Sono venuto a portare il fuoco

XX domenica del tempo ordinario

Domenica 18 agosto 2019

Prima lettura: Ger 38, 4-6. 8-10       Salmo: Sal 39             Seconda lettura: Eb 12, 1-4      Vangelo: Lc 12, 49-53

 

 

Il vangelo di oggi ci presenta un Gesù deciso, che vuole che prendiamo una posizione chiara. In un’altra parte del vangelo Gesù dirà: “Chi non è con me è contro di me” (Mt 12,30). Bisogna schierarsi: pro o contro Gesù. Molte persone vorrebbero nella vita salvare sempre “capra e cavolo”: ma non si può!

La vita ti chiama a scegliere e scegliere è prendere questo per lasciare quello. Uno dei nostri sogni, invece, è quello di poter prendere tutto e tutti: non è possibile. Bisogna schierarsi nella vita, bisogna prendere le parti e una direzione ben chiara: o di qua o di là. E’ l’uomo inconsistente, senza struttura, senza midollo, che cerca di salvare tutto. E non schierarsi è già uno schieramento e una posizione.

 

12,49 Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!

Il fuoco ha un significato molto ampio: luce, calore, trasformazione, purificazione. Il fuoco è calore (l’amore è calore; fraternità, focolare; “essere al caldo” è essere protetti). Il fuoco è la candela: è il segno della luce dello spirito (il candeliere è la luce divina); l’uomo è la candela e Dio il candelabro dove le candele ardono. La fiaccola che arde è il mistero (pensate la fiaccola, il cero, del tabernacolo che sta ad indicare: “Qui c’è il Mistero”). Il fumo del fuoco è l’elemento etereo, evanescente, sottile: è l’incenso, segno di qualcosa di imprendibile. Il fuoco è fulmine che distrugge, spacca, spezza, colpisce, disintegra. Il fuoco è cenere: il fuoco brucia, trasforma, fa passare, purifica; “essere passati per il fuoco” vuol dire aver superato una prova, un momento difficile, pericoloso; la cenere indica il lutto, la rinuncia, la spogliazione, il perdere qualcosa, il lasciare andare, il bruciarsi, il perdere.

Il fuoco è fiamma, energia di vita, desiderio di vita, voglia di vivere: quanto è meraviglioso stare di fronte ad un fuoco acceso di notte! E’ il fuoco che ciascuno sente dentro. Il fuoco fuori innesca il fuoco che hai dentro; la sua luce è la luce che devi portare dentro di te; il suo calore è l’amore che vive dentro di te; il suo bruciare è la forza per bruciare i tuoi mostri e i tuoi fantasmi.

Qui non c’è dubbio su ciò che Gesù vuol dire: il fuoco è passione. C’era stato già un altro che aveva portato il fuoco sulla terra: Prometeo. Aveva rubato a Zeus una scintilla di fuoco per donarla agli uomini, che aveva preso in simpatia. Per quell’atto sacrilego fu severamente punito: Zeus lo incatenò sul monte Caucaso e mandò una sua aquila a divorarne ogni giorno il fegato. Poi un giorno l’eroe Eracle, osando sfidare il potente Zeus, lo liberò.

Il mito di Prometeo ha vari significati ma fa capire quanto costa vivere con il fuoco e cosa si rischia. “Se giochi con il fuoco, rischi di bruciarti”, dice un proverbio. E’ così: è pericoloso.

Gesù riporta il fuoco sulla terra. Gesù fu così: un uomo di fuoco! Non si poteva passargli vicino e rimanergli indifferenti: o lo si amava o lo si odiava. O lo si accoglieva o lo si rifiutava. O si era con lui o si era contro di lui. O diveniva l’amore della tua vita o il tuo peggior nemico. O ti cambiava la vita e te la rovesciava come “un calzino”, o ti infastidiva e ti irritava da ucciderlo.

Gesù è così: o bruci o lo bruci. Se bruci, ti infiammi per lui, ti infervori per la sua causa, ti appassioni per il suo messaggio, ti si innesca dentro un fuoco, un desiderio, un ardore che più nulla potrà spegnere.

Altrimenti lo bruci, lo fai fuori. Spesso si sente dire: “Lo brusaria!”, cioè “lo eliminerei, lo brucerei”. Perché uno così è troppo intenso, troppo pericoloso, troppo “caldo”, troppo forte. Gesù era “troppo” e gli uomini da “poco” non potranno mai accettarlo.

