Lucerne accese

XIX domenica del tempo ordinario

Domenica 11 agosto 2019

Prima lettura: Sap 18, 6-9       Salmo: Sal 32       Seconda lettura: Eb 11, 1-2. 8-19        Vangelo: Lc 12, 32-48

 

 

12,32Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.

PICCOLO GREGGE=il piccolo gregge di cui si parla qui è quello dei versetti precedenti dove si dice: “Non datevi pensiero per la vostra vita, di quello che mangerete… la vita non vale più del cibo… Guardate i gigli, come crescono…”.

Non è l’atteggiamento fatalistico di chi dice: “Fa Dio! Io non faccio nulla tanto ci pensa Lui” (a volte noi tiriamo in ballo la Provvidenza di Dio come sostituto dei nostri compiti), ma l’atteggiamento di chi mette al primo posto non le cose materiali (soldi, successo, gloria, fama, dominio), ma le cose dello spirito.

Infatti, il versetto 31 che riassume tutto il brano precedente, dice: “Cercate piuttosto il regno di Dio e queste cose vi saranno date in aggiunta”. Allora: prioritario non è il “regno umano” dove contano le cose, ma il “regno di Dio” dove contano le relazioni, l’interiorità, il sapersi e il sentirsi amati da Dio.

La felicità viene dal regno di Dio; se poi ci sono “le cose in aggiunta”, cioè anche i soldi, il successo, il potere e il possesso… meglio! Ma quando sei “nel regno di Dio”, se hai tutto questo bene, poiché non è prioritario, non ti attacchi a tutto ciò, non ne fai un idolo, un bisogno assoluto. Ma se, invece, sei “nel regno del mondo”, tutto questo ti è necessario, e se non ce l’hai ti senti inferiore, sfortunato, arrabbiato.

Dice il vangelo: “A che serve all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde la propria anima?”.

A Milano tanti anni fa qualcuno di notte, poiché la figlia unica venticinquenne si era suicidata, scrisse con lo spray sul muro di casa (rivolto al padre): “E adesso che te ne fai di tutti i tuoi soldi?”.

Ma quanti vivono così? Quanti hanno la fiducia (perché l’hanno sperimentato) che “il regno di Dio” è più importante del “regno umano”? Pochi! Per questo il gregge è piccolo, minuscolo, inconsistente (micron=piccolo).

Perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il regno=non è che il Padre dica: “Il regno lo do a voi e agli altri no!”. Il regno di Dio (cioè la felicità) può essere dato solamente a chi vive così, a chi osa fidarsi che l’interno è più importante dell’esterno, che l’interno sostiene l’esterno.

 

33Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma.

Poi qui ci sono tre imperativi (vendete; datelo; fatevi): non sono degli inviti, sono degli obblighi dell’anima per essere felici. Chi vive il regno di Dio “deve” necessariamente fare così.

VENDETE CIO’ CHE POSSEDETE E DATELO IN ELEMOSINA=”Non attaccarti a niente”. Gesù non ha vissuto in miseria dando tutto in elemosina: quindi questa frase non va presa alla lettera. Anche perché si può essere ricchi perfino della propria povertà così come molte persone si attaccano alle proprie miserie, alle proprie sfortune, alle proprie “sfighe”, e fanno sempre le vittime.

Vendere tutto significa: “Non attaccarti… perdi… lasca andare. Se puoi godi di tutto ma non possederlo. E se una cosa non la possiedi, lo si vede dal fatto che sei disponibile a lasciarla andare gratuitamente (datelo in elemosina)”. E come si può non attaccarsi a niente se non si possiede niente? Non si può! Ma se si “possiede”, se si vive il regno di Dio, allora si è già pieni, felici, e non si ha più così bisogno di chiedere che gli altri ci facciano felici.

Non attaccarti agli amici: non sono tuoi; a volte preferiscono altri a te… e va bene così. Lasciali andare liberamente, senza sentirti inferiore o essere geloso.

Non attaccarti ai tuoi figli: non sono tuoi. Lasciali liberi di andare, di essere ciò che desiderano essere anche se non è quello che tu vorresti… e senza far sentire il tuo dispiacere o iniettare loro sensi di colpa. Questo è l’amore gratuito.

