,8). Filippo gli chiede un segno, gli chiede di vedere il Dio di cui Gesù parla (il Padre), un po’ come Mosè ed Elia, anche solo di spalle, hanno veduto Yahwè.

E’ la grande domande religiosa: “Come faccio ad essere sicuro?”. Gesù: “Sperimentami!!”. La religione chiede: “Se mi darai un segno… crederò!”. La fede dice: “Ti ho incontrato e quindi so chi sei!”.

Ma Gesù risponderà: “Chi ha visto me ha visto il Padre. Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto Filippo? Io sono nel Padre e il Padre è in me” (Gv 14,9). Cioè Dio non lo puoi vedere “direttamente”: Dio è nell’altro, nelle persone, nella vita, in te, in chi ti è vicino, in Gesù. Non ci sarà nessun segno (esempio: un miracolo!) che ti “costringerà” a credere: lo vedrai solo se avrai gli occhi della fede!

 

3. Giuda, non l’Iscariota, gli chiede: “Signore com’è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?”. E’ la grande domanda religiosa: “Noi siamo migliori degli altri, vero!?”. Gesù: “Per niente!”. La religione chiede: “Noi siamo i prediletti, noi che ti seguiamo, vero!”. La fede dice: “Tutti sono i prediletti di Dio!”.

Gesù si è manifestato solo agli Apostoli? No. Lo avrebbero voluto!, ma non è andata così. Anzi Gesù si è manifestato apertamente a tutti. Agli apostoli dava fastidio che Gesù si manifestasse a tutti. E dava ancor più fastidio che non si manifestasse in maniera straordinaria e spettacolare, com’era nel loro immaginario la venuta del Messia, figlio di Dio (quindi con superpoteri e supercapacità).

E’ una tentazione da parte di Giuda: Giuda vuole che Gesù si manifesti come il Messia atteso e spera che loro saranno i suoi confidieri e i suoi generali che custodiranno i suoi segreti più intimi.

 

Gesù con queste parole di questo vangelo cerca di chiarire alcune cose, alcuni dubbi che gli apostoli hanno.

 

14,23GLI RISPOSE GESÙ: «SE UNO MI AMA, OSSERVERÀ LA MIA PAROLA E IL PADRE MIO LO AMERÀ E NOI VERREMO A LUI E PRENDEREMO DIMORA PRESSO DI LUI.

L’amore per Gesù nasce, ha origine, dal far esperienza di essere amati da Lui.

L’amore di Gesù, però, lo vedi non da questo, che non si può vedere perché è un’esperienza interiore, intima, personale, ma dall’amore che una persona riversa verso gli altri (lavanda dei piedi). L’amore per Gesù, quindi, non si vede da quanto uno prega, da quanti rosari dice, da quanto va in chiesa, ma se uno ama i fratelli: questa è la “parola” da osservare. Chi lo ama “osserva, cioè, vive” la sua parola, cioè ama/serve gli altri.

 

SE UNO MI AMA, OSSERVERÀ LA MIA PAROLA=ecco il criterio decisivo. La Parola di Gesù non va imparata a memoria, non va osservata alla lettera come fosse una reliquia, ma osservare la parola di Gesù vuol dire amare. Se uno ama, osserva la Sua parola. L’amore per Gesù è dare vita agli altri (i ciechi tornano a vedere; i morti tornano a vivere; i sordi tornano a sentire, ecc.). Chi ama Gesù vive per questo: per dare la vita agli altri.

 

Il Padre non ci ama perché facciamo quello che Lui vuole, ma perché Lui che è l’Amore, non può non amare chi vive dell’Amore, cioè di Lui.

 

Solamente chi ama può vedere Dio

 

Cosa vuol dire Gv allora? Che solamente chi ama può sentire il Signore, cioè riesce a percepirne la sua presenza.

Cosa succede allora? Chi ama dilata il proprio cuore per amare, contenere, per effondere sugli altri il proprio amore che vuole dare vita. Bene: quest’apertura per gli altri è l’apertura che ti permette di ricevere e di sentire in maniera sempre più abbondante anche l’amore di Dio.