 

Passione viene dal greco pathos “sentire”. Passione vuol dire sentire le cose, sentire le persone, sentire la vita, entrare in ogni cosa e lasciarsi toccare e farsi toccare. Passione è fuoco. Passione è sentire.

Il contrario è superficialità, anestesia, sonno, insensibilità. L’Apocalisse dice: “Non sei né caldo né freddo per questo ti vomito” (Ap 3,16). Mia madre diceva: “Non te sé da gnente” (“Non sai da niente”): vite insipide, senza sapore, senza sussulti, senza passione.

Dov’è la passione di un uomo che viene in chiesa tutte le domeniche, che torna a casa tranquillo, non scomodato da quello che sente e che dice alla propria moglie: “Anche questa è fatta!”? No, amico, tu non conosci Gesù. Tu non hai neppure idea di chi sia. Ti sei fatto il tuo Gesù, te lo sei addomesticato perché non ti dia troppo fastidio, perché non ti “rompa” troppo, ma Lui non è così.

Dov’è la passione di un padre che parla ai suoi figli sempre e solo di quanto sia importante trovarsi un lavoro… e un buon lavoro… e una buona posizione… perché con i soldi puoi fare poi tutto…? Che figlio verrà sù? Cosa dovremo aspettarci? Un lavoratore, un imprenditore, un ragioniere, un uomo di successo, ma basta, nient’altro. Che ne sarà del fuoco che gli bruciava dentro?

Dobbiamo chiedere perdono ai nostri figli se noi adulti spegniamo il fuoco che hanno dentro. Perché gli insegniamo ad essere accomodanti piuttosto che a prendere una posizione magari controcorrente; che è meglio stare nel gruppo che da soli; che è meglio andare piano e sano piuttosto che osare; che è meglio non “avere troppi grilli” per la testa per il futuro; che a sognare non ne vale la pena e che è meglio accontentarsi per non essere delusi poi; che il mondo va così e che non ci si può fare niente; che non è il caso di fidarsi e di lasciarsi andare perché si rischia di prendere una “sventola” tremenda, ecc.

Così i nostri figli arrivano a vent’anni e noi (e non loro) abbiamo già spento il loro fuoco. Li abbiamo addomesticati, li abbiamo conformati, li abbiamo resi innocui, li abbiamo adattati al sistema; saranno dei bravi “operai”, eseguiranno, crederanno di guidare l’auto della loro vita e invece saranno su di un treno che altri dirigono. Li avremo allevati, li avremo educati: li avremo uccisi!

Dove sono gli uomini che si indignano per ciò che la globalizzazione produce? Dove sono gli uomini che si mettono in gioco, che lottano per cambiare il sistema politico? Dove sono gli uomini in prima linea? Dov’è l’uomo che lotta per la giustizia? Dov’è finito l’ardore di un uomo, il suo coraggio, la sua energia interna? Dov’è il fuoco che arde della coerenza ai valori, della solidarietà, del bene comune, della giustizia per tutti?

“Tutti i sabati pomeriggi accompagno mia moglie al centro commerciale”, ha detto fiero un uomo. “Beo!!!”.

E la madre che insegna alla figlia il bricolage e il fai date, il decoupage e le 100 ricette di Suor Paola, il trucco e l’abbigliamento giusto, che le è sempre vicina e che le raccomanda di comportarsi bene quando è fuori e di trovarsi un buon partito, cosa “passerà” alla figlia? Le passerà tante regole, tante buone maniere, ma non la passione di essere donna, creatrice di vita, fuoco d’amore per il mondo e la casa, utero d’accoglienza, per ogni creatura esistente. Crederà di averla educata bene perché sua figlia, come tutte, si è sposata, ha trovato un bravo marito, è stimata e guardata da tutti, visto che è proprio bella. Ma invece l’avrà spenta; l’avrà addomesticata; non avrà alimentato il sacro fuoco della vita che viveva dentro di lei.

Com’è possibile che la femminilità sia così svenduta e degradata in tv? Com’è possibile che le donne non dicano niente, che lascino passare tutto, che lo scandaloso sia diventato normalità?