Non attaccarti a quello che ti hanno fatto: lascia andare, altrimenti vivrai tutta la vita nel rancore.

Non attaccarti a quello che avresti potuto fare ma che non hai fatto: lascialo andare e vivi oggi.

 

Liberati dai tuoi padroni: fa’ che solo Dio sia Dio

Le parole del vangelo vogliono rispondere alla domanda: “Qual è la vera ricchezza?”.

Passa un ladro e vi intima: “Il portafoglio o la vita!”. E voi rispondete: “La vita, perché dei soldi ne ho bisogno per vivere”. Vi fa ridere? Farebbe ridere se non fosse tragico visto che noi viviamo così.

Noi siamo pieni di padroni e questi padroni sono diventati i nostri tesori, ciò a cui ci attacchiamo. Il padrone è quel tesoro, quella cosa alla quale tu dici: “Senza di te non posso vivere. Non posso perderti”. E allora, dice il vangelo, liberati da tutti questi padroni che gestiscono la tua vita.

“Vendi ciò che hai”; “fatti una borsa che non invecchia” solo questo tesoro non si esaurisce, non ti può essere portato via e non può essere corroso.

Vai in vacanza e ti dimentichi nell’agriturismo un maglione. Ti piaceva molto quel maglione ma non si trova. Così impianti una “storia” che non finisce più, maledici le vacanze e i gestori dell’agriturismo che, secondo te, volontariamente non te lo vogliono dare. “L’hai perso? Amen! Perché vuoi rovinarti la vita?”.

Un uomo con la Porsche non esce se piove perché ha paura che grandini o che l’auto si rovini.

Una donna non ha più parlato per quindici giorni (!) al figlio di quattro anni perché gli aveva rotto il servizio di bicchieri in cristallo.

Uno passa e ti dice: “Ma come stai bene con i capelli così”. Allora tu ti senti un “figo”, bello e chissà chi. Dopo cinque minuti passa un altro e ti dice: “Ma lo sai che non mi piaci affatto con i capelli così”. In quel medesimo istante la giornata è rovinata, “finita”. Dentro di te inizi a dire: “Ma come si permette? Che si guardi lui! Che villano! Poteva anche tenerselo per sé!”. Vendi il tuo dover dipendere dall’approvazione e accettazione altrui. Se ne fai il padrone della tua vita non vivi più. Se piaci, gioiscine. E se non piaci, l’importante è che tu piaccia a te.

Quando diventai parroco un altro prete mi disse: “Si diventa importanti, eh!”. “Io sono già importante!”. Vendi (=perdi) il tuo bisogno di sentirti qualcuno!

 

FATEVI BORSE CHE NON INVECCHIANO=le borse, le bisacce, che contengono le cose preziose, invecchiano, si usurano: le borse umane, nel tempo, non sono in grado di trattenere nulla. Inoltre, vi è sempre il pericolo del ladro: potrebbe rubarti la borsa e i suoi tesori preziosi.

È un’immagine per dire: “Nel regno umano le cose, le persone, gli attaccamenti passano. Tutti! Non c’è nulla a cui puoi attaccarti ed essere sicuro che sarà tuo per sempre. Nulla! Per questo gli uomini sono pieni di preoccupazioni e sempre in ansia, agitati e tormentati”.

UN TESORO SICURO NEI CIELI, DOVE LADRO NON ARRIVA E TARLO NON CONSUMA=nei cieli=in Dio. Il regno di Dio è l’unica cosa certa che non passa. Solamente qui non c’è preoccupazione.

 

Riempiti di cose vere e buone

Farsi borse che non invecchiano vuol dire allora riempirsi di cose vere, che non passano.

Riempiti di amore, di persone che ti amano per davvero, che ci saranno in ogni caso, che non ti abbandoneranno, che sono un porto dove attraccare, un vento leggero nei momenti di calura della vita, una presenza quando si è soli o disperati. L’amore è quella voce che ti sussurra: “È bello che tu ci sia!”.