Non è che Dio ti ami di più! E’ che tu lo senti di più. Hai aperto il tuo cuore per gli altri e in quest’apertura adesso tu puoi sentire di più l’amore di Dio. E’ per questo che più si dà più si riceve! Perché ti rendi conto (diventi più sensibile) sempre di più di quanto bene c’è attorno a te, di quanto le persone fanno per te, in quanta gratitudine sei immerso, ecc.

 

Chi chiama “amore” l’attaccamento non può vederlo o sentirlo. Cerca santini, liturgie, si attacca a quello che qualcuno gli dice, ma non lo vede, non lo sente, perché l’amore è amare senza attaccarsi.

Chi chiama “amore” il possesso non può vederlo o sentirlo. Cerca verità che lo rassicurino, cerca una “prova” inattaccabile (visione, apparizione, miracolo), cerca di possedere la certezza ma non lo vede/sente perché nell’amore non si possiede nessuno e non si è posseduti da nessuno.

Chi chiama “amore” la pretesa non può vederlo o sentirlo. Perché l’amore non è quello che l’altro deve fare per me, ma ciò che io metto in gioco con l’altro perché la nostra relazione viva. L’amore che pretende è dominio, potere, costrizione, manipolazione.

Chi chiama “amore” i propri bisogni non può vederlo o sentirlo. Perché se per me l’amore è che tu riempi il mio bisogno di solitudine o che tu riempia il mio buco di affetto o che tu mi dia ciò che altri non mi hanno riconosciuto, allora non ti amo ma ti uso. L’amore non usa l’altro; l’amore si dona all’altro.

L’amore è lo spazio tra me e te; non sei tu, non sono io, ma ciò che nasce fra me e te (che fisicamente ad esempio è un figlio).

Chi non “conosce” quest’amore, dice Gv, non può vedere né sentire il Signore, perché? Perché Dio è visibile con gli occhi del cuore, dell’amore appunto; è un’esperienza visibile, chiara, certa, toccabile, ma solo con questi occhi. Sono quegli occhi che ti permettono di sentire il sorriso negli occhi di chi ami o la luce nel volto delle persone che “vivono”. Solo con quegli occhi lì lo vedrai: sono gli occhi dell’amore.

Per questo solo chi ama “vede” Dio e chi “vede” Dio sicuramente ama. 

 

❒ E NOI VERREMO A LUI E PRENDEREMO DIMORA PRESSO DI LUI=ecco l’incredibile novità: Dio, da adesso, non è più fuori ma dentro l’uomo.

Queste parole hanno delle conseguenze incredibili.

1. Dio non è più fuori ma dentro: la piena umanità è la piena divinità.

2. Tanto più l’uomo è umano tanto più manifesta il divino che è in lui.

3. Dio si fonde con l’uomo e lo potenzia e diventa la sua forza, la sua energia, il suo fuoco. Dio viene per aiutare, potenziare, dilatare la capacità d’amore e di vita dell’uomo.

4. Non è più l’uomo che va in cielo ma è il cielo che viene nell’uomo. Quando un uomo muore non va in Dio perché Dio è già in noi.

5. Non si va più in un santuario per trovare Dio ma l’uomo stesso (io, tu, ecc.) diventa santuario di Dio.

 

1. Primo passaggio. Nell’Esodo Dio aveva posto la sua dimora in una tenda in mezzo al popolo, e camminava con esso guidandolo verso la libertà. Quindi Dio era “in mezzo” all’uomo.

 

2. Secondo passaggio. Ma cosa succede poi? La casta sacerdotale sequestra Dio e lo relega in un tempio dove non a tutti era possibile l’accesso. Anzi alcuni erano esclusi, per altri l’ammissione era soltanto a determinate condizioni, con determinati cerimoniali e soprattutto attraverso il pagamento di tributi e offerte. Quindi Dio era “lontano” dall’uomo.

 

3. Terzo passaggio. Con Gesù cambia tutto: Dio è “dentro” l’uomo. Ogni uomo diventa “chiesa, santuario, arca” di Dio. Prima il sacro era “fuori, lontano” dall’uomo: adesso è l’uomo stesso ad essere sacro. Prima c’era bisogno di mediazioni: i sacerdoti, il tempio, ecc.; adesso l’uomo è già in collegamento con l’Altissimo. Quindi, se prima Dio doveva essere “conquistato” con meriti, offerte, preghiere, adesso Dio c’è già! Prima c’erano tutta una serie di “condizioni” per raggiungerlo, adesso non più! Prima era l’uomo che andava da Dio, adesso è Dio che va dall’uomo, da ogni uomo (lontani, allontanati, esclusi, rifiutati, ecc.).