Il prete che “passa” cosa bisogna fare e cosa non bisogna, cosa è buono e giusto e cosa invece no; che insegna la giusta misura e l’importanza di “non scaldarsi mai”, di essere sempre controllati; che preme sempre sulle virtù dell’obbedienza e dell’umiltà; che ricorda che bisogna sempre darsi agli altri ed essere buoni; che non tira troppo lunghe le prediche perché potrebbero stancare; che certe cose è meglio non dirle perché potrebbero indignare, e che per non urtare l’animo sensibile di certa gente, è meglio astenersi da certe prese di posizione, forse crede di essere discepolo del Cristo… ma lo crede solo lui!

Perché se il prete non passa “il fuoco di Dio”, non passa Dio. Se non fa innamorare… se non fa venire voglia di liberarsi da maschere e teatrini imposti… se non produce un terremoto nella vita delle persone così come Gesù faceva con chi lo voleva seguire… se non fa vibrare dentro emozioni forti d’amore, di passione, di coraggio, di lasciare tutto e seguirlo… se non fa venire voglia di rischiare per Lui… se non fa sentire quanta bellezza c’è nel seguire un messaggio del genere che è più forte di ogni resistenza e paura… se non si sente dalle sue parole la sua passione e il suo desiderio di Vita Vera…, avrà passato regole religiose, criteri per essere accolti dalla “brava gente”, galateo di buona educazione e di maniere composte, ma non il sacro fuoco della vita, non Dio.

Passione vuol dire che vivo dentro. Quando ti guardo, ti guardo, ti entro dentro, giungo fino alla tua anima e lascio che tu giunga fino alla mia. Quando ti accarezzo, non ti spolvero, ma ti tocco, ti percepisco, le mie mani ti passano l’amore che provo per te. Quando amo, amo, e lo faccio con tutta la passione, l’eccitazione e la vibrazione che posso. Quando c’è da intervenire, lo faccio e non mi tiro indietro per vedere intanto cosa fanno gli altri. Quando sto con te, sto con te, e quando sto con me, sto con me, senza voler essere da solo quando sto con te, e con te quando sono da solo. Quando sto male, lo sento e me lo permetto; e quando sono felice non mi sento in colpa d’esserlo. E soprattutto cerco di vibrare, di essere come le corde di un’arpa, che vibrano qualunque cosa le tocchino.

Etty Hillesum scriveva: “Vorrei che il mondo s’incendiasse…”; lo voleva anche Gesù: “Come vorrei che questo fuoco fosse già acceso nella tua anima. Allora sì che saprai Chi sono!”.

 

50 Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!

Gesù era già stato battezzato nell’acqua del Giordano (Lc 3,21-22) ma non è quello il vero battesimo. Il vero battesimo per lui, e per tutti noi, è quello di fuoco.

Le persone dicono: “Sono un cristiano battezzato”. “E allora?”. Non vuol dire assolutamente niente questa frase. E’ come dire: “So fare una casa perché mi sono iscritto ad ingegneria”.

Gesù riceverà il battesimo di fronte ai suoi avversari, ai suoi nemici, quando dovrà esporsi, schierarsi; quando si troverà da solo e quando dovrà andare fino in fondo, anche se questo gli costerà caro, molto caro.

Il battesimo di fuoco è l’attimo in cui tu vivi, traduci in vita, in scelte, in voce, in atteggiamenti, ciò che dici con le parole e ciò che vorresti o ti piacerebbe fare. Il battesimo di fuoco è quando la tua energia interna e interiore, la tua passione, va per la causa di Gesù. Solo allora saprai veramente chi è Lui.

 

51 Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione.

Nell’antichità era molto conosciuta la “pax romana”. Ma che pace era? Chi contestava, chi alzava la voce, chi si ribellava, veniva eliminato. Era pace?

Uno dei grandi desideri delle persone è: “Stare in pace”. Ma cosa vuol dire? “Stare in pace” vorrebbe dire non alzare la voce, tacere se si è in disaccordo, non tirare fuori problemi e questioni, avere sempre un tono tranquillo, dimesso, composto. “Sta’ in pace!” viene detto a volte ai giovani. Cioè: “Fa’ tacere le idee nuove; quello che senti tu non ci interessa; lascia perdere questi sogni, questi ideali; non lasciarti andare all’entusiasmo”. Ma è pace questa? Questo è “piattume”, fine di ogni slancio, guerra alla vita, morte di Dio, massificazione.

 

52 D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; 53 si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Padre e figlio contro; madre e figlia contro; suocera e nuora contro. Gesù, essendo un fuoco, non è indifferente. Non è come l’acqua che passa via liscia e che prende la forma del contenitore. Dove Gesù si ferma, non possono che nascere scontri e divisioni, perché lui costringe ad ottiche diverse e a scelte chiare e radicali.