Riempiti di fiducia, di fiducia in te, nelle tue possibilità, nel fatto che se ci sei vuol dire che la Vita vuole che tu ci sia e ti vuole proprio, perché sei così e non un altro o diverso.

Riempiti di fede in Dio, che non ti lascerà, che non staccherà mai il legame che ti lega a Lui.

Riempiti di cose buone: di canto (voce dell’anima), di amicizie vere, di cibi buoni, di sole, di luna, di stelle e di vento, dove puoi recuperare la tua appartenenza a questo creato di cui fai parte; di terra dove camminare a piedi nudi, di acqua che ristora, di vento che accarezza.

Riempiti di pause, di vacanze, di fermate dove ritrovarti e ricentrarti; riempiti di silenzio per ascoltare le tue voci profonde e riconoscile; riempiti di preghiera dove aprirti a Dio e innalzare i tuoi lamenti o i tuoi inni; riempiti di persone positive, belle, che ti fanno sentire bene e buono; riempiti di incontri profondi, di ricarica, di conoscenza del mistero della vita e del tuo essere; riempiti di tutto ciò che nutre la tua vita e la tua anima, che la fa vivere ed esprimere.

Queste borse non invecchiano e sono l’unico tesoro inesauribile.

 

34Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.

PERCHÉ, DOV’È IL VOSTRO TESORO, LÀ SARÀ ANCHE IL VOSTRO CUORE=questa è una legge di vita.

I tuoi affetti e le tue energie (il cuore) vanno per ciò che tu consideri prezioso. Al di là di ciò che dici; al di là di ciò che vorresti; al di là di ciò che pensi sia buono.

Se tu pensi che per te siano importanti i soldi (tesoro) tu lavorerai per accumulare, per accrescere il tuo conto, ti darai ansia per le azioni che scendono o che salgono, per l’investimento che non funziona; sarai preoccupato per il domani e per una possibile crisi; tenterai di avere di più, ecc. Le tue energie andranno tutte lì per il tuo tesoro (falso).

Se tu pensi che per te sia importante l’apparire (tesoro) le tue energie e il tuo tempo (cuore e affetti) andranno per essere sempre in forma, per il bel vestito; sarai preoccupato per l’ultima ruga o per la cellulite che avanza; sarai angosciato per l’età che lascia i segni e arrabbiato per chi, più giovane di te, è più bello. Sarai furente e diventerà un tarlo chi parla male di te e per chi getta fango sulla tua reputazione. Le tue energie (cuore) vanno per ciò che consideri importante (tesoro).

Qual è la cosa a cui pensi di più? Qual è la cosa che più brami, desideri, vorresti? Quello è il tuo tesoro. Non so se riuscirai ad averlo ma le tue energie (cuore) saranno polarizzate lì.

Ma vale sempre la pena di chiedersi: “Ma è un tesoro per cui vale la pena di vivere? Ha senso?”. Vivi solamente per quel tesoro per il quale saresti disposto a morire.

Un uomo corse incontro ad un monaco che passava per il villaggio: “Dammi la pietra, la pietra preziosa!”. Il monaco gli chiese: “Di quale pietra stai parlando?”. E l’uomo: “Questa notte Dio mi è apparso in sogno e mi ha detto: “Domani un monaco passerà per il villaggio a mezzogiorno; ti darà la pietra che porta con sé e tu diventerai l’uomo più ricco del mondo”. Quindi, dammi la pietra”. Il monaco rovistò nel suo sacco e tirò fuori un diamante: era il diamante più grande del mondo, grande come la testa di un uomo. Poi disse il monaco: “È questa la pietra che volevi? L’ho trovata nella foresta. Prendila!”. L’uomo la prese e andò di corsa a casa sua. Quella notte però non riuscì a chiudere occhio. Il giorno seguente, di buon’ora, andò dal monaco che stava dormendo sotto un albero, lo svegliò e gli disse: “Ti restituisco il tuo diamante. Preferisco avere quella ricchezza che ti rende capace di disfarti della ricchezza”.

