Chi scandalizza

XXVI domenica del tempo Ordinario

Domenica 30 settembre 2018

Prima lettura: Nm 11, 25-29            Salmo: 18       Seconda lettura: Gc 5, 1-6    Vangelo: Mc 9, 38-48

 

 

Gesù aveva dato ai suoi discepoli la capacità di liberare dai demoni, cioè di liberare da quelle ideologie che impediscono di accogliere la buona notizia. Ebbene, non solo non ne sono capaci ma tentano, con arroganza, di impedirlo a coloro che lo fanno.

 

9,38 Giovanni gli disse: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva».

Per capire dovremo leggere il vangelo in forma continuativa. Infatti (vangelo di domenica scorsa) Gesù stava parlando: “Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome accoglie me…” (Mc 9,37) e all’improvviso, come se a chi ascolta nulla interessi delle sue parole, viene bruscamente interrotto da Giovanni.

GIOVANNI=Giovanni e suo fratello Giacomo sono stati presentati come “figli del tuono” (Boanerghes, come il boato, che dà l’idea del suono del tuono) per il loro fanatismo, per la loro intemperanza, per il loro impeto. Giovanni si rivolge a Gesù e gli dice ciò che ha visto.

Questi due, Giacomo e Giovanni, sono quelli che in Lc 9,54, poiché a Gesù era stato rifiutato l’ingresso in una paese samaritano, hanno detto a Gesù: “Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?”. E Gesù li rimproverò aspramente.

 

Se sono sempre presentati insieme è perché si fanno forza l’uno con l’altro, perché non sono autonomi, non hanno una loro personalità. Loro portano avanti il pensiero della famiglia; un fratello pensa come l’altro; si appoggiano l’uno con l’altro; non sono in grado di prendere una posizione; fanno le cose solamente come “insieme”, come “fratelli” e non come singoli.

 

“Papà posso uscire stasera?”. “Chiedi alla mamma?” oppure: “Se alla mamma va bene, va bene anche a me”. Ma tu non hai una posizione? Tu non sai dire di sì o di no?

Quando diventai maggiorenne e andai per la prima volta a votare, chiesi al mio migliore amico: “Per chi voti tu?”. E lui: “Devo chiedere a mio papà!”. D’accordo, informarsi è bene, ma tu non sei in grado di prendere una posizione?

“Cosa dice la chiesa su questa questione?”. Ma tu non sei in grado, visto che hai un tuo cervello, di pensare con la tua testa? O hai sempre bisogno di qualcuno che ti protegga? O hai sempre bisogno di essere accettato da ciò che tu ritieni autorità?

Questa è la dipendenza: quando noi invece di vivere la nostra vita, chiediamo agli altri cosa fare, dove andare, cosa è bene, cosa è male, cosa si può, cosa non si può.

Gesù sarà chiaro nei vangeli: “Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina!” (Mc 2,9). Cioè: “Smetti di delegare agli altri la tua vita; smetti di farti portare dagli altri in quanto a scelte e a punti di vista; prendi in mano la tua vita, vai dove vuoi, fai ciò che devi fare, e vivi ciò che hai il coraggio di vivere. Prenditi le tue responsabilità e smetti di essere un parassita”.

 

Qui però è l’unica volta che viene presentato senza il fratello Giacomo. Perché?

Mc si rifà a un episodio molto conosciuto nella Bibbia quando Giosuè – Giosuè era il servo di Mosè, fanatico e ambizioso come lui – vede che lo Spirito Santo è disceso non soltanto sugli uomini che avevano partecipato alla liturgia per l’effusione dello spirito, ma anche su persone che erano fuori dell’accampamento, che non avevano pensato di partecipare al rito liturgico.

Nel libro dei Numeri (Nm 11,28-29) si dice che Yahwè prese lo spirito che era su Mosè e lo infuse sui 70 anziani e costoro profetizzarono. Capitò però che lo spirito si posò anche su Eldad e Medad che non avevano partecipato alla cerimonia di investitura per ricevere lo spirito. Prontamente lo zelante Giosuè disse: “Mosè, signore mio, impediscili (akoluo)”. Ma Mosè rispose: “Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo di Yahwè e volesse Yahwè dare loro il suo spirito!”. E per mettere in parallelo i due episodi Mc usa lo stesso verbo: akoluo. Per questo l’evangelista per ricordare questo episodio di esclusione ecco che elimina uno dei due fratelli e presenta soltanto Giovanni.

