I nemici dell’uomo sono quelli di casa sua

XIII domenica del tempo Ordinario

n.15.36 Domenica 2 Luglio 2017

Prima lettura: 2 Re 4, 8-16 Salmo: Sal 88 Seconda lettura: Rm 6, 3-11 Vangelo: Mt 10, (34) 37-42

 

 

Domenica scorsa Gesù aveva detto chiaramente: “Volete seguirmi?”. “Sì, Signore, certo!”. Beh allora sappiate che avrete contro tutto il mondo: non solo l’autorità e il potere, ma perfino la propria famiglia.

Il vangelo di oggi parte dal versetto 37, ma non si capisce perché siano stati saltati i 3 versetti precedenti che sono necessari per capire quelli di questo vangelo. Per questo riportiamo anche i 3 versetti precedenti. Perché la spada è questo separarsi da chi ci impedisce di seguire Gesù, chiunque esso sia.

 

10,34 NON CREDIATE CHE IO SIA VENUTO A PORTARE PACE SULLA TERRA; SONO VENUTO A PORTARE NON PACE, MA SPADA.

r NON PACE… MA SPADA=spesso noi ci siamo immaginati che i cristiani siano quelli buoni, quelli amati da tutti, quelli che sono in pace con tutti, quelli che vanno d’accordo con tutti. Ma nei vangeli questa cosa non c’è! Gesù, sicuramente, non andava d’accordo con molti.

La pace del vangelo non è l’assenza di conflitti, ma la libertà nei conflitti. Per questo, dissipando ogni equivoco su una pace calata dal cielo senza alcun coinvolgimento degli uomini, Gesù dichiara: “Non pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare una pace, ma una spada” (Mt 10,34).

La spada a quel tempo serviva per uccidere (Mt 26,52: “Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno”).

Ma nella Bibbia l’immagine della spada è conosciuta e ha significato di dividere: “Prendete la spada dello Spirito”, cioè della parola di Dio (Ef 6,17; Sap 18,15; Is 49,2; Ap 1,16; 2,12). La spada di Gesù è quella della parola di Dio, “che è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione della vita e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla e sa discernere i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12). Che qui si intenda divisione è confermato anche da Lc 12,51: “Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione”.

 

35 SONO INFATTI VENUTO A SEPARARE L’UOMO DA SUO PADRE E LA FIGLIA DA SUA MADRE E LA NUORA DA SUA SUOCERA: 36 E NEMICI DELL’UOMO SARANNO QUELLI DELLA SUA CASA.

r SONO INFATTI VENUTO A SEPARARE…=dikazo vuol dire proprio dividere in due.

Ma questa è una legge della vita, anzi è la legge della vita. Se tu non ti separi da tua madre, nel grembo materno, muori! Se tu non tagli il cordone ombelicale alla nascita, tu muori! Se tu non ti distacchi psicologicamente da tua madre, tu non divieni te stesso.

Separarsi è poter dire: “Io sono io e tu sei tu. Perché se io non sono io, allora io sono te e quindi io vivo la tua vita e non la mia”.

 

A tutti noi piace il gruppo: nel gruppo ci possiamo nascondere, omologare, dissolvere. C’è un’identità di gruppo e anche se io non ho la mia, non è importante. Infatti, chi è senza identità ama moltissimo i gruppi (anche due persone sono un gruppo!) perché sono una compensazione alla propria mancanza di identità. Nel gruppo ti senti sicuro, ma tu non sei tu: tu sei fuso. L’abbraccio della mamma è meraviglioso ma se il bambino non si differenzia rimane fuso e confuso con la propria madre: perde se stesso.

La spada è necessaria per differenziarsi, per stabilire dei confini, per mettere dei confini: “Io-tu; fino a qui-non oltre; io sono io, tu sei tu; io non sono te; io non faccio come te”.

Più un uomo è evoluto, individuato, e più è differenziato: come lui, cioè, non c’è nessuno. Una volta mi dicevano: “Ma tu sei proprio diverso da tutti!” e io ci stavo male (e in effetti era una critica). Ma oggi, invece, dico: “Per fortuna!”. Se non fosse così, sarei come gli altri e io non sarei io.

E l’amore è proprio questo: spesso gli innamorati tendono ad omologare l’altro (“pensa come me; abbiamo gli stessi gusti; ci piacciono le stesse cose, ecc”) ma, in realtà, l’amore è differenziarsi. Perché se non c’è differenza, in realtà non amo te, ma me. Solo se c’è differenza posso amarti, perché tu non sei come me.