 

35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese;

  1. “Siano i vostri fianchi cinti e le lampade accese” (Lc 12,35): il verbo di Lc è all’imperativo. Un verbo all’imperativo è diverso da un verbo all’indicativo, significa che l’affermazione è molto forte, molto importante. È diverso dire: “Mi prendi un bicchiere” da “Prendimi un bicchiere!”. Ma cosa significa cingere i fianchi?
  2. Lavoro. L’abito normale degli uomini era una tunica che arrivava fino ai piedi. Quando bisognava lavorare, questa tunica era di impaccio e di intralcio. Allora si prendevano i bordi, si alzavano e si cingevano alla vita.
  3. Cammino. Ma cingere i fianchi significa anche quest’altro: quando si doveva viaggiare, quando si doveva camminare, bisognava alzare la tunica altrimenti si impolverava e si insudiciava.

Ma dove ritroviamo quest’espressione nella Bibbia? La ritroviamo in Es 12,11. Qui si parla dell’agnello pasquale che gli ebrei devono mangiare nella notte dell’uscita dall’Egitto. Lo devono mangiare così: “Con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta” (Es 12,11). Quindi i “fianchi cinti” rimandano a questa situazione dove gli ebrei ritrovano la libertà. Quindi “fianchi cinti” indica un lavoro libero, volontario, esercitato per amore, che rende l’uomo libero. Solo l’uomo libero può mettersi a servizio degli altri.

  1. L’altra indicazione sono le “lampade accese” (Lc 12,35). Ma dove si trova quest’espressione? Si trova sempre nel libro dell’Esodo dove c’è l’ordine di tenere sempre accese le lampade nella tenda del convegno, la tenda particolare dove si adorava, si venerava, la presenza del Signore, affinché la comunità sia davanti al Signore (Es 27,20-21).

 

Nella libertà non c’è l’obbedienza

Cosa dicono queste due espressioni allora messe insieme? Che Gesù chiede alla sua comunità di essere in un atteggiamento di servizio libero e che il servizio libero è l’unico santuario dal quale si irradia la luce dell’amore di Dio.

Questa comunità per Gesù è un santuario ma a differenza dell’antico santuario è un santuario in movimento. L’antico santuario era statico: le persone dovevano andare, sottostare a determinati riti per poter essere ammesse; ma molte persone, per la loro condizione di peccato, di purità, per la loro situazione religiosa, avevano l’accesso vietato al tempio. “Siccome tu vivi in quella determinata condizione di peccato, tu al tempio non ci puoi entrare” per cui il Dio nel tempio escludeva molte persone dal contatto con lui. Ma il nuovo santuario non è più statico ma dinamico, in movimento. Non sei più tu che vai al Tempio, ma è il Tempio che viene da te. E da chi va? Va verso i lontani, gli allontanati, gli esclusi.

Quindi la comunità di Gesù è una comunità di persone libere che orientano la propria vita a servizio degli altri.

Il cristiano è un uomo che porta l’amore e l’accettazione e la misericordia agli altri uomini. I cristiani non obbediscono; i cristiani lo fanno per amore. Non lo fanno perché glielo dice il Papa, il Vescovo, il Parroco, la paura di non essere bravi o di finire all’inferno o di non essere degni di Dio. Lo fanno perché glielo dice il loro cuore. Lo fanno “volontariamente, liberamente” perché sentono la bellezza, che prima essi stessi hanno sperimentato, della luce del Signore, del Santuario che viene da te per amarti, onorarti, darti forza, coraggio, accettazione e misericordia.

Quindi il cristiano non è un ubbidiente: chi ubbidisce è un funzionario.

Nella storia tutte le personalità più pericolose hanno ubbidito a qualcun altro: i nazisti ad Hitler, Hitler ad una “pazza” voce dentro di sé. L’ubbidiente non tiene conto delle sue azioni, delle sue conseguenze: lui ubbidisce, lui fa perché qualcuno gliel’ha comandato.