Dio vive in me

 

Questo vangelo fa parte del lungo discorso fatto da Gesù durante l’Ultima Cena, dove aveva lavato i piedi ai suoi discepoli (Gv 13-17). Dopo che Giuda se n’è andato per compiere il suo tradimento, Gesù fa un lungo discorso e prepara i suoi amici alla sua partenza. Non lo vedranno più.

Gli apostoli dicevano: “E’ perso tutto!”. Per certi aspetti era vero: finiva un mondo. Quando moriremo, perderemo tutto e finirà per davvero un mondo.

Ma dopo la morte del Maestro non ci fu più un solo Maestro ma decine di altri maestri. Gesù adesso viveva dentro gli apostoli. Questa esperienza di avere il Signore vivo dentro di loro la chiamarono lo Spirito, l’Amore, il Risorto.

C’era un discepolo che tutti i giorni, da tanti anni, andava dal suo maestro. Il suo maestro gli spiegava i segreti della natura, le leggi che sottendono a tutto ciò che vive, a tutto ciò che esiste. Gli aveva insegnato a leggere i cuori degli uomini, a capirne le intenzioni, a prevederne le reazioni. Ogni mattina il discepolo arrivava, poneva delle domande al maestro e questo rispondeva alle sue domande. Il discepolo aveva imparato molte cose e ogni volta che non era sicuro, chiedeva al maestro. Una mattina andò come tutte le mattine dal maestro. Come arrivò il maestro gli disse: “Questa mattina sarà l’ultima mattina che verrai qui da me!”. “Ma perché maestro? Ti ho deluso? Ho fatto qualcosa che non dovevo fare? Non ti ho obbedito? Non ti ho rispettato? Dimmi, maestro in cosa non ti ho ascoltato e io lo farò!”, disse il discepolo. “Finché tu vieni da me, io sarò sempre il maestro e tu sempre il discepolo. Ma adesso devi imparare l’ultima lezione: io sono maestro e tu anche. Da domani non chiederai più a me ma a te stesso”, disse il maestro.

 

Ci sono tanti modi per amare: posso ogni giorno darti un pesce da mangiare ma posso insegnarti anche a pescare, e allora sarai diventato tu stesso un altro pescatore.

 

Molte persone hanno 30 anni, 40, ma sono ancora attaccate alla tetta della mamma. Ma viene un tempo in cui il latte bisogna prenderselo da soli. Basta con il rimanere bambini.

Dio ci ha fatto un regalo incredibile, enorme: Dio non ha voluto che noi gli ubbidissimo sempre, che ci riferissimo a lui per ogni cosa, che dovessimo sempre consultarlo per sapere sempre e in ogni istante cosa fare. Dio non ci ha creati schiavi del suo volere. Dopo averci educati e insegnato un po’: “Io sono il Maestro e tu il discepolo. Ma da adesso tu sei il maestro”.

Gesù non ci chiama a venerarlo, a pregarlo, ad adorarlo. Gesù ci chiama ad essere noi stessi degli altri Gesù.

Tutt’oggi la maggior parte delle persone chiede risposte: “Cosa devo fare in questa situazione? Cosa dice il Catechismo della chiesa cattolica? Cosa dice il Papa? Cosa è giusto fare? Cosa bisogna fare?”. E’ il bambino che chiede tutto alla mamma perché non sa ancora cosa vuole e cosa non vuole, perché ha paura di fare delle scelte e di sbagliare. Ma l’adulto non chiede più all’esterno, chiede all’interno, chiede al Dio dentro di sé.

 

Noi dobbiamo prendere sul serio il fatto che Dio ci abita, che lo Spirito è dentro di noi. Sentirsi Dio dentro è farsi carico di una responsabilità che pochi sono disposti ad accettare. Meglio affidarsi al Dio dei dogmi e delle chiese, perché così ci si risparmia lo sforzo di decifrare quel mistero che siamo, dato che saranno i suoi rappresentanti a dirci come è fatto questo Dio e come lo dobbiamo amare e adorare.