 

Qualche anno fa avevo un dolore tremendo alla schiena. Girai tutti i medici della zona. Tutti furono gentili e tutti mi diedero informazioni precise e cure. Furono veramente bravi, solo che io non guarii. Poi un amico mi porto dal “pranoterapeuta fai da te”: io rifiutai perché mi veniva da ridere. Ma lui mi disse: “Ma provaci almeno!”. E così totalmente scettico e prevenuto, ci andai. Quando entrai in stanza sua mi venne da ridere: reliquie di qua e di là, santini da ogni parte, figure del Buddha e di santoni indiani. Quando lo vidi ancor di più: grasso, con una parlata grezza e in dialetto. Mi fece spogliare e neppure mi toccò la schiena. Mi passò solo la sua mano e mi disse: “Ti stai piegando ad una autorità perché hai paura di dirgli le cose in faccia. Comunque adesso sei guarito, ma devi dirgliele queste cose”. Era vero: ma come lo sapeva lui? Non lo so, ma lo sapeva. In ogni caso, la sera di quel giorno non avevo più male alla schiena e non lo ebbi mai più. Che dire? Se sono intellettualmente onesto devo dire: “Funziona! Come sia non lo so ma è così!”.

 

NEL TUO NOME=non significa usando il tuo nome, cioè utilizzando la parola “Gesù” (esempio: “nel nome di Gesù, io ti ordino…”) ma significa identificandosi con Gesù.

E GLIEL’ABBIAMO IMPEDITO=sentite l’arroganza!

PERCHE’ NON CI SEGUIVA=e perché glielo impediscono? Ascoltate bene cosa dicono: “Perché non ci seguiva”. Non dicono: “Perché non seguiva te, Gesù!”. Ma perché non seguiva loro! Perché non era dei loro! Vedete: fin dall’inizio nella comunità cristiana c’è stata l’idea esclusiva di essere gli unici depositari del messaggio e dell’azione di Gesù. “Noi abbiamo la verità! Noi guariamo! Noi siamo gli unici interpreti di Cristo! Noi… noi… noi…”. Questo è il peccato già della prima comunità: credere di avere il monopolio della verità. Invece di essere imbevuti, impregnati, di Gesù si sono impossessati di Gesù.

Fino a pochi anni fa si diceva: “Extra ecclesiam nulla salus”: fuori dalla chiesa non c’è salvezza. Cioè: solo noi abbiamo Dio e la salvezza. Ma il vangelo di oggi non dice affatto così. Dice: “Chi fa il bene, di dovunque sia, viene da Dio”. Erasmo da Rotterdam: “Ovunque tu incontri la verità, considerala cristiana”.

 

Cos’era successo? Gesù aveva dato ai discepoli il potere di scacciare di demoni (Mc 3,14). Solo che loro non ci riuscivano. Poco prima, infatti, in Mc 9,18 il padre del ragazzo epilettico dice: “Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti”.

E perché non ci sono riusciti? Perché loro stessi sono posseduti dai demoni e chiaramente il demonio non scaccia il demonio! Chi non è libero non ti può liberare. Nessuno ti può dare quello che lui non ha. Chi non ha la libertà non può insegnartela. E chi non è felice non ti può insegnare la felicità. E chi non ha Dio non può dartelo (quello che ti dà è il “suo” Dio). Nessuno ti può condurre oltre lì dove lui è arrivato.

E cosa succede? Succede che loro non ci riescono e, invece, uno che non è dei loro, sì. Come si chiama tutto questo? Invidia (invidia=volere qualcosa che qualcuno ha e tu no; gelosia=avere paura di perdere qualcosa che si ha)!

 

Cos’è l’invidia? In-videre vuol dire guardare contro, guardare con ostilità. E’ la rabbia che si prova quando uno è felice, ha benessere (magari ha cose o fortune che noi non abbiamo), ha successo. Dante nel Purgatorio li rappresenta con gli occhi cuciti da fili di ferro per punirli nell’aver gioito delle disgrazie altrui.