Eichmann, il coordinatore e il responsabile delle deportazioni degli ebrei verso Auschwitz, quando fu interrogato e gli fu chiesto dall’accusa: “Ma lei si rende conto che sono stati uccisi sei milioni di ebrei?”, lui senza nessuna emozione disse: “Dovrebbe provocarmi qualcosa questo?”. Eichmann uccise un milione e mezzo di persone ubbidendo a quello che gli veniva detto di fare. E non riuscivano ad incriminarlo, infatti lui si difendeva così: “I vostri soldati non vi hanno ubbidito? Li avete condannati? No, anzi, gli avete dato delle medaglie al valore. Beh, anch’io ho fatto la stessa cosa: ho ubbidito al mio capo (Hitler). Merito una medaglia al valore per essere stato così scrupoloso (i treni ad Auschwitz arrivavano senza sgarrare di un minuto!)”.

Ma, ed è interessante, mai nei vangeli Gesù chiede di essere ubbidito. Il verbo ubbidire nei vangeli viene usato 5 volte e mai riferito a persone: al vento e al mare (Mt 8,27; Mc 4,41; Lc 8,25), ad un gelso (Lc 17,6), agli spiriti immondi (Mc 1,27). Nella prima Regola di S. Francesco aveva scritto: “Se un ministro avrà comandato ad un frate di fare qualcosa contro la nostra vita o contro la sua anima, il frate non sia tenuto ad obbedirgli”.

Il vecchietto che abitava vicino a casa mia, quando non andava in chiesa perché era ammalato con la febbre, si sentiva così in colpa che la prima cosa che faceva quando poteva uscire di casa era andarsi a confessare perché aveva perso la messa. Per molto tempo andare in chiesa era “precetto”: guai se non andavi! Ma andare in un posto perché “tocca”, non alimenta il cuore, né l’anima, né lo spirito. Se fa qualcosa, lo avvelena.

 

36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.

Ora questa frase è davvero incapibile o travisata se non la contestualizziamo. Nell’A.t. il Signore viene presentato come lo sposo. Ora qui c’è il padrone di casa (che è anche un po’ sposo!) che torna dalle nozze: ma perché bisogna aspettarlo?

Se è il padrone di casa, avrà le chiavi, o no!? Chi comanda ha le chiavi. Perché deve bussare, correndo il rischio che gli altri dormano e non gli aprano? Cosa si vuol dire allora qui? Che Gesù, lo sposo, il padrone, non è padrone come i nostri padroni.

Lui non impone mai la sua presenza, si propone: “Ti va? Lo vuoi? Che dici? Ti piacerebbe…”. Lc 9,23: “Se qualcuno vuol venire dietro a me…”. È una possibilità, non è una necessità. Il testo è in assonanza con Ap 3,20: “Ecco io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”.

Facciamo un esempio: se adesso io ti voglio abbracciare bisogna che tu accolga il mio abbraccio. Se tu non lo vuoi e io ti abbraccio lo stesso, io te lo impongo. Allora il mio abbraccio non è più un’espressione d’amore ma di violenza. Anche se io ho un’intenzione buona, ogni imposizione è una violenza. Dio non si impone ma si propone. Lui vuole entrare dentro di te, Lui vorrebbe venire: ma non lo farà senza di te e il tuo consenso.

William Holman Hunt nel suo dipinto del 1853 “La luce del mondo”, disegna Gesù che bussa ad una porta ricoperta di erbacce e a lungo non aperta (che rappresenta la mente ostinatamente chiusa). Ma la porta non ha la maniglia, perché può essere aperta solo dall’interno. Lui entra solo se tu gli apri.

A volte i catechisti dicono: “Ma che senso ha dare il sacramento a questi ragazzi che non partecipano mai al catechismo, né a messa? Non è ingiusto nei confronti di chi viene sempre?”. Se Dio fosse un premio questa logica non farebbe una piega: sarebbe giustissimo. Ma Dio è un dono, è Qualcuno che si propone, che si offre, che bussa. Allora: Lui fa la sua parte (bussa) e poi starà alla persona, se lo vorrà e se lo potrà, aprire e farlo entrare.

 

37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.

Gesù adesso spiega il perché di questa felicità.