Il figlio che vede i suoi genitori andare alla messa ogni tanto (ma sempre a Natale e Pasqua!), che si trascinano stancamente nelle giornate, sempre “dietro a brontolare”, che non credono altro che nel valore della tv, del conto bancario, del “chi si può permettere di più”, del “guarda quello cos’ha!”, se si ribellerà gli verrà rinfacciato che è un ingrato. “Con tutto quello che facciamo per te? E’ questa la tua riconoscenza? Ti abbiamo dato tutto!”. Ma deve ribellarsi, per amore di Gesù; deve staccarsi da quell’ambiente morto e senza vita per non finire lui stesso nel cimitero dei vivi. Ma quando lo farà sarà accusato di pazzia e sarà rinnegato con la frase: “Non ti ho mica insegnato così, io!; ma ti ho generato io? Non sei mica mio figlio tu!?”. E siccome quel gesto di loro figlio è un’accusa alla loro vita e al loro modo di vivere, o cambieranno e si renderanno conto di quanta morte, vuoto, c’è nella loro vita, o lo rinnegheranno.

La donna che si è appassionata di Gesù e che esce una volta la settimana per andare all’incontro sul vangelo o al sabato per andare a catechismo e il marito non vuole? Il marito le dice: “Che vai a fare? Sta’ a casa con i tuoi figli e con me, che il Signore è più contento”. Non crea divisione? Non crea problema? E che si fa? Si segue la passione interiore o ci si accontenta?

L’animatrice che va a fare una settimana al camposcuola, “mangiandosi” così una delle due settimane di ferie con il proprio fidanzato, attirandosi le ire di lui, che deve fare? Si segue il proprio cuore o ci si adegua?

La donna che sente che il proprio cuore è imprigionato in un rapporto monotono, apatico, dove il sentimento d’amore non fluisce, dove tutto è scontato, banale, solito e lui dice: “A me va bene così, sei tu che hai un problema!”, che deve fare? Se segue il proprio cuore crea divisione. Meglio questa pace?

Il figlio che vuole fare fisioterapia dopo la maturità ma il padre non vuole perché ha un ristorante che funziona bene e si guadagna un sacco, vorrebbe lavorare un po’ meno e lasciare che il figlio prendesse il suo posto, che fa? Accontenta il padre che gli sarà riconoscente tutta la vita o si segue il proprio desiderio? E se si segue il proprio desiderio, non ci sarà guerra? Non sentirà il padre tutto questo come un affronto? E anche se non glielo dirà mai, non ne sarà deluso? Un padre, un mese dopo che il figlio ha fatto proprio questa scelta, ha fatto un piccolo infarto, e gli ha detto: “E’ tutta colpa tua!”.

La donna che comprende di essersi sposata con un uomo, non per amore, ma solo per scappare da casa, per cui non ne è innamorata e non lo è mai stata, gli è andata bene così (se l’è fatta andare bene così), hanno anche due figli, ma adesso lei sente che non può lasciar languire il proprio cuore e imprigionarlo solo per dovere, che fa? Tutti, tra l’altro, li ritengono una bella coppia e li ammirano. Si segue il proprio cuore, la Vita che pulsa dentro o ci si adegua? E se si tira fuori il problema, non è una bomba per tutti? Meglio la pace, questo genere di pace?

La ragazza che chiede ai suoi genitori di fare counseling perché vorrebbe tanto poter essere d’aiuto alle persone (lo sente come una sua chiamata) ma vive da sola, ha già il mutuo e non ce la fa con i soldi, che fa?

Se chiede aiuto ai suoi genitori (magari glieli daranno i soldi, visto che ne hanno la possibilità) le diranno: “Ma che fantasie hai per la testa? Hai già il tuo lavoro, cosa cerchi? Pensa a sposarti!”. Non ne nascerà un conflitto? E’ meglio reprimere il proprio slancio e far finta di niente e “tenerseli belli buoni”?

 

Dentro di noi si è cristallizzata l’idea che seguire il Signore voglia dire essere buoni, mansueti, dolci e sorridenti. Nel passato si è santificato l’uomo che sopportava tutto, che si annullava per gli altri, l’uomo che neppure diceva una parola ma in silenzio sopportava tutte le angherie con ubbidienza e umiltà.

