Vivere felici, felici di vivere

IV domenica del tempo ordinario

29 gennaio 2023

 

  • Prima lettura:Is 8, 23- 9, 3
  • Salmo: Sal 26
  • Seconda lettura: 1 Cor 1, 10-13. 17
  • Vangelo: Mt 5, 1-12

 

Il Vangelo di oggi ci presenta le Beatitudini. Ma fermiamoci un attimo e partiamo da un po’ prima per capire il senso profondo ed enorme che ha questo vangelo. Le Beatitudini, infatti, sono il programma di Gesù, il suo manifesto, il libro che ha scritto (anche se in realtà non lo ha scritto Gesù). Come se Gesù dicesse: “Volete sapere il mio pensiero? Volete una sintesi, un succo, di ciò che io credo? Volete sapere cosa io vivo? Eccolo qua: le Beatitudini”.

Matteo scrive il suo vangelo per dei Giudei. Ora che cosa aspettavano i Giudei? Che cosa speravano? I Giudei (=gli ebrei) aspettavano con tutto il loro desiderio il Messia, osservante della Legge e re combattente contro i nemici. Lo scopo del Messia era inaugurare il regno di Dio. Il Messia, cioè, sarebbe stato il nuovo Mosè, della casa di Davide, che come il grande condottiero secoli prima, avrebbe liberato gli Israeliti dalla nuova schiavitù: i Romani.

Ma cos’era il regno di Dio? Il dominio di Israele su tutti gli altri popoli. Nel regno di Dio ogni israelita, diceva il Talmud, aveva solo che 2.800 schiavi!!! Quindi, quando arriva Gesù, questo si aspettano e questo sperano di vedere. E le aspettative, si sa!, deformano la realtà, che non è più quella che è, ma quella che si vuol/vorrebbe vedere.

Cosa fa allora Mt nel suo vangelo? Cerca di dire: “Guardate che quel Messia che voi aspettate è proprio Gesù… solo che è un po’ diverso da come voi ve lo aspettate”.

Infatti Mt fa vedere che la vita di Gesù ricalca quella di Mosè. Mosè ha scritto i primi 5 libri della Bibbia? Anche Gesù ha fatto 5 discorsi (1. discorso programmatico: 5,1-7,28; 2. discorso missionario:9,36-11,1; 3. discorso parabolico: 13,1-53; 4. discorso comunitario: 18,1-19,1; 5. discorso finale: 23,1-26,1). Mosè era stato miracolosamente liberato dalle acque? Anche Gesù! Gesù infatti sopravvive, come Mosè, all’ordine di Erode (il nuovo Faraone) di essere ucciso (strage degli innocenti; cfr Mt 2,13-18). Mosè ha liberato il popolo dalla schiavitù egiziana grazie ad un crescendo di dieci azioni (le famose dieci piaghe dell’Egitto) di cui l’ultima è la morte del figlio del faraone? Anche Gesù compie dieci azioni dove, o gli animali (i porci; Mt 8,28-34) o gli elementi della natura (vento e mare nella tempesta; Mt 8,23-27), sono dominati, o le azioni danno vita e non più morte (figlia di Giairo; Mt 9,18-26;). Mosè ha traghettato gli Israeliti dall’Egitto alla Terra Promessa? Gesù traghetta il mondo dalla religione alla fede. La religione è ciò che l’uomo fa per Dio; la fede è ciò che Dio fa per l’uomo. Nella religione c’è Dio, nella fede un Padre; la religione ti chiede obbedienza e sottomissione, la fede è accoglienza e libertà; la religione è regola, la fede esperienza. Mosè è stato 40 giorni nel deserto per stipulare l’alleanza con Dio (Es 34,28)? Anche Gesù digiuna “quaranta giorni e quaranta notti” (Mt 4,2). Il Pentateuco si chiude con la morte di Mosè su di un monte (il monte Nebo)? Anche Gesù muore su di un monte, solo che Lui in realtà non muore ma vive (Mt 28,16-20). L’attività di Mosè si chiude con la consegna della missione al suo successore, Giosuè (Dt 34,9). Anche Gesù passa il mandato ai suoi discepoli, assicurando loro che Lui, però, sarà sempre presente: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dei tempi” (Mt 28,20). Come è stata sancita l’Antica Alleanza? Con il sangue dei giovenchi! Come sarà sancita la Nuova Alleanza? Con il sangue di Gesù.