 

r E NEMICI DELL’UOMO SARANNO QUELLI DELLA SUA CASA=oikiakoi=domestici (oikia=casa). E perché sono nemici?

Perché un nemico esterno lo sai, lo senti, lo vedi, che non ti sopporta, che ti odia, che ce l’ha con te. E’ chiaro, è evidente: non vi sopportate! Vi detestate a sangue!

Ma quelli di casa no! Quelli ti nascondono l’insidia, il tranello.

“Qui a casa hai tutto: perché vuoi andartene e spendere i soldi?”: stai barattando l’autonomia con la dipendenza dai tuoi genitori.

“Lo facciamo per il tuo bene”: allora se lo fate per il mio bene, lo stabilisco io il mio bene!

“Con tutto quello che abbiamo fatto per te”: ma cos’è, un debito a vita da risarcire?

“Ai figli si dà tutto”: no, si dà la vita (che è tutto!) ma non si dà tutto, perché se si dà tutto (li si vizia, li si fa narcisisti) non avranno più desiderio di conquistarsi niente.

 

Per la società giudaica l’adesione a Gesù era equiparata a un’idolatria, e la proclamazione della buona notizia a un’incitazione all’apostasia. Che Gesù si consideri il Figlio di Dio verrà ritenuto una bestemmia meritevole di morte dal sommo sacerdote (Mt 26,65: Gesù verrà condannato proprio perché si dichiarava Figlio di Dio) e le autorità considereranno gente maledetta quanti si lasciano conquistare dal messaggio del Cristo (Gv 7,44-49 “I farisei replicano alle guardie: “Forse vi siete lasciati ingannare anche voi? Forse gli ha creduto qualcuno dei capi, o fra i farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!”.”).

E cosa comporta seguire Gesù e quindi abbandonare l’antica tradizione religiosa?

L’A.T. non aveva molti dubbi. La Legge di Mosè, ritenuta la massima espressione della volontà divina, dice: “Se tuo fratello, figlio di tuo padre o figlio di tua madre, tuo figlio, tua figlia, la moglie che riposa sul tuo petto, l’amico che è come la tua anima, ti incita in segreto dicendo: “Andiamo a servire altri dei”, che non hai conosciuto né tu né i tuoi padri, tra le divinità dei popoli che vi circondano, vicini o lontani, da un capo all’ altro della terra, tu dovrai ucciderlo, la tua mano sarà la prima contro di lui per metterlo a morte, quindi la mano di tutto il popolo; lo lapiderai e morirà, perché ha cercato di allontanarti dal Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla casa di schiavitù” (Dt 13,7-11).

Dobbiamo sempre ricordare che chi ha ucciso Gesù non lo ha fatto contro Dio, ma per Dio: l’A.T. diceva che un uomo così, come Gesù, doveva esser soppresso in nome di Dio. Un uomo che sovverte il padre e i padri, deve essere ucciso (per l’A.T.)

 

37 CHI AMA PADRE O MADRE PIÙ DI ME NON È DEGNO DI ME; CHI AMA FIGLIO O FIGLIA PIÙ DI ME NON È DEGNO DI ME;

r CHI AMA PADRE O MADRE PIÙ DI ME NON È DEGNO DI ME…=il verbo “amare” è fileo che vuol dire “voler bene” (amare è agapao); la filia (il sostantivo) è l’amicizia e l’aggettivo filos è “essere caro, gradito”. Il verbo fileo indica l’atteggiamento di bene, naturale che si ha nei confronti di una persona, in modo particolare delle persone che ti sono care e dei legami di sangue.

Lc nel passo parallelo (Lc 14,25-27: “Siccome molta gente andava con lui, egli si voltò e disse: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre…”: è un criterio per seguirlo! Molti gli vanno dietro (solo che hanno altri al primo posto nella gerarchia delle relazioni), ma pochi lo seguono (solo quelli che hanno Dio, cioè la Vita, la Libertà, il Maestro, al primo posto) ha il verbo miseo (da cui ad esempio misogeno=odio, rifiuto, repulsione, avversione, per le donne) e non dice “non mi ama di più”.

Lc ha “odiare” perché indica un rifiuto totale: c’è qualcosa che non è compatibile (una strada è buona l’altra no). Il verbo miseo vuol dire proprio odiare, detestare, disprezzare. Mentre “amare di più” si tratta di un confronto tra due cose buone, di cui una è meglio. In Lc Gesù dice che c’è qualcosa che non è peggiore ma incompatibile.