La gente che chiede troppe risposte agli altri è perché non vuole prendersi la responsabilità e il carico di vivere la propria vita e la propria fede in prima persona. E’ sempre più comodo farsi portare in carrozzina, in passeggino, piuttosto che camminare con le proprie gambe.

Dio è dentro di te; il Maestro è lì in te a portata di mano: perché chiedi a me? Perché chiedi in giro?

Da questo punto di vista la chiesa ha le sue responsabilità. Ha sempre detto: “Io ho la verità”. Questo voleva dire: “Se vuoi sapere cosa dire e cosa fare, cosa è giusto e cosa no, chiedi a me”. Era un po’ come dire: “Tu non sai niente. Chiedi a me se non vuoi sbagliare”. Ma allora si è come delle marionette: qualcuno tira i fili, tu fai e ti muovi. Ma facendo così le persone si sentivano deresponsabilizzate. Non era importante ciò che loro pensavano o vivevano: basta eseguire. Il valore primo era il comandamento da rispettare; il verbo più stimato era obbedire.

Ma la chiesa deve insegnare che il primo valore è la tua coscienza: solo a lei devi rendere conto. E deve insegnare alle persone a formare e ad educare la coscienza. E il verbo prima è ascoltarsi, percepirsi ed essere fedeli al Dio interiore.

Lo Spirito ci ricorda una verità enorme: Dio è dentro di te. Tu lo devi conoscere, tu lo devi cercare, tu devi darti le tue risposte e ti devi prendere le tue responsabilità.

Giovanni XXIII passò un giorno con la sua auto davanti alla sinagoga di Roma (gli ebrei per secoli erano stati tacciati dalla chiesa come “perfidi”, ritenendoli colpevoli della morte di Gesù e a quel tempo questa credenza rimaneva). In quel momento stavano uscendo dal tempio una dozzina di ebrei. Il papa ordinò di fermare l’auto. Poi si diresse a piedi verso di loro e disse: ”Non lo so se faccio bene o male, ma ho sentito la voglia di darvi la mia benedizione come padre dei cristiani”. Gli ebrei ricevettero il suo gesto con simpatia e alcuni perfino lo abbracciarono. Quando poi rientrò in auto disse al suo segretario Loris Capovilla: “Mi domando che cosa direbbero alcuni teologi del Vaticano di quel che ho appena fatto. E se fossero loro a sbagliarsi?”. 

La tua coscienza è il Dio che parla dentro di te. Non delegare a nessun altro la tua vita.

 

24CHI NON MI AMA, NON OSSERVA LE MIE PAROLE; E LA PAROLA CHE VOI ASCOLTATE NON È MIA, MA DEL PADRE CHE MI HA MANDATO.

❒ CHI NON MI AMA, NON OSSERVA LE MIE PAROLE=chi “ama” Gesù vive come Gesù, cioè vivere dell’amore e riversarlo sugli altri. Chi non lo ama, non osserva le sue parole, cioè non vive nell’amore ricevuto e donato.

Quindi parola e amore sono equivalenti: il linguaggio, la parola di Gesù, di Dio, è l’amore. Per questo la Parola (=l’Amore) non è di Gesù ma viene da “prima” del Padre: Gesù è un mediatore, come anche noi siamo mediatori. Noi amiamo ma non siamo l’amore.

 

❒ E LA PAROLA CHE VOI ASCOLTATE NON È MIA, MA DEL PADRE CHE MI HA MANDATO=Gesù ha imparato dal Padre e noi impariamo da Gesù. Il Padre dà la Vita a suo Figlio/Gesù; Gesù dà quella stessa vita a noi e noi la diamo agli altri. E’ un fiume d’Amore che parte da molto lontano e che giunge a noi dal Padre attraverso Gesù.

 

Il vangelo dice: “Chi mi ama osserva (tereo) le mie parole; chi non mi ama non osserva le mie parole”. 