Antica Alleanza Nuova Alleanza
Allora Mosè Gesù
Prese il sangue Poi prese il calice
E ne asperse il popolo E, dopo aver reso grazie, lo diede loro,
dicendo: dicendo:
Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi. Bevetene tutti, perché questo è il sangue della mia alleanza.
Es 24,8 Mt 26,27-28

 

Qual è stato il momento più importante di Mosè? La salita al Sinai, dove Mosè diede l’Antica Alleanza, la Legge: i Dieci Comandamenti. Quale sarà il momento più importante in vita di Gesù? La salita “sul Monte” dove Gesù darà la nuova Legge: le Otto Beatitudini.

Per cui Mt dice ai suoi lettori: ecco il nuovo e vero Mosè. Ed ecco la sua Nuova Alleanza e i suoi Nuovi comandamenti. Per questo sentiremo nelle prossime domeniche che Gesù dice sempre: “Avete inteso che fu detto agli antichi (chi sono gli antichi? E’ l’antica Alleanza, sono i Padri che l’hanno stipulata)… ma io vi dico” (Mt 5,21-48).

Gesù chiude l’Antica Alleanza e ne sancisce una di nuova, che elimina la precedente e la sostituisce. Nell’antica alleanza le norme erano esterne, in quella nuova sono interne; se nell’antica Dio si arrabbiava e si vendicava dei tradimenti del suo popolo, nella nuova Dio rimane fedele e mai ritira il suo amore; se nell’antica ti veniva detto cosa bisognava fare, nella nuova ti viene detto che cosa bisogna essere; se nell’antica l’osservanza ti faceva credente, nella nuova l’osservanza ti fa felice.

5,1 VEDENDO DUNQUE LE FOLLE (GESÙ) SALÌ SUL MONTE E, SEDUTOSI, GLI SI AVVICINARONO I SUOI DISCEPOLI.

VEDENDO=il fatto di vedere ciò che vede provoca una reazione in Gesù (Mt 3,7; 5,1; 9,2.4.22.23). Gesù vede e quel che vede gli provoca qualcosa dentro (sente) e agisce in base al suo sentire.

L’azione segue un aver visto che provoca e suscita un’emozione dentro. E’ il processo lineare dell’azione reale:

  1. Vedo (attraverso i sensi; biologia) – realtà.
  2. Sento (psicologia: le percezioni diventano emozioni) – sentire.
  3. Agisco (le emozioni diventano comportamenti) – azione.

Le azioni, i comportamenti, ciò che facciamo, diciamo, agiamo, è determinato dal nostro sentire e dal nostro vedere. E’ ciò che accade dentro che determina ciò che succede fuori e non viceversa.

Esempio: vedo mio figlio che ha un volto triste – sento la sua tristezza – e agisco (gli chiedo che cos'ha).

Esempio: vedo che questa sera sono a casa da solo – sento la paura della solitudine – agisco chiamando mio marito prima di addormentarmi, dicendo una preghiera, parlandomi con un dialogo interiore.

Esempio: vedo me che non sorrido più – mi ascolto e sento che sono triste – agisco per capire che cosa mi fa triste.

Il processo dell’azione si altera quando o il vedere o il sentire sono sfalsati.

Nel caso del vedere, ad esempio, non vedo ciò che c’è da vedere, ma vedo cose mie (irrisolte) in ciò che succede.

Esempio: mio figlio ha un volto triste: in realtà non vedo il suo volto ma vedo (richiamo) me che sono stato triste tutta l’infanzia (alterazione del vedere) – agisco quindi rispondendo non a lui, ma a me, e gli dico: “La vita non è mica fatta solo di piaceri”.

Esempio: sono a casa da sola (vedere): in realtà non vedo questo, ma mi viene in mente (semplicemente accade inconsciamente) tutte le volte che ero da sola e che non c’era nessuno in casa mia – sento non la paura di essere da sola di oggi, ma il terrore della bambina che era sempre da sola (sentire sproporzionato) – non riesco a stare da sola e vado a dormire da mia madre.