Ma perché siamo invidiosi? Esempio: c’è un insegnante che i ragazzi amano tantissimo. Tutti ascoltano e partecipano alle sue lezioni mentre alle nostre tutti dormono o “fanno casino” e non riusciamo a tenere un attimo di disciplina in classe.

Cosa accade? Lui riesce e noi no: ci confrontiamo e poiché lui ha una cosa che noi non abbiamo, ci sentiamo inferiori a lui (perché siamo insicuri) e proviamo rabbia e indivia per lui.

Ecco quindi che per non sentire il dolore dell’inferiorità attacchiamo: “E beh!, sono bravi tutti a fare lezione così! Non insegna niente!… Fa il giovane!… Cosa sono questi metodi moderni…”.

Avete presente la matrigna di Biancaneve? “Specchio, servo delle mie brame: chi è la più bella del reame”. Il competitivo non può accettare la risposta: “Biancaneve”, cioè “non tu”. Per questo la vuole uccidere.

La triade dell’invidia: confronto con un altro (desiderio di superiorità: “Sono più io o tu?”), senso di inferioritàpersonale (non conoscenza di sé; disistima) e svalutazione dell’altro (tentativo di ridurlo al mio livello). E’ chiaro: l’invidioso è un onnipotente non riuscito, che ha sempre bisogno di “essere più” degli altri, solo che non ci riesce. E’ un fallito che non accetta chi è realizzato perché è sempre in competizione con gli altri.

Svaluto l’altro per mitigare il dolore della mia inferiorità. Ma perché provo questo dolore? Perché mi confronto!

E’ la storia di Esopo della volpe e dell’uva. C’era una volta una volpe, furba e presuntuosa. Un giorno spinta dalla fame, gironzolando qua e là, trovò una vigna dagli alti tralicci. Ecco disse: “Finalmente qualcosa di prelibato”. Tentò allora di saltare spingendo sulle zampe con quanta forza aveva in corpo… ma nulla. Calma, si disse: “Io così furba non posso arrendermi, devo escogitare qualcosa per raggiungere quell’uva”. Dopo un breve riposo riprese a saltare ma dopo alcuni balzi, non potendo neppure toccarla, così disse mentre mestamente si allontanava: “E’ acerba!”.

E’ la storia della rana e del bue. C’è una rana che vede un bue. Allora si gonfia per essere come il bue. “Sono come il bue?”, chiede alle altre rane. “Ma neanche per sogno!”. Allora si gonfia di più: “E adesso!”. “Non se ne parla neanche!”. Allora si gonfia ancor di più: “E ora?”. “Ma neanche lontanamente!”. Allora prende tutta la sua forza e si gonfia all’inverosimile… e scoppia!!!

L’indivia, tra l’altro, ha due forme: una depressiva, verso di sé e una distruttiva, verso gli altri.

Quella depressiva dice: “Tu sei più di me… io non sono come te… io non sarò mai come te”. “Tutti sono più belli, più bravi, più interessanti e io non valgo niente”. L’invidioso si paragona agli altri e questo aumenta sempre di più la sua inadeguatezza. Una ragazza invidiosa depressiva ne vede una bellissima in bikini e dice: “Che corpo brutto che ho! Che grassa che sono! Che brutta che sono!”. Cioè: “Vorrei essere come te e non lo sono perché sono veramente uno schifo”.

Quella aggressiva, invece, dice: “Tu hai successo e io no… tu hai tante persone e io no… tutti ti chiamano e a me no…: te la farò pagare… se non posso averlo io, neanche tu devi averlo”. Per cui l’invidioso aggressivo sparla e giudica, mette in giro sospetto e maldicenza; prova gioia quando le cose vanno male all’altro; e in alcuni casi passa anche all’azione, tramando azioni negative contro l’altro.

Ma se trasformassimo la nostra invidia in positivo? E se iniziassi a chiedermi: “Ma perché lui insegna così bene? Che abilità ha che io potrei sviluppare? Che strategie utilizza che anch’io potrei imparare? Perché non potrei imparare da lui?”. Allora l’invidia diventerebbe la forza non per abbassare gli altri ma per tirare fuori da me quelle risorse, quelle energie, quelle capacità, quelle aperture di mente e di animo, che ancora non ho tirato fuori. “Se lui sì, perché io no?”, e così mi attivo per far uscire quelle abilità che già lui vive e che in me sono ancora sepolte.