Tereo “osservare” vuol dire custodire, osservare, guardare, aver cura, stare in guardia, conservare. E’ il pastore che osserva, custodisce il suo gregge perché gli è caro, lo ama, perché è prezioso per lui. Osservare vuol dire non perdere mai di vista. E’ il pastore che siccome quelle pecore sono tutto ciò che ha, le osserva, non le perde mai di vista, le guarda sempre, le sorveglia dagli attacchi dei lupi e dei predatori.

Qui, allora, non si parla di osservanza, di fare giusto o sbagliato. Si vuol dire: hai scoperto una verità? Hai trovato qualcosa che ti riscalda il cuore? Hai trovato il cibo della tua anima? Hai trovato ciò che ti fa vivere? Non perderlo! Custodiscilo con tutto il tuo amore.

Bisogna proteggere ciò che è prezioso. Proteggi i tuoi tesori o ti verranno rubati.

Le parole di Gesù avevano riscaldato il cuore e l’anima degli apostoli; quelle parole li avevano fatti vivere. Per questo, se lo amano, le osserveranno, le custodiranno come tesori preziosi e unici.

 

Abbiamo davanti una grande tavola. In questa tavola c’è pasta con i gamberetti, pasta al pomodoro, roast beef, macedonia di frutta, fragole con la panna, yogurt, sushi, formaggi, dolci con varie marmellate e meringata, salmone, grigliate di carne, ecc. Tu vai e dici: “Cosa potrei prendere? Beh, mi prendo un po’ di questo, un po’ di quello; ma sì anche un po’ di quell’altro e anche quello”. Ci sono uomini e donne che prendono per tutta la vita le decisioni così: “Oggi facciamo quello; domani quell’altro; ma sì, proviamo anche questa cosa e quell’altra pure”. Non c’è un progetto, non c’è una direzione, non c’è un discernimento: prendono quello che c’è, quello che il pranzo offre.

Ci sono cose che ci fanno un cenno (che ci piacciono) e cose che ci appassionano, che ci prendono l’anima. Quando uno sceglie tutto è perché non ha ancora capito cosa è suo e cosa no, così prende tutto. Ma prendere tutto è come prendere niente: non si sceglie!

Os-servare, con-servare, vuol dire: “Questo, e non uno a caso o quello che trovo!”.

 

Rimanere fedeli a sé vuol dire, siccome non tutto si può scegliere, che non perderemo mai di vista ciò che ci prende l’anima, ciò che ci appassiona il cuore, ciò che è centrale per la nostra vita. Non ci faremo distrarre. Bisogna chiedersi: “Ma io cosa voglio? Di che cosa sono affamato? Che cosa mi fa sentire vivo?”.

L’anima non si accontenta di quello che le passa davanti. L’anima vuole il suo nutrimento, il suo cibo. E trovato ciò che ti fa vivere, bisogna conservarlo, custodirlo, osservare che non vada perso.

Oggi ci sono mille cose da fare. Se guardi a ciò che potresti fare, ci si scoraggia: c’è così tanto da fare. Il rischio è di essere tirati a destra e a sinistra, di fare di tutto e ogni cosa. Per questo è fondamentale conservare il proprio tesoro (ciò che ti fa vivere) e osservare di non essere fuori dalla propria strada. Così mi devo sempre chiedere: “Che cosa mi fa vivere? Che cosa mi appassiona? Per che cosa io vivo e voglio vivere? Per quali motivi io voglio spendere la mia vita?”. Per questo io mi devo ogni tanto fermarmi, pregare e ricordarmi: “Io sono qui per questo”.

 

Conserva le tue intuizioni: a volte abbiamo colto qualcosa di noi o verso dove andare. Non perderle. Quante persone si sono perse, si sono dimenticate di ciò che li appassionava nell’anima. Allora si muore dentro.

Conserva le tue relazioni: ci sono delle persone che sono per noi come dei porti, delle ancore di salvezza, dei salvagenti nel pericolo. Mai perderli, lasciarli; conservali perché ti fanno vivere.

Conserva i tuoi incontri: ci sono delle esperienze che ci ricaricano, che ci rientrano, che ci danno forza ed energia per andare avanti. A volte la fatica, la stanchezza, ci distolgono da ciò che per noi è vitale. Conserva ciò che riscalda il tuo cuore e che è il sangue e la linfa dell’anima. 