Esempio: vedo me che non sorrido più – ma non vedo solamente me, ma anche mio padre che mai sorrideva e mia madre che aveva sempre il volto e lo sguardo severo e – agisco: “E’ normale essere così, siamo di famiglia così!”.

Nel caso del sentire.

Esempio: vedo che mio figlio ha un volto triste – ma non sento la sua tristezza perché io, rispetto alla mia, ho dovuto anestetizzarmi perché nessuno a me chiedeva: “Cos’hai? Cosa ti fa triste? ecc” – per cui gli dico: “Dai, dai, che poi ti passa”.

Esempio: sono a casa da solo (vedere) – ho paura ma non posso permettermi di sentire di aver paura (sentire) – così faccio di tutto pur di andare a letto tardi, oppure non riesco ad addormentarmi, oppure prendo dei sonniferi, ecc (azione).

Esempio: vedo me che non sorrido più – ma non posso sentire ciò che ho dentro (ad esempio che sono pieni di desideri e di sogni ma il sentirli vorrebbe dire destabilizzare la situazione familiare) e così non li sento – e agisco dicendomi: “Quando si diventa grandi bisogna abbassare il tiro e accontentarsi!”.

FOLLE=ochlos. Mt utilizza due termini per dire due categorie di persone diverse: 1. laos=popolo: il popolo eletto, cioè quello ebraico; ochlos=folla: la gente, senza una connotazione religiosa. Quindi per chi è questo discorso, questa nuova alleanza? Non più solo per gli ebrei ma per tutti gli uomini (ochlos).

SALI’ SUL MONTE=lett. “il Monte”. Se dico è venuto “il” parroco, “il” dottore, “il” maresciallo, non s’intende uno qualsiasi ma proprio quello che tutti conosciamo. Allora “il” monte s’intende quello che tutti conoscono. Proprio quello lì.

Qual è “il” monte? Il Sinai! Sul Sinai Dio aveva dato a Mosè, per il solo popolo ebreo, l’alleanza. Chi era salito sul monte? Mosè (Es 19,20). Su quel monte Dio aveva dato a Mosé le sue leggi? Sul Sinai (Es 31,18). Chi era disceso dal monte? Mosè (Es 32,15). Sul “Monte delle Beatitudini”, il nuovo Sinai, Dio dà a Gesù, per tutta l’umanità, la nuova alleanza.

E SEDUTOSI=kathisantos=installatosi. Gesù non si siede per parlare meglio, ma si installa su questo monte e non se ne andrà mai più. Queste parole, cioè, hanno valore definitivo.

GLI SI AVVICINARONO I SUOI DISCEPOLI=sembra un particolare trascurabile, ma, invece, non lo è.

Cosa succedeva nell’A.T. se ti “avvicinavi” a Dio? Che morivi! Ma adesso avvicinarsi a Gesù, a Dio, è possibile per tutti! Gesù (il Dio in terra) e i discepoli adesso sono vicini: nell’A.T. Dio era lontano, inaccessibile, rinchiuso nella sua sfera divina nel settimo cielo (il paradiso era al terzo cielo). Addirittura chi voleva avvicinarsi a Dio veniva messo a morte: “Guardatevi dal salire sul monte e toccare le falde. Chiunque toccherà il monte sarà messo a morte” (Es 19,12; Lv 16,2; Nm 1,51). Ma adesso, con Gesù, Dio è vicino nell’uomo, così vicino che è dentro all’uomo.

DISCEPOLI=mathetes=discepolo. Qui è la prima volta in Mt che compare. Discepolo, disco in latino, indica colui che impara. Per imparare ha lasciato ciò che prima era la sua “sapienza”. Con discepolo nel vangelo si indica chiunque voglia mettersi a scuola da Gesù.

Ma non aveva visto le folle? Come mai qui adesso compaiono i discepoli? Allora Mt ci fa capire che ci sono quattro categorie di persone.