Questo è l’unico modo per uscire dall’invidia: sviluppare se stessi.

 

L’apertura di Gesù è universale. Tutti coloro che nell’umanità lavorano per il bene delle persone, per il bene degli uomini, anche se non conoscono Dio, anche se appartengono ad altre religioni, altre fedi, altri credi politici, non devono essere considerati dei rivali ma degli alleati.

“Non è un cristiano!”: “Non importa!”. “Fa il bene?”. “Sì”. “Allora è dei nostri!”. Quindi si può essere “di Cristo” anche se non si è cristiani, anche se non si appartiene alla Chiesa ufficiale, anche se non si appartiene al gruppo dei discepoli. Tutti quelli che fanno il bene dell’uomo sono dei “nostri”. Sono i cristiani anonimi di Karl Rahner.

 

39 Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me:

GESU’: NON GLIELO IMPEDITE=il verbo kolio è imperativo, è un ordine: “Ma cosa fate? Ma siete matti? Non fatelo!”. “Perché non c’è nessuno che agisca con forza (lett. dinamis è forza e quindi per estensione “miracolo”), identificandosi a me e che poi possa parlare male di me”.

 

40 chi non è contro di noi è per noi.

CHI NON E’ CONTRO DI NOI E’ PER NOI=quindi Gesù ammette che ci possano essere dei suoi discepoli che non fanno parte del gruppo che pretende di avere il monopolio del suo insegnamento.

 

41 Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.

CHIUNQUE INFATTI VI DARA’… NEL MIO NOME=qui Gesù invita anche i suoi discepoli a identificarsi con Lui. Prima si diceva: “Se qualcuno guarisce o fa del bene, anche se non è dei nostri ma con lo spirito di Gesù (nel mio nome), è dei nostri”. Adesso Gesù dice: “Se qualcuno fa del bene a voi, anche se non è dei nostri ma con il mio spirito…”. Quindi: quando qualcuno fa del bene a voi, anche se non è dei nostri, non siete contenti? Non siete felici se qualcuno, anche se non mi conosce, ma nel mio nome/spirito (cioè perché ha un cuore grande), quando avete una grande sete vi dà un bicchiere d’acqua? Certo che lo siete!, e non gli chiedete: “Tu sei di Cristo?”, ma bevete l’acqua. E allora? Se vale questo per voi, vale anche per gli altri!

Gesù nelle parole successive li ammonisce duramente per affermare che mai dovrebbe accadere questo. Queste sono le parole più serie, più severe e drammatiche pronunciate mai da Gesù. E’ strano, ma le parole più severe Gesù non le rivolge mai ai peccatori, alle persone al di fuori della legge. Le parole più serie, più severe, Gesù le rivolge alla sua comunità perché sa qual è il rischio terribile.

 

42 Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare.

CHI SCANDALIZZERA’= skandalizo=lo skandalon è la pietra che ti si infila nel sandalo e ti impedisce di camminare.

PICCOLI=micron (da cui microbo=qualcosa di piccolo). Micron era una un’espressione dispregiativa, usata dai rabbini per tutti gli esclusi, gli emarginati, i rifiuti della società, quelli che non potevano o non volevano osservare la legge.

Micron quindi non sono i bambini, ma coloro che sono nulla, che sono piccoli, piccolissimi, le persone più emarginate, gli insignificanti della società. Quindi non sono bambini ma persone adulte, che hanno dato adesione a Gesù, ma che sono senza importanza.

Allora qual è lo scandalo per questi adulti senza significato? L’ambizione dei discepoli!

 

Una ricerca iniziata nel 1922 dai ricercatori dell’Università di Notre Dame dell’Indiana, ha studiato ad intervalli regolari 700 volontari per 70 anni e ha scoperto che le persone ambiziose (“voglio essere come lui… come quello…”) e che non riescono a diventare ciò che vorrebbero essere (famose, importanti, di successo, finire in tv, ecc.), non solo sono più frustrate ma muoiono molto prima di chi non è ambizioso.