Conserva le tue parole. In certi momenti della vita tutti noi abbiamo percepito dei richiami, delle parole che ci hanno svegliato, risuonato dentro, rimbombato, che abbiamo sentito come nostre. Conserva le tue parole, accarezzale, ritornaci, custodiscile perché sono il dono di Dio per te, sono indicazioni di chi sei e di dove andare.

Conserva il tuo amore: troppe persone si fanno prendere dal lavoro e dai lavori, si distraggono in mille cose e perdono di vista il “tesoro” della loro vita. Così perdono l’amore, perdono ciò che li faceva coppia, ciò che li univa.

 

25VI HO DETTO QUESTE COSE MENTRE SONO ANCORA PRESSO DI VOI.

❒ VI HO DETTO QUESTE COSE MENTRE SONO ANCORA PRESSO DI VOI=Gesù prepara per tempo i suoi discepoli, perché sa che sarà sconvolgente, difficile, ciò che accadrà, in modo che siano pronti quando tutto questo accadrà. Per fortuna che c’è un aiuto grande: il Paraclito!

 

26MA IL PARÀCLITO, LO SPIRITO SANTO CHE IL PADRE MANDERÀ NEL MIO NOME, LUI VI INSEGNERÀ OGNI COSA E VI RICORDERÀ TUTTO CIÒ CHE IO VI HO DETTO.

❒ IL PARACLITO=Paraclito vuol dire colui che aiuta, colui che va in soccorso, ed è l’attività dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo ha questa funzione.

Quando noi pensiamo al Paraclito pensiamo al 113, al Pronto Soccorso, in caso di emergenza: dopo che è successo “un incidente, un problema”, arriva lui e sistema le cose. Ma lo Spirito non ha un’azione d’emergenza ma di precedenza. Lo Spirito dice: “Stai tranquillo, perché qualunque cosa tu farai, io ci sarò!”.

 

❒ LO SPIRITO SANTO=santo non per la qualità ma per la sua attività, che è quella di santificare, cioè separare le persone dalla sfera del male.

 

❒ PADRE=Padre è il nome di Dio nel cuore di ogni uomo.

 

❒ LUI VI INSEGNERÀ OGNI COSA=questo non è un semplice esercizio di memoria, per cui grazie allo Spirito, ricorderemo tutto ciò che Gesù ha detto.

Il messaggio di Gesù è così grande, dirompente, enorme, che il limite umano ha bisogno da una parte di tempo per comprenderlo e dall’altra più l’uomo lo capisce e più lo capirà.

Quindi 1. “l’insegnerà ogni cosa” vuol dire: “Cammin facendo l’uomo capirà sempre più, sempre meglio, sempre più in profondità chi è Gesù”. Non si capisce tutto e subito, ma gradualmente e progressivamente: “Tranquillo, tu rimani aperto di cuore e lo Spirito ti insegnerà ogni cosa, gradualmente”.

2. Ma vuol dire anche: “Tranquillo, di fronte alle nuove esigenze lo Spirito ti insegnerà come affrontare le nuove sfide e i nuovi problemi della vita e del mondo”. A nuovi problemi, nuove risposte, grazie allo Spirito.

 

Parakaleo (da cui lo Spirito Paraclito) significa “mandare a chiamare, invitare, invocare aiuto, consolare, dire una buona parola”.

Cosa sta succedendo? Gesù se ne va e lo sa che i discepoli sono turbati e hanno paura. Infatti dice loro: “Vi lascio la pace… Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore”. Il dolore degli apostoli è grande, ma Gesù dice: “Tranquilli, amici miei, perché sentirete dopo la mia morte una presenza dentro di voi che vi sosterrà e che vi darà forza”.

Voi adesso soffrite ma la vostra sofferenza sarà cambiata in una gioia indicibile. E’ un po’ come la donna quando partorisce: un grande travaglio ma poi una gioia senza fine quando vede suo figlio.

 

27VI LASCIO LA PACE, VI DO LA MIA PACE. NON COME LA DÀ IL MONDO, IO LA DO A VOI. NON SIA TURBATO IL VOSTRO CUORE E NON ABBIA TIMORE.