Gli apostoli=sono quelli che lo seguiranno anche fisicamente. Questi per Gesù faranno di tutto.

I discepoli=sono quelli che hanno visto e che hanno deciso di seguire Gesù. Sono i più vicini, sono quelli entrati nella sfera divina (vicino a Gesù sul monte). Questi per Gesù faranno molto.

Le folle=sono quelli che hanno visto, si sono entusiasmati, lo ascoltano ma devono ancora decidere di seguirlo. Questi per Gesù, per ora, faranno qualcosa.

Indifferenti e gli ostili=sono quelli che avranno troppo da perdere, i farisei, gli scribi, i ricchi, i potenti. Questi per Gesù non faranno niente.

Queste parole sono per tutti (Mt 7,24: “Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia”) perché sono parole che vanno bene per tutti. Sono per coloro che vogliono vivere da saggi, cioè da uomini liberi e liberati, vivi e vitali. Poi come saranno accolte dalle persone… questo è un altro discorso!

5,2 PRENDENDO LA PAROLA, INSEGNAVA LORO DICENDO:

PRENDENDO LA PAROLA=lett. “E aperta la sua bocca”. Dove ritroviamo in Mt la bocca? In Mt 4,4: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Satana pensa solo ad accumulare, mangiare (soldi, persone, trofei, scalpi, numeri telefonici, gloria, potenza, cose, ecc) Gesù invece a donare (apre la bocca e dona). Mt volutamente usa l’espressione “aprire la bocca” per ricordare che “non si vive di solo pane ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4). Sono parole del cuore, che se accolte, ti trasformano.

INSEGNAVA LORO DICENDO=didasko. Gesù insegna=didasko, cioè prende le categorie del vecchio testamento e le utilizza per il suo nuovo messaggio. I discepoli, invece, predicano=kerisso (stesso significato di evangelizzare; ker=cuore) indica quindi un parlare a partire dal cuore, da quello che si è vissuto e sperimentato.

5,3 BEATI I POVERI PER LO SPIRITO, PERCHÉ DI QUESTI È IL REGNO DEI CIELI.

BEATI=makarioi=beato, felice (felicità piena). All’inizio quest’aggettivo veniva utilizzato per indicare la condizione degli dei. Più tardi ancora andrà ad indicare tutto ciò che rende felice l’uomo: ricchezza, figli, onori, ecc.

Le Beatitudini sono al plurale. Le Beatitudini non sono rivolte al singolo come pratica ascetica ma sono rivolte ad una comunità perché si prenda a cuore il bene e il benessere degli altri.

Quindi, qual è il primo invito che Gesù fa? “Sii felice!”. Dio non è nemico della felicità ma l’autore della felicità. Avere fede è voler essere veramente felici noi e far felici gli altri. Tu sei felice?

“Quando sono andato a scuola, mi hanno chiesto cosa volessi diventare da grande. Ho risposto “felice”. Mi dissero che non avevo capito l’esercizio e io risposi che loro non avevano capito la vita (John Lennon)”.

Le Beatitudini ci ricordano che la felicità viene dall’essere: la felicità non si può produrre, non si può trattenere, non si può possedere; la felicità è una conseguenza dell’essere. La felicità per alcune persone è “avere ciò che si vuole”. Invece, la felicità vera è essere ciò che si può essere. Cioè, diventare e sviluppare tutto il potenziale interiore, le ricchezze del cuore e dell’anima che abbiamo dentro.

Le Beatitudini sono una strada, una possibilità che tu hai, per trovare la vera felicità, che non è dove a volte noi pensiamo. Essere poveri di pretese e di possesso ti dà il dono della libertà. Essere capace di vivere l’afflizione ti dà il dono di non fermarti di fronte al dolore (“E’ difficile; è faticoso; ma poi si sta male!”). Essere non violento rispetto all’aggressività, ti dà la dignità di essere il padrone delle tue azioni. Aver fame e sete di giustizia, di verità, di conoscenza, ti dà il dono della profondità e consistenza. Essere misericordioso ti dà in dono un cuore grande capace di contenere molte persone. Essere puro, trasparente verso di te, ti dà il dono della verità (di non mentirti) e dell’autenticità (di essere fuori quello che sei dentro). Essere un operatore di pace ti da il dono del coraggio. Essere perseguitato per quello che credi o fai, ti dà il dono della fedeltà a te e del senso del tuo vivere.