 

Cos’è appena successo? E’ appena successo che i discepoli, coloro che si arrogano il diritto si seguire Gesù, sono diventati arroganti, presuntuosi, altezzosi, giudicanti (perché hanno detto: “Tu non puoi guarire! Tu non sei dei nostri, caro, tu non puoi!”), quelli che invece di fratellanza portano divisione, separazione (“Tu sei dei nostri, tu no!; tu puoi mangiare il pane di Cristo, tu no!”).

Cosa accade allora? Accade che questi “micron/piccoli” hanno sentito parlare che il vangelo di Gesù è amore, misericordia, perdono, riconciliazione, condivisione. Questa gente che da sempre è stata esclusa, emarginata, additata come eretica, “fuori”, impura, sentendo ciò, si avvicina perché sente di poter ritrovare una dignità mai avuta. “Davvero, sono degno dell’amore di Dio? Davvero Dio mi ama? Ma com’è possibile che ami me? Ma io posso?”. “Sì, fratello… Non importa ciò che hai fatto! Vieni all’abbraccio del Padre! Dio è la casa di tutti: vieni qui!”.

Ma se questa gente che già ha sofferto tanto poi trova ambizione, giudizio, incapacità di perdono, allora come potrà avvicinarsi al Dio della misericordia che tutti accoglie (ma i suoi discepoli invece no!).

Gesù dice: “Venite tutti alla mia casa!”. I suoi discepoli ambiziosi, gelosi e giudicanti invece dicono: “Tu sì… tu no… tu sei degno… tu, mi dispiace, non sei degno… tu sei dentro… tu sei fuori”.

Allora questa gente “persa” e che sperava di ritrovare amore, dignità, senso per vivere, inciampa, perde, cioè, le speranze: “Avevamo creduto, avevamo sperato… ma… e invece…”. E così tornano nella loro disperazione perché scoprono che non c’è nulla di diverso nella comunità di Gesù da quelle fuori.

“Beh, dice Gesù, se uno fa così, io non lo voglio più vedere; mai più! Voglio che sparisca, che non esista mai più!”. Ciò che Gesù dice è terribile, ed indica quanto anti-Dio sia un comportamento del genere.

 

E’ MEGLIO PER LUI CHE GLI VENGA MESSA UNA MACINA DA MULINO=una macina attorno al collo può bastare: vai sotto acqua e con un peso del genere non riesci più a venire su.

Basta? No! Non basta! Le macine erano di due tipi. C’era la macina casalinga, quella che era girata dalla donna: serviva per la farina, era di pietra, di piccolo diametro, quindi si girava a mano. Pesava una decina di chili. Ma per Gesù non è sufficiente.

Poi c’era la macina d’asino, che era quella del frantoio, quella che serviva per le olive, una ruota di pietra immensa e molto, molto, più pesante. Questa dev’essere legata intorno al collo!

E poi? E poi deve essere buttato in acqua! Gli ebrei avevano il terrore di morire affogati perché credevano che se si moriva affogati non c’era speranza della resurrezione (la resurrezione era possibile sono in Israele). Allora non basta gettarlo nel mare ma bisogna assicurarsi che il corpo non torni a galla per essere seppellito.

Cosa vuol dire questa frase? Vuol dire che un individuo così deve scomparire definitivamente. E per assicurarsi che scompaia definitivamente dev’essere gettato nel mare con una macina da frantoio, da mulino, così siamo sicuri che non esisterà più. Gesù dice: “Se con la vostra ambizione (Mc 9,34: “Discutevano di chi fosse il più grande”), se con la vostra gelosia (Mc 9,38: “Gliel’abbiamo impedito perché non era dei nostri”), se con il vostro giudizio (Mc 9,38: “Non è dei nostri”), se con la vostra presunzione (Mc 9,36: “Se qualcuno vuol essere il primo”) mi scandalizzate uno di questi, cioè impedite ad uno di questi di avere la mia misericordia, il mio perdono, il mio amore, io non voglio più vedervi né di qua né di là”. Sono parole terribili. Gesù odia persone così (e parla dei discepoli!).

 

43Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. [44].

Gesù dà una serie di avvisi alla sua comunità.