❒ VI LASCIO LA PACE VI DO LA MIA PACE NON COME LA DÀ IL MONDO =shalom (eirene in greco), “pace”, era il saluto abituale delle persone, quando queste partivano.

1. Da una parte, dando questo saluto si diceva alla persona partente: “Stai tranquillo, vai pure; che la pace e la gioia sia con te”. Era un augurio nel dover fare un viaggio che era sempre, soprattutto, a quel tempo, pericoloso.

2. Dall’altra la “pace” è un addio verso chi se ne va e parte: ma Gesù non dà questa pace perché Lui, in realtà, non se ne va, ma rimane ancor più presente. Ma adesso è Gesù, il Partente, che invece, dà la pace a chi rimane. Le cose si sono sovvertite: “Non siate tristi, anzi siate nella gioia; nessuna paura. La mia partenza sarà una fortuna per voi, perché Io ci sarò molto di più dopo che adesso che ci sono fisicamente!”.

 

❒ NON SIA TURBATO IL VOSTRO CUORE E NON ABBIA TIMORE=è ovvio che i discepoli hanno paura e sofferenza verso la partenza di Gesù.

Ma Gesù dice: “Nessun timore, nessuna paura; non me ne vado, io rimango per questo non c’è nessun motivo di tristezza.

Se non ci fossi più sarebbe logica la vostra tristezza: ma poiché io ci sono non siate tristi, anzi!”.

 

 

Cosa succedeva agli apostoli? Il mondo gli cadeva addosso, tutto quello per cui avevano lottato e vissuto adesso finisce. Allora si dicevano: “E’ la fine! L’angoscia ci sommerge! Andremo tutti a fondo!”.

E Gesù: “Non abbiate paura amici miei, non sia turbato il vostro cuore. Io fisicamente non ci sarò più ma continuerò a consolarvi. Mi sentirete e non vi sentirete mai soli. Credetemi sarà così”. E fu così.

Vi rendete conto cosa vuol dire avere il Consolatore dentro di sé? Quando il mondo ti cade addosso… quando ti ritrovi di fronte ad uno sbagli colossale… quando devi fare una scelta che nessun altro può fare per te ed è una scelta difficile o dolorosa… dove vai? Vai dentro di te, rientra in te e cerca, cerca, cerca. Perché da qualche parte c’è Lui: il Consolatore.

Nessuno di noi è solo. C’è sempre una parte di noi che ci può consolare, che ci può stare vicino, che ci può dare una mano, che ci sarà per noi qualunque cosa capiterà o dovremo vivere. Quando tutto mi cade addosso, allora io mi dico: “Marco, io per te ci sono”. E non mi sento più solo. Mi dico: “Se anche tutti ti abbandonassero, io non lo farò, Marco”. E poi mi fermo, mi ascolto e sento che Lui mi dice: “Marco, anch’io per te ci sono!”. E questo è una consolazione enorme: so che Lui c’è, che non mi abbandonerà. E mi dico: “Per fortuna!”.

Questa fu l’esperienza degli apostoli: “Sentivano che Lui, lo Spirito, il Signore Risorto, era vivo e presente dentro di loro. Per questo non si sentivano mai soli”. Se ti senti abitato da qualcuno sei sempre in compagnia.

Soffriamo di solitudine perché non lasciamo entrare nessuno (né Dio né le persone).

 

28AVETE UDITO CHE VI HO DETTO: “VADO E TORNERÒ DA VOI”. SE MI AMASTE, VI RALLEGRERESTE CHE IO VADO AL PADRE, PERCHÉ IL PADRE È PIÙ GRANDE DI ME.

❒ SE MI AMASTE, VI RALLEGRERESTE CHE IO VADO AL PADRE=che motivo c’è di rallegrarsi, visto che Gesù muore? Nessuno! Se Gesù muore, infatti, non c’è motivo di rallegrarsi, anzi! Ma visto che Gesù vive ancor di più (da morto), visto che Lui è il Vivente/Risorto allora di può, incredibilmente, essere felici perché Lui è adesso ancor più presente di prima.

 

29VE L’HO DETTO ORA, PRIMA CHE AVVENGA, PERCHÉ, QUANDO AVVERRÀ, VOI CREDIATE.