Ma un uomo così… con tutti questi doni… può non essere felice? Questa è una felicità che rimane, che va oltre ciò che succede oggi o domani, oltre il successo o l’insuccesso, l’approvazione o la disapprovazione. Questa, direbbe Francesco, è Perfetta Letizia! Queste sono potenzialità che sono dentro ogni uomo: “Tu puoi essere e vivere così”.

 I POVERI=“Beati i poveri, i miti, i sofferenti, ecc”. “Preferisci essere povero o ricco?”. Chi risponderà: “Povero”? Ma chi vuol essere così? Chi vuole essere povero? Nessuno? Chi vuole piangere e soffrire? Ma, nessuno… di sano. Nessuno vuol esser sfigato nella vita, represso, accondiscendente!!! Per questo bisogna capirle bene le beatitudini. Bisognerebbe essere davvero stupidi per dire che la povertà è una beatitudine.

A volte in passato questa beatitudine è stata tradotta così: “Beati i poveri, perché di qua, su questa terra sono poveri, ma di là saranno ricchi perché andranno i paradiso. Quindi, fate un po’ di penitenza di qua, rimanete poveri, che poi avrete un premio eterno”. E se uno voleva abbandonare la povertà gli veniva detto: “Ma come? vuoi perdere il Paradiso?”. Così i poveri rimanevano poveri e i ricchi, ricchi.

Solo che Gesù non si è mai sognato di dire che i poveri, i mendicanti, sono beati, anche perché a volte i poveri sono litigiosi, attaccabrighe, tirchi, avari e se fossero ricchi sarebbero dei tiranni. Quindi, ad esempio, non si fa il voto di povertà ma di condivisione sociale!

Povero=libero, non posseduto. Se guardate nei vangeli, Gesù ha fatto breccia con tutti: con i poveri, con i lebbrosi, con i samaritani e con i pubblicani, con le donne, con i religiosi (Nicodemo), con gli ebrei e con i pagani. Qual è l’unico fiasco che Gesù ha fatto? Con il ricco (Lc 18,18). Il ricco non ce la fa a lasciare un po’ delle sue cose: non ha delle cose, è posseduto dalle cose. E come sarà la sua vita? Tristissima! (Mt 19,16-26).

Il filosofo Diogene stava cenando con un piatto di lenticchie. Lo vide il filosofo Aristippo che viveva nell’agiatezza adulando il re. Aristippo gli disse: “Se tu imparassi ad essere ossequioso con il re non dovresti vivere di questa robaccia come le lenticchie”. Gli rispose Diogene: “Se tu avessi imparato a vivere di lenticchie non dovresti adulare il re”.

Poveri=ptochos. Il verbo ptossein indica: sia il rannicchiarsi per la paura, essere curvo, nascosto; sia il vivere senza possedere nulla. Quindi il povero qui è colui che vive senza attaccarsi e per questo può condividere. Non è colui che ama la povertà ma chi non ha necessità di essere ricco per vivere.

DI (PER LO) SPIRITO=l’espressione può essere interpretata esegeticamente in 3 modi.

  1. POVERI DI SPIRITO=“ghe manca un bojo… el ga poco!... arriva fino a là”; deficienza, mancanza, carenza di spirito; uomo di poca intelligenza (Cirillo d’Alessandria), stupidotto. Può Gesù aver pensato a questo? Difficile!
  2. POVERI NELLO/IN SPIRITO=l’accento viene posto sull’atteggiamento spirituale verso la povertà. Potrebbe indicare: “Sono quelli che prendono un atteggiamento umile… di non sviluppo… che preferiscono non accrescere… che pur potendo non vogliono realizzarsi…”. Ma nel vangelo Gesù non stima mai queste persone. Anzi!
  3. POVERI PER LO SPIRITO=qui la persona sceglie liberamente questa condizione. Non si tratta di fare l’elemosina ma di fare dei fratelli: per amore voglio che anche tu abbia le possibilità e il livello (se tu lo vuoi) che anch’io ho. Il valore che qui si vuol sottolineare è la condivisione, che è il senso del grande miracolo della condivisione dei pani. Dov’è il miracolo lì? Che se tu condividi tutti mangiano.