Alcune persone dicono: “E’ facile dire così! Vuol dire che pensi solo a te! Sei egoista!”. Ma basta leggere il vangelo perché tra le cose da odiare cosa c’è? Anche la propria vita (Mt 10,39)!

Nel vangelo di Tommaso all’odio per il padre e la madre si oppone poi un amore simile a quello di Gesù: “Colui che non odia suo padre e sua madre come me, non è adatto ad essere mio discepolo. E colui che non ama suo padre e sua madre come me, non può divenire mio discepolo” (101).

 

r UN PADRE, UNA MADRE…=qui non c’è l’articolo e si dice “un” padre o “una” madre, non tanto il padre o la madre.

Padre può essere chiunque: padre è quella persona a cui tu obbedisci, a cui sottostai, del quale accetti le regole perché lui le ha dette, a cui ti rifai.

Quando dici: “Tutti fanno così!; l’ha fatto anche lui; faccio come tutti!; cosa bisogna fare?; cosa dice la chiesa?; cosa è giusto?; dimmi cosa devo fare?; dammi un consiglio…” tu stai facendo di una persona o della società “il” tuo padre e tu diventi suo servo. Tu sei figlio di Dio!; tu sei un uomo libero. Tu sei nato libero, non diventare mai schiavo di nessuno.

Quando tu fai come tutti; quando hai paura di esporti per il giudizio sociale; quando pensi sempre a “cosa penserà la gente”, quello è “il” tuo padre: non sei più il padrone, il capitano della tua vita e del tuo vascello ma lasci e concedi il timone ad altri. Tu sei figlio di Dio!; tu sei un uomo libero. Tu sei nato libero, non diventare mai schiavo di nessuno.

Quando tu dici: “Cosa ne penserà il mio fidanzato?; Cosa ne penseranno i miei genitori? E il mio capo? E gli amici? E se faccio brutta figura? E se poi la gente ride di me…” tu stai facendo di quello “il” tuo padre. Tu sei figlio di Dio!; tu sei un uomo libero. Tu sei nato libero, non diventare mai schiavo di nessuno. Perché ci chiediamo sempre: “Cosa pensano gli altri?”. “E tu cosa pensi di te?”.

Lo schiavo ha bisogno dell’autorizzazione o dell’approvazione di qualcuno per fare qualcosa: “Posso? ti va bene? Ti piace? Si può? E’ permesso?”. L’uomo libero, come Gesù, non chiede permesso a nessuno: se vuole fare una cosa la fa e si prende le responsabilità delle sue conseguenze.

Mt 23,8-9: “Voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo”. Tu sei figlio di Dio!; tu sei un uomo libero. Tu sei nato libero, non diventare mai schiavo di nessuno. Nessuno è tuo padre perché solo Lui è tuo Padre. Quindi ubbidisci solo a Lui.

 

Prima che il commercio degli schiavi fosse abolito, Abramo Lincoln, assistendo alla messa all’asta di una giovane donne nera, prese parte alle offerte, con grande stupore degli astanti, essendo nota a tutti la sua posizione in merito alla schiavitù. Lincoln fece l’offerta più alta e diventò proprietario della schiava. Appena ricevuti i documenti di proprietà, Lincoln li mise in mano alla donna dicendole: “Tieni, ora sei libera”. La donna prese i documenti e chiese: “Signore, posso andare dove voglio e fare ciò voglio?”. “Certo!”. “Allora, signore, io voglio venire con voi e servirvi per il resto della mia vita”. “Perché signore, se si è amati da un uomo libero 1. si è davvero amati e 2. si è davvero liberi”.

 

Francesca Saccà, una psicoterapeuta scrive:

“Ho deciso di vivere come uno spirito libero che non scambia la libertà con la fuga ma ha imparato che vivere la vita in libertà significa semplicemente essere sinceri con se stessi.

Non tollero le catene, di qualunque materiale esse siano. E non mi piace metterle agli altri, perché conosco quanta sofferenza provocano.

Credo fermamente che l’aspetto più bello delle relazioni sia la spontaneità con cui gli esseri umani le gestiscono. Pertanto non ho bisogno di pretendere amore e ringrazierò solo chi vorrà offrirmi affetto sincero.

Mi sono ripromessa di liberare la mia anima ogni volta che sarà arenata in una piazzola di sosta e di ripartire, quando sarà necessario.

Perché il vero spirito libero non è quello privo di legami ma quello libero di legarsi a ciò in cui crede”.