SE LA TUA MANO… PIEDE… OCCHIO=la mano indica l’attività, il fare; il piede indica la condotta, il cammino, l’andare; l’occhio il criterio con il quale si osservano le cose della vita.

MANO=se il tuo fare è per essere di più degli altri, per essere più bravo, “più”, più stimato, più onorato, per avere una posizione più in vista (tutte forme dell’ambizione: “Io sono più di te”) è meglio per te che tagli, che togli, che elimini questo fare.

E perché? Perché tu credi di crescere, di essere “qualcuno”, e non ti accorgi che stai vendendo la tua anima al diavolo. Stai barattando per l’onore fuori, la tua vita interiore. Che tristezza! Stai morendo, perché quando tu cerchi di ottenere l’approvazione, la stima, il riconoscimento fuori, allora stai perdendo la tua stima e la tua approvazione.

E’ MOTIVO DI SCANDALO=cioè se fai un’attività (mano) che ti fa inciampare, tagliala! Gesù è radicale.

TAGLIALA!=certo è un’immagine figurata. Non si tratta di andare via monchi! E’ un’immagine forte che indica una radicalità, una decisione, qualcosa da farsi assolutamente.

Per crescere, per vivere, per essere se stessi, per essere discepoli di Gesù bisogna compiere dei tagli dolorosi, decisi, secchi, radicali, importanti. Nessuno vuole il dolore ma certi tagli vanno fatti, costi quel costi, anche se fanno molto male. Viene un giorno in cui io mi devo dire: “No!” (e questo “no” è un “sì” alla vita).

E’ MEGLIO PER TE ENTRARE NELLA VITA CON UNA MANO SOLA, ANZICHE’… NELLA GEENNA…=Geenna (Ghe-Hinnon=valle di Hinnon); era ed è un luogo, un rione, a sud di Gerusalemme, dove c’è un profondo burrone, che al tempo di Gesù veniva usato come discarica dei rifiuti. I rifiuti venivano accumulati per poi bruciarli: per questo era un luogo sempre pieno di fumo e di fuoco, maleodorante, ed era un’immagine per dire un posto bruttissimo, schifoso. Il fuoco inestinguibile della Geenna indica il fuoco che brucia tutto, completamente.

Quindi cosa vuol dire Gesù: “E’ meglio che ti togli, che perdi, qualcosa che ti impedisce la pienezza di vita, piuttosto che finire nell’immondezzaio di Gerusalemme”, cioè di vivere una vita schifosa.

 

45E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. [46].47E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, 48dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue.

DOVE IL LORO VERME NON MUORE E IL FUOCO NON SI ESTINGUE=qui Gesù cita il finale del libro di Isaia “dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue”. Gesù qui non parla di castigo, tutt’altro. Il finale del libro del profeta Isaia mostra la pena per gli Israeliti infedeli. La maniera per eliminare i cadaveri era duplice: la putrefazione o la cremazione. Qui il profeta mette insieme le due metodologie: “il loro verme non muore” è la putrefazione e “il fuoco non si estingue” è la cremazione. Significa la distruzione totale.

Allora: o si entra con Gesù nella pienezza della vita, o quando arriva la morte fisica trova un corpo già morto, già finito, quella che nel libro dell’Apocalisse si chiama la morte seconda: la morte fisica che arriva ad un individuo che è già morto psichicamente. La prima è la morte biologica; la seconda è una vita senza vita, svuotata della vitalità: è il fallimento della vita.

 

49Perché ciascuno sarà salato con il fuoco.

Noi non l’abbiamo letto (ed è un vero peccato) ma il discorso di Gesù non finisce qui. Infatti Gesù continua: “Perché ciascuno sarà salato con il fuoco” (Mc 9,49).

Il sale indicava la validità di una cosa. Nell’A.T. c’è il “patto salato”. Cos’è? Quando si faceva un contratto, un patto, veniva cosparso con il sale. Era la fedeltà a ciò che si aveva stabilito.

La fedeltà a Gesù allora non passa per una fedeltà esterna alle regole, alla disciplina, a ciò che si deve fare, ma è una fedeltà che deve passare per “il fuoco”. Il fuoco è l’immagine di purificazione: le impurità passano sotto il fuoco e vengono eliminate.