Ma cosa succede adesso? Succede qualcosa di incredibile: è Lui stesso adesso che “si cinge i fianchi” e li serve, cioè si mette in atteggiamento di servizio verso i suoi servi. Ma qual è il padrone o il maestro che serve i suoi servi? Ma nessuno! ovvio. Eppure Gesù lo ha fatto e lo fa sempre (Gv 13)!

 

Nell’eucarestia è Lui che ci serve

Letteralmente il testo dice che “li servirà reclinandosi e passando li servirà” (Lc 12,37): perché si reclina? Erano i signori, i ricchi, che a tavola mangiavano sdraiati e quindi c’era bisogno di qualcuno che li servisse portando loro da mangiare. Ecco cosa fa Lui: li serve, cioè, li fa sentire “signori”. Gesù si fa servo (liberamente) perché coloro che sono considerati servi si sentano signori.

E durante l’istituzione dell’eucarestia in Lc vi è proprio la frase che fa da gancio con questo episodio: “Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27).

Questo cambia la nostra comprensione dell’eucarestia: l’eucarestia non è il culto degli uomini a Dio, non è ciò che gli uomini fanno per Dio (e se non lo fanno devono aver paura o sentirsi peccatori o in colpa).

L’eucarestia è ciò che Dio fa per l’uomo. L’eucarestia è un distributore gratuito di benzina: puoi andarci quando ci vuoi e puoi prenderne quanta ne vuoi. È gratis, è tutta per te. Se poi non ci vuoi andare pazienza! hai deciso così. Ma è lì per te.

Perché nella vita c’è bisogno di benzina: si ama ma poi si ha bisogno di essere amati; si dà ma poi ci si esaurisce; si accoglie ma a volte è difficile accogliere anche noi stessi; si dà la propria disponibilità ma a volte si ha bisogno che qualcuno la dia a noi; si stima e si incoraggia gli altri ma a volte noi stessi siamo vuoti di tutto ciò; si solleva e si condivide le lacrime degli altri ma poi si ha bisogno che qualcuno si prenda cura delle nostre. Ecco l’eucarestia: tutto questo tu lo trovi qui. È tutto per te.

Vedete quanto lontana è l’idea di sacrificio: nell’eucarestia non si toglie qualcosa per darlo a Dio. Ma è Lui che si fa Pane per noi perché poi noi ci facciamo pane per gli altri.

Una volta si diceva: “Hai peccato, non puoi andare all’eucarestia!”. Ma Gesù dice l’esatto contrario: “Hai peccato, ti senti sbagliato, in errore, ti senti vuoto, un niente, una nullità, depresso, ammalato, uno schifo, l’hai combinata grossa… E dove vuoi andare? Vieni qui!”. Non è più l’uomo che offre i suoi sacrifici per avere Dio. Ma è Lui che, senza nostro merito, viene da noi.

 

38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!

Ma perché dovrebbero stare svegli per il padrone che tanto ha le chiavi di casa?!

Li troverà così=si riferisce all’atteggiamento di servizio. Il “Beati loro” si riferisce a ciò che il padrone-Gesù farà: li servirà (per questo sono beati). Allora: la vita è servire gli altri. L’eucarestia è Dio che serve te.

Ma perché a volte ci è così difficile, se non impossibile, servire gli altri? Da bambini abbiamo ricevuto (siamo stati serviti), da adolescenti abbiamo dato e ricevuto, da adulti diamo (prevalentemente).

Ma cosa succede, invece, se da piccoli non abbiamo ricevuto? Succede che da grandi abbiamo ancora un buco, una mancanza dentro. Per cui se il ruolo ci chiede di dare, la parte “mancante” vuole ricevere.

La moglie che da piccola non è mai stata gratificata dal proprio padre (“Ma che bella figlia! Ma quanto bella sei! Brava!”) chiederà al proprio marito di farla sentire bella e importante: “Non mi dici mai che sono bella! Mi ami? Ti piaccio?”, ecc. Invece di servire suo marito stimandolo e apprezzandolo si servirà di lui per il suo bisogno di essere lei sempre stimata e apprezzata. Oppure al contrario farà la “strafiga” per ottenere oggi ciò che un giorno non ha avuto. Si servirà degli altri per riempire il buco che ha dentro.