 

r NON E’ DEGNO DI ME=acxios è ciò che vale, che ha valore e quindi se non vale non è degno, non è adatto.

Non c’è cattiveria di Gesù ma semplicemente capacità. Come dire: “Viene un uomo che chiede al bagnino: “Voglio buttarmi dal trampolino di 10 metri”. Il bagnino lo guarda e gli dice: “Sa nuotare?”. “No!”. “E come pensa di fare!? Mi dispiace, non penso proprio!!!”. Non è che Gesù rifiuti, è che solo un uomo libero lo può seguire.

 

Qual è il nemico più pericoloso di Gesù nei vangeli? I suoi famigliari!

Ma cosa vuol dire “odiare”? Dobbiamo odiarli? Assolutamente no! Non si tratta di avercela con qualcuno; non si tratta di avercela con chi ti ama. Anzi: ringrazia chi ti ama e sii grato per l’amore (poco o tanto) che hai ricevuto. Nulla ti era dovuto.

Anche perché odiare non indica nella Bibbia un sentimento ma un’azione, un’opposizione: “Io non voglio fare questo”, per cui l’odio è ciò che bisogna provare per non fare quella cosa. Si tratta però di rimanere liberi. Perché quando si è legati, nel senso di attaccati a qualcuno o a qualcosa, il rischio è quello di perdere la propria libertà, di mettere cioè qualcos’altro prima della propria missione (cioè di Gesù).

Si usa “odiare” per indicare che in certe situazioni non si può venire a patti, a compromessi: bisogna proprio rifiutare la situazione e bisogna essere radicali, decisi e risoluti. 

Ora se questa frase non fosse scritta nel vangelo e non fosse scritta proprio così, non potremo pensarla di Gesù. Gesù ha detto che bisogna odiare, padre, madre, fratelli, moglie e figli? Sì ha detto proprio così.

D’altronde Gesù questa frase la dice spesso e frequentemente nei vangeli: questo vuol dire che è un pericolo consistente, reale, subdolo e che si insinua senza accorgersene.

D’altronde è anche normale: le persone vicine ci influenzano, è ovvio. L’amore è un’influenza: una bella influenza, in genere, ma lo è. Mio marito, mia moglie, i miei figli, influenzano le mie scelte, condizionano i miei pensieri e i miei comportamenti. Guai se non fosse così. Questo è normale. Questo è buono. E’ assurdo pensare di vivere senza farsi condizionare; è intelligente però decidere da chi farsi condizionare e quanto.

Fin qui non c’è problema: ma quando chi amo diventa “un ostacolo” al cammino verso il mio Sé, verso la mia strada, verso la mia realizzazione, quando chi ama disapprova il mio seguire il Signore, allora ci si trova di fronte ad un bivio: seguo i miei cari e così non perdo il loro amore e la loro approvazione? Ma così faccio di loro il mio Dio. O seguo il Signore e perdo il loro amore e la loro disapprovazione? E lascio che solo Dio sia il mio Dio?

 

Tutti noi dobbiamo staccarci dal genitore interiore, chiunque esso sia (moglie, marito, figli, padre, madre, capo, Chiesa, colleghi, amici, Super-Io, ecc). Il genitore interiore comanda la nostra vita e dice: “Questo non si fa (e tu non lo fai; se lo fai ti senti in colpa o ti vergogni o ti punisci); vergognati (e tu ti senti uno schifo); ti ho detto di no (e tu per paura delle ritorsioni non lo fai); ma sai quanto mi fai star male (per paura di far soffrire qualcuno che ci usa per sé noi ci tratteniamo); e la gente cosa dirà (per il timore di essere sottoposti a giudizio ci tratteniamo), ecc”.

Finché il genitore interiore comanda le nostre vite noi non siamo liberi. Il vangelo dice questa cosa dicendo: “Se uno mi vuol seguire deve odiare, cioè non seguire questi genitori interni”.

Questa è la prima regola per seguire Gesù: Gesù è più della famiglia (dove per famiglia si intende: la propria famiglia, genitori, gruppo, clan, società, cultura, interessi della categoria). Il punto è che spesso tutto questo è inconscio o poco consapevole.

Allora tutti questi “legami”, questi genitori interiorizzati, questo Super-Io dentro di noi, queste autorità che ci sono dentro di noi, come dei giudici, come dei tiranni, ci costringono a fare e a vivere delle cose che non vogliamo e che non sono per noi.