Quindi: “Tu (e solamente tu) sai cosa devi cambiare. Tu sai quali sono i tuoi comportamenti che non ti fanno vivere; tu sai quali sono le relazioni che ti fanno morire; tu sai che cosa devi affrontare; tu sai i mostri che sono dentro di te; tu sai le paure che ti attanagliano; tu sai quali sono gli schemi di invidia, di gelosia, di ambizione, di rancore, che diventano gesti, parole e comportamenti. Questi tu devi affrontare ed eliminare. E’ inutile dire: “Io non faccio peccati; io sono cristiano”, quando dentro poi hai tutto questo”.

A volte le persone fanno delle cose buone (pregano, digiunano, dicono il rosario, vanno a messa, ecc.) e ne fanno anche molte, ma non fanno quello che veramente conta. Se il tuo problema è l’ambizione o, che ne so, il giudizio degli altri o il rancore, su quello devi lavorare. Non è male quello che fai, ma non ti serve (a volte molta religiosità serve proprio per compensare il senso di impurità che si ha dentro)! Certo è più facile, ma non serve.

Un vicino trovò Nasruddin in ginocchio intento a cercare qualcosa. “Cosa stai cercando mullah?”. “La mia chiave. L’ho persa”. E i due uomini si inginocchiarono per cercare la chiave perduta. Dopo un po’ il vicino disse: “Dove l’hai persa?”. “A casa”. “Santo cielo! Ma allora perché la cerchi qui?”. “Perché qui c’è più luce!”.

 

50Buona cosa il sale; ma se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo salerete? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri”.

Se un uomo perde il sale, cioè la fedeltà a sé (il patto con sé) che è il sapore della vita, a che serve?

Un uomo che non è fedele a sé non serve a nulla, se non al sistema perché è un buon funzionario. Quando tu hai perso la tua originalità, la tua unicità, ciò che “ti fa te”, sei insipido, non dici niente.

 

E poi questa meravigliosa frase finale: “Abbiate sale in voi stessi”, cioè: “Siate fedeli a voi! Non traditevi mai. Non rompete mai il patto che avete fatto con voi stessi”. E questo che cosa permetterà?

E siate in pace gli uni con gli altri”: meraviglioso! La vera fedeltà a sé è l’unica strada per la pace vera con gli altri.

Quando io sono felice, soddisfatto, della mia vita non sono geloso della tua.

Quando io ho espresso e realizzato ciò che sono, non ho bisogno di invidiarti, né di dire: “Che fortuna lui! Beato lui! Beh, anch’io se fossi al suo posto!”.

Quando io sono in pace con il mio cuore non ho motivo di dire: “Ben gli sta! Chi semina vento raccoglie tempesta; chi di spada ferisce di spada perisce”, ecc, ma sono triste se ad una persona le cose vanno male (non come l’invidioso, che non è stato fedele a sé, non ha sviluppato se stesso e per “tirarsi su” dice: “Mal comune, mezzo gaudio!”).

Quando io ho fatto pace con i miei mostri interiori, allora sono in grado di perdonarmi e di perdonarti e di dire: “Ok, lasciamo stare… Ok giriamo pagina… Ok mettiamoci una pietra sopra… Ok il legame fra di noi è più importante di chi vince e di chi perde… Ok vai per la tua strada… Ok se questo è il tuo volere, non sono d’accordo, ma lo rispetto…”.

Quando io ho la pace dentro ce l’ho anche rispetto ai fatti della vita: “Ok, non sei stato un padre/madre perfetta ma ti onoro come mio padre/madre e lascio andare il resto… Ok, non avrei voluto che la nostra relazione finisse, ma accetto che esistano separazioni dolorose… Ok, la vita mi ha ferito ma io voglio vivere ancora… Ok, mi hai lasciato e non ero pronto, ma voglio ritrovare la pace interiore… Ok, vai per al tua strada… Ok, ti amo ma non ti permetterò più di farmi così tanto del male…”.

La fedeltà a sé stessi è la garanzia della pace (=di relazioni d’amore) con gli altri.

Chi è fedele a sé stesso non sarà mai tradito.

 

Pensiero della settimana

La vita è troppo breve per sprecarla a realizzare i sogni degli altri.