❒ VE L’HO DETTO ORA, PRIMA CHE AVVENGA=prima che avvenga cosa? La sua morte! Gesù sarà catturato come un bandito, un malfattore, processato come un bestemmiatore e ucciso come un criminale, un maledetto da Dio: “Non smettete di credere, non è finito tutto. Sembra!, ma non lo è! Il Padre (che abita in me) abiterà in voi e Lui è più grande, più forte, più potente di me. Tranquilli, anche se io non ci sarò più, ci sarà Lui: voi non sarete soli”.

 

❒ PERCHÉ, QUANDO AVVERRÀ, VOI CREDIATE=crediate in chi? In Gesù! Che voi continuate a credere in Gesù (“Gesù è Figlio di Dio e vive e abita adesso in voi”) e non nel sommo sacerdote o nell’istituzione religiosa (“Gesù è stato un eretico, un bestemmiatore, e per questo, giustamente, è morto in croce”).

 

Il vangelo di oggi ci ributta dentro di noi. La tua forza è dentro: lì c’è lo Spirito, il Dio in te.

 

La forza di un albero non sta in quello che si vede, nelle foglie, nei rami o nel tronco. La sua forza sta nelle sue radici, in ciò che non si vede, in ciò che ha dentro. Nessun albero è più alto delle sue radici. La forza di un uomo è in ciò che ha dentro.

Se amiamo veramente i nostri giovani dobbiamo insegnargli dov’è la loro vera forza. A che serve farli belli, grandi, grossi, laureati, quando poi non hanno la forza di vivere?

 

Tutta la società è preoccupata di svilupparsi fuori: più belli, più ricchi, più acclamati, più degli altri. E’ un’illusione che avvelena la vita di milioni di persone. La vera forza, infatti, sta dentro.

 

Per la società è “forte” chi non prova nulla, chi non sente la paura, chi non soffre mai. Ma la forza di un uomo è la capacità si resistere al dolore del rifiuto e dell’abbandono, senza evitarlo.

Per la società è “forte” chi è ammirato e chi ha tutti ai suoi piedi. Ma la forza di un uomo è l’intensità del suo sguardo, la profondità e la vibrazione del suo tocco.

Per la società è “forte” chi è intelligente, chi te la sa raccontare, chi “te la incarta sempre”. Per la società è “forte” chi viaggia e va dappertutto: ma se non sai compiere il viaggio dentro di te… La forza di un uomo è la capacità di ascoltarsi, di conoscersi, di seguire cosa accade dentro di sé.

Per la società è “forte” chi fa sempre il furbo, chi se la cava sempre, chi sa mascherare e mascherarsi. Ma la forza di un uomo è non vergognarsi di niente di ciò che gli accade dentro e di avere il coraggio di riconoscere e di chiamare per nome ogni cosa.

Per la società è “forte” chi ha potere, chi può permettersi, chi ha soldi. Ma la forza è nell’intensità dei suoi sentimenti e nel seguire la sua coscienza anche controcorrente.

Per la società è “forte” chi come il camaleonte si adatta a tutto e ne viene sempre fuori bene. Ma la forza di un uomo è inchinarsi e chiedere perdono quando sbaglia ma non inchinarsi a nessuno e a nessun compromesso se ne va della propria dignità e integrità.

La forza di un uomo è far emergere la Forza divina che lo abita e non vivere al di sotto delle sue possibilità. E’ ciò che hai entro che ti sostiene (che ti tiene su).

Quando guardi un albero dici: “Ma che belle foglie; e com’è alto! E che fiori! E che frutti meravigliosi!”. Ma in realtà devi dire: “Le sue radici sono profonde e radicate; la linfa scorre senza ostacoli e senza barriere; dentro è vivo e pino di vita che emerge ed esce”.

E adesso guarda la tua vita. Ciò che vedi fuori è la conseguenza di ciò che hai dentro. E se non ti piace il fuori devi cambiare il dentro.

Pensiero della settimana

Se non hai radici la colpa non è della tempesta.

Se non hai la forza interiore, la colpa non è della società, del tuo compagno, del tuo collega.

Se non hai costruito dentro, non arrabbiarti quando tutto fuori crollerà.

Costruisci dentro e quando tutto crollerà tu rimarrai in piedi.