 

Una famiglia da varie generazioni ha un’osteria che adesso è un rinomato ristorante, che il padre porta avanti con grande successo e soddisfazione. Il figlio unico è l’incaricato a portare avanti l’attività: ma lui è un’artista, è un compositore di musica. Il padre non gli ha mai detto niente (e credo, visto che un po’ lo conosco, che ci starebbe male ma che capirebbe) ma il figlio si sente in dovere di continuare l’attività dei genitori. Sa che se non lo fa, li deluderebbe (è così!). Sa che lì avrebbe un posto e un lavoro sicuro e già fatto, ma non è il suo posto e non si è creato lui quel lavoro!

Deve proprio odiare il “genitore interiore” per essere libero altrimenti per tutta la vita farà quello che gli altri si aspettano da lui e ciò che è peggio perderà se stesso. Se non taglia, se non “odia”, vivrà non la sua vita ma quella di altri.

 

r CHI AMA PADRE PIU’ DI ME=il Vescovo di una diocesi si è sempre appoggiato ad un saggio giovane, intelligente e brillante prete che ha tutta la sua infinita stima. Ora, il vescovo vuole dare al suo giovane consigliere un incarico in curia. Il prete non vuole assolutamente questo incarico perché “star a far carte” lo repelle: lui vuole stare con la gente. Che si fa? Si accetta ciò che “il padre” dice e si ottiene la sua approvazione ma si lascia morire il nostro Sé (=il Dio in noi) o si dice di no accettando le conseguenze e le sue ire? Odiare il padre è dirgli: “Grazie della proposta, mi fa felice che abbia pensato a me per questo incarico così importante ma non è la mia strada. E tra la mia strada e il suo incarico, io non posso che seguire la mia strada”.

Ma questo non significa distaccarsi solo dal padre ma anche dai padri, cioè dalle tradizioni precedenti. “Noi abbiamo fatto così…”: “Voi, ma noi non siamo voi!”. Gesù ha già parlato dell’incompatibilità del suo messaggio (vino nuovo) con le vecchie strutture religiose e sociali (otri vecchi), incapaci di resistere all’impatto da lui portato, e della necessità di un cambio radicale: “vino nuovo in otri nuovi” (Mt 9,17).

Ora l’immagine del vino nuovo e dell’otre vecchio viene da Gesù applicata al nucleo familiare tenacemente radicato nella trasmissione delle tradizioni del passato, dove i padri resistono alla novità portata dai figli. Quindi separarsi dal padre è separarsi dalle tradizioni vecchie. La vita è nel nuovo. Nel vecchio, la vita c’è già stata.

 

r CHI AMA MADRE PIU’ DI ME =una ragazza di 30 ha una madre che le dice sempre: “Oggi non mi hai telefonato! (Ma bisogna telefonare tutti i giorni?) Perché non mi dici dove sei andata? (Ma uno a 30 anni deve ancora rendere conto ai propri genitori?) Quando mi porti di qua… quando mi porti di là? (Ma sua figlia non è suo marito o la sua taxista!)”. La figlia la odia (e qui si intende proprio il sentimento) ma poi si sente in colpa e ogni giorno le telefono e ogni giorno passa per casa sua. Solo che quando fa così si sente controllata e in gabbia e ci sta malvolentieri e litiga sempre, al che la madre le dice: “Con tutto quello che io ho fatto per te!”. Cosa vuol dire amare di più Gesù? Odiarla? No! Ma dire con decisione: “Mamma, ti voglio bene. Però io ho la mia vita e tu la tua. Sono tua figlia ma adesso alla mia vita ci penso io. Te ne parlerò se lo vorrò e se sarai degna della mia fiducia. E non sono a tuo servizio!”. Se ti va bene, bene, se non ti va bene, sappi che farò così. Odiare è prendere le distanze, non essere attaccati, non essere schiavi di questi “oscuri” padroni.

r CHI AMA IL FIGLIO O LA FIGLIA PIU’ DI ME=un uomo di 60 anni, vedovo, dopo 10 anni di solitudine ha trovato una compagna. I suoi figli sono tutti contrari: “E nostra madre? E la porti in casa “nostra” (non è “vostra”: voi avete vissuto lì da piccoli ma non è “vostra”, è “sua”!)? Alla tua età? A noi non piace!, ecc”. Amare di più Gesù è prendere le distanze dentro, non essere attaccati e poter dire: “Capisco: vostra madre sarà vostra madre e nel vostro cuore questa mia nuova compagna non la sostituirà mai. Ma io sono