Ma basta guardare il vangelo. La vita di Gesù non fu così. Non fu una vita di pace, come la intendiamo noi. La sua vita fu segnata dall’inizio alla fine dal conflitto, dalla lotta, dal contrasto e dalla divisione.

Giuseppe era già in conflitto con sé e con Maria prima ancora che Gesù nascesse: “Ma vuoi dirmi che tu sei incinta per opera dello Spirito Santo? Ma non scherziamo!” (Lc 1-2).

La Santa Famiglia dovette scappare in Egitto perché non era voluta a Nazareth: furono rigettati dai loro paesani.

Gesù fu in conflitto con la sua famiglia fin dall’inizio. Un giorno, a dodici anni, a Gerusalemme, disse chiaramente ai suoi genitori: “Non impicciatevi, non intromettetevi, con la mia vita perché io devo fare le cose del Padre mio” (Lc 2,41-50). Con i suoi parenti andò addirittura peggio perché un giorno tentarono di prenderlo poiché dicevano: “E’ pazzo da legare, dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo intervenire e prenderlo. Questo ci scredita tutti” (Mc 3,21).

Dovunque andava e dovunque passava qualcuno tentava di ucciderlo, di calunniarlo o di metterlo alla prova per ciò che diceva e per ciò che faceva. Sacerdoti e politici non lo potevano sopportare, lo odiavano a sangue.

Sfidò i potenti del tempo andando a Gerusalemme. E’ una cosa che gli esegeti ancora non riescono a comprendere: perché mai si sarebbe recato lì a Gerusalemme, città nella quale rarissimamente aveva messo piede, nell’esatto momento in cui maggiormente era preso di mira dalla repressione?

Morì di morte violenta, assassinato sulla croce e fu grande liberazione per molti. Più che una vita di pace (come la intendiamo noi: assenza di conflitti e contrasti) fu una vita di guerra.

In Gv 9 c’è l’episodio significativo del cieco nato. Per tutto il giorno quest’uomo deve lottare e rompere con chi gli è attorno. E’ in conflitto con tutti. Deve rompere con la sua famiglia che lo abbandona e lo “scarica”: “Risposero i suoi genitori… domandatelo a lui; ha l’età, chiedetelo a lui” 9,20-23; deve rompere con l’ideologia e con ciò che tutti credevano e consideravano vero e giusto, quindi con un mondo: “Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?… Una cosa so: primo ero cieco e ora ci vedo” (9,34.25); deve rompere con l’autorità protettrice che lo rinnega perché non è conforme alla sua linea: “E lo cacciarono fuori” (9,34). L’unica cosa che gli rimane è Dio: “Io credo Signore” (9,38).

Il vangelo non è un rifugio per chi ha paura di lottare, di mettersi in gioco, di scontrarsi. Diventare discepoli del Maestro vuol dire seguire il suo richiamo nel nostro cuore: vuol dire diventare se stessi, realizzare ciò che Lui ha messo come germe, seme, nel nostro profondo. Lo sappiamo già: ci sarà da lottare, ci saranno conflitti, non sarà né semplice né facile.

Questo perché diventare se stessi vuol dire deludere le aspettative di chi c’è vicino; e ce lo diranno! Diventare se stessi vuol dire rispondere no a certe richieste e pressioni per conformarci all’esistente e a ciò che sempre si è vissuto; e ce la faranno pagare! Diventare se stessi vuol dire affermarsi e qualcuno lo prenderà come un entrare in competizione, come un sottrargli visibilità e spazio pubblico; e ti darà addosso! Diventare se stessi vuol dire farsi sentire, e troverai sempre chi tenterà di tacitarti e di annullarti. Diventare se stessi vuol dire prendere posizione e schierarsi, dicendo: “Io non ci sto”, “pesterai i piedi” a qualcuno e si rivolterà contro di te. Diventare se stessi vuol dire denunciare l’ingiustizia e combattere l’ipocrisia, e cosi facendo ti farai una moltitudine di nemici e ti circonderai di odio. Diventare se stessi vuol dire che metti prima Lui a quelli di casa tua, ai familiari, a quelli che dicono di amarti, e così sarai tacciato come un ingrato, un pazzo, un irriconoscente, e come ti faranno sentire in colpa!

Diventare se stessi vuol dire lottare per sé. Ma quanto ti ami se neppure lotti per te? Dici di amare Dio e non sei in grado neppure di amarti? Riflettici…!

 

Pensiero della settimana

Sii vivo: brucia di vita!