Felicità allora è condividere. Sono libero, non posseduto (quindi povero di aspettative, di gelosie, di bramosie, di invidie, di attaccamenti) e per questo posso e voglio condividere.

Gesù non vuole che ci spogliamo ma che vestiamo gli altri. Anche Gesù ha fatto così: e cos’ha condiviso con noi? La sua ricchezza: il Padre! Non se l’è tenuta per sé ma l’ha condivisa con noi perché tutti fossimo ricchi. Gesù quindi ci invita a farci poveri non per vivere da miserabili, senza niente (“così si capiscono gli altri!”), soffrendo e in indigenza, ma perché tutti abbiano ciò che è necessario.

Gesù non vuole che siamo ricchi ma signori. Il signore è colui che dà quello che ha. Il ricco, invece, è quello che trattiene per sé. E’ una beatitudine che ha conseguenze sociali.

Madre Teresa: “Le persone che aiutano i poveri sono amate da tutti; ma quelle che lottano per impedire la povertà sono odiate da tutti”.

Dom Helder Camara, vescovo del Brasile: “Quando aiuto i poveri, mi dicono che sono un santo”; quando chiedo: “Perché sono poveri?”, mi dicono che sono “comunista”.

San Giovanni Crisostomo: “Dio accoglie anche i doni che fate alla Chiesa, ma gradisce assai di più quelli che fate ai poveri”.

Henry Fielding dice: “La sofferenza dei poveri è notata meno dei loro reati, e per questo riduce la nostra pietà nei loro confronti. Periscono di fame e di freddo in mezzo ai loro simili, ma gli occhi dei benestanti li vedono soltanto quando chiedono l’elemosina, quando rubano e quando delinquono”.

Un giorno un uomo ricco consegnò un cesto di spazzatura ad un uomo povero. L’uomo povero gli sorrise e se ne andò col cesto, poi lo svuotò, lo lavò e lo riempì di fiori bellissimi. Ritornò dall'uomo ricco e glielo diede. L'uomo ricco si stupì e gli disse: “Perché mi hai donato fiori bellissimi se io ti ho dato la spazzatura?”. E l'uomo povero disse: “Ogni persona dà ciò che ha nel cuore”.

Helder Pessoa Camara (1909-1999), arcivescovo cattolico e teologo brasiliano. Ha lavorato per risolvere la miseria nelle favelas e per questo fu anche nominato “il vescovo delle favelas”. Si è occupato sia dell'incontro delle grandi religioni in pace sia della campagna “Un 2000 senza miseria”. È stato uno dei maggiori precursori della teologia della liberazione latinoamericana e uno degli esponenti che ha maggiormente integrato dimensione politica e dimensione spirituale della fede cristiana. E’ stato fautore di quella che sarebbe stata chiamata “opzione preferenziale per i poveri”. E’ famosa la sua frase: “Quando io do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista”.

Giovanni Melchiorre Bosco, meglio noto come don Bosco (1815-1888), fondatore delle congregazioni dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Don Bosco decise di scendere per le strade della sua città (Torino) e osservare in quale stato di degrado fossero i giovani del tempo. Incontrò così i ragazzi che, sulla piazza di Porta Palazzo, cercavano in tutte le maniere di procurarsi un lavoro. Di questi giovani molti erano scartati perché poco robusti e in poco tempo costretti a finire presto sottoterra.

Visitò, poi, le carceri e inorridì di fronte al degrado nel quale vivevano giovani dai 12 ai 18 anni, rosicchiati dagli insetti e desiderosi di mangiare anche un misero tozzo di pane. L'8 dicembre 1841 incontrò, prima di celebrare Messa, Bartolomeo Garelli nella sacrestia della chiesa di San Francesco d’Assisi. Questi fu il primo ragazzo che si unì al suo gruppo. Don Bosco aveva deciso così di radunare intorno a sé tutti i ragazzi degradati della zona, dai piccoli spazzacamini agli ex detenuti. E da qui nacque l’opera di don Bosco verso i ragazzi “poveri”.