La madre che non è stata amata come persona da piccola, ma solo se ubbidiva, se stava zitta e se faceva quello che i genitori volevano, ai suoi figli potrebbe chiedere di riempire il suo buco, volendoli tutti per sé, screditando il padre, diventando l’amica dei suoi figli, ecc. Non servirà dando loro amore in libertà, ma si servirà di loro per ottenere l’amore che non ha avuto. Oppure oggi si vendicherà su di loro facendo esattamente quello che i suoi genitori ieri hanno fatto con lei: “Tu mi ascolti… Tu non esci… Tu fai così… Io sono tua madre”. Non li serve permettendogli di sviluppare la propria individualità, ma si serve di loro per vendicarsi di un odio antico.

Il marito che da piccolo è stato umiliato (“Che vuoi sapere tu! Stai zitto! Parlerai quando crescerai! Quando parla tuo padre tu non fiati! Ecc.”) potrebbe cercare una donna forte, decisa, che faccia per lui quello che lui non sa fare e che non ha imparato a fare: decidere, essere autorevole, radicato, dire sì e dire no. Invece di servire sua moglie con la sua forza maschile si serve di lei per riempire il suo buco. Oppure all’opposto potrebbe vendicarsi con il silenzio o con l’autorità o con la violenza su di lei: scarica oggi su di lei l’aggressività, la rabbia, l’odio, che un tempo aveva per i suoi genitori. Non serve lei con il suo amore maschile, ma si serve di lei per vendicarsi di ciò che un tempo non ha fatto.

Il padre a cui da piccolo sono stati negati i suoi sogni (“no, non vai a giocare a calcio perché poi non studi”) facilmente proietterà il suo buco e la sua mancanza sui suoi figli: “Tu fai il liceo… È bene per te fare questo sport… non frequentare quello lì… tu non fai così… ti ho detto di no… io so cosa è bene per te…”. Invece di servire i figli si servirà di loro per fare ciò che lui avrebbe voluto fare ma che non ha fatto. Oppure al contrario sarà un cinico, un disfattista: “Nessuno ti regala niente; belle parole ma la vita è un’altra cosa; non ci si può fidare di nessuno; bisogna accontentarsi, ecc.”. Si servirà degli altri per scaricare il suo risentimento e la sua delusione invece di servirli incoraggiandoli e invitandoli a provare.

Per servire gli altri dobbiamo essere liberi. Altrimenti ci serviremo di loro. Serviremo gli altri o ci serviremo degli altri?

 

Un giorno chiesero ad Osho come poter distinguere i veri amici dai falsi amici. Rispose:

“Quello vero ti dice: “Io ci sono”… quello falso: “Tu ci sei per me”;

“Quello vero ti dice: “Sono qui per te, per ascoltarti”… quello falso: “Ascoltami, che io so”;

“Quello vero ti dice: “Fa quello che vuoi, il mio amore rimane”… quello falso: “Mi hai deluso”;

“Quello vero ti dice: “Puoi rimanere o puoi andartene, come vuoi tu”… quello falso: “Non lasciarmi!”;

quello vero ti ama servendo la tua vita quello falso ti ama servendo la sua vita.

 

39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40 Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

Quand’è che succederà questo? Non si sa, così come il padrone di casa non sa quando viene il ladro. Se lo sapesse non si lascerebbe scassinare la casa.

Quindi, cosa vuol dire questa frase? 1. Che il Signore verrà a servirci, a prenderci cura di noi, quando meno ce l’aspettiamo, quando neppure avremo pensato. Per questo bisogna essere sempre pronti, perché Lui sicuramente verrà a prendersi cura di noi… e noi lo incontreremo… a meno che non dormiamo.

  1. Che anche noi, come Lui, dobbiamo prenderci cura delle situazioni di bisogno, di necessità, quando ciò accade; a volte sono situazioni inaspettate, improvvise e allora lì dobbiamo essere pronti ad intervenire e ad aiutare chi ne ha bisogno.

 

Pensiero della settimana

Chi non serve gli altri si serve degli altri.