Diceva: “Quando si tratta di qualche cosa che riguarda la grande causa del bene, don Bosco vuol essere sempre all’avanguardia del progresso… Non mandate a domani il bene che potete fare oggi, perché forse domani non avrete più tempo…”.

La scelta della povertà (cioè di condividere, di abbassarsi un po’ per innalzare gli altri) non è la scelta di essere poveri, mendicanti: è la scelta, invece, di essere liberi. Non sono costretto dalla mia paura ad accumulare, a difendere, a trattenere, ad avere.

Sono libero di perdere un po’ di quello che ho, anche se altri non farebbero così…

Sono libero, almeno un po’, dai miei mostri interiori: li conosco, ne so il nome e li gestisco, perché sono il capitano della mia nave…

Sono libero di perdere la mia reputazione per difendere i miei ideali…

Sono libero di fare le mie scelte anche se non sono approvate…

Sono libero di esprimere quello che vivo anche se mi mostro debole…

Sono libero di piangere quando sono ferito, senza dover dimostrare di essere invulnerabile…

Sono libero di cercare quello che mi nutre e mi sazia senza dover prendere quello che gli altri mi propongono…

Sono libero di fare la mia strada e di non percorrere quella degli altri…

Sono libero di trovare i miei maestri e di non subire quelli che altri mi vogliono imporre…

Sono libero di essere me stesso, quello che sono, anche se può non piacere a qualcuno…

Sono libero di dire “sì” e dire “no” anche se deludo qualcuno o l’autorità…

Sono libero di fare le mie scelte e di prendermi le conseguenze di ciò...

Sono libero di essere grande, adulto e di pensare con la mia testa e non con quella di altri…

Sono libero di provare, sperimentare e sbagliare, anche se c’è chi mi condanna per questo…

Sono libero di trovare la mia verità e di non prendere quella già pronta di altri…

Sono libero perché sono figlio di Dio.

D’altronde cosa dice la Bibbia: “Beati coloro che muoiono nel Signore perché le loro opere li seguono” (Ap 14,13). Terminata questa esistenza lasceremo di qua tutto: titoli, soldi, ricchezze, campi, onori, perfino il nostro corpo. Cos’è, l’unica cosa!, che ci seguirà? Il bene che abbiamo fatto agli altri. Questo è morire nel Signore!

PERCHE’ DI QUESTI E’ IL REGNO DEI CIELI=il regno dei cieli non è mai nei vangeli il regno che c’è dopo la morte, il paradiso, ma una qualità di vita “divina”, un vivere vero, che inizia qui e che non finisce mai (per cui supera la morte).

Cos’era successo? Che i re d’Israele erano stati uno peggio dell’altro: un disastro totale. Dio non aveva voluto la monarchia, perché Dio non tollera che ci sia un uomo che possa comandare su altri uomini, ma Israele l'aveva voluta nonostante la contrarietà del Signore. Ed il Signore attraverso i profeti diceva: “Guardate che i vostri re prenderanno i vostri figli per farne guerrieri, le vostre figlie per farne le loro serve, prenderanno i vostri campi migliori… Volete ancora un re?”. “Sì! Non ci importa, noi vogliamo un re come gli altri popoli”. “E va beh, prendetevi il vostro re…!”. Furono uno peggio dell’altro: guerre fratricide, occupazione delle potenze vicine, esilio. Allora si era creata l’aspettativa del regno di Dio o dei cieli, cioè di un regno dove Dio stesso, tramite un suo re/Messia avrebbe governato Israele.

Per Gesù, invece, il regno di Dio è il regno dove Dio stesso regna, cioè dove un uomo vive in maniera divina. E come? Seguendo le Beatitudini!

 

Pensiero della Settimana

 

La vita è fatta di alcuni momenti felici e di molti ordinari.

Poiché però molte persone non vivono mai “alcuni momenti felici”,

scambiano l’ordinarietà per la felicità (i sognatori)

oppure affermano che la felicità non esiste (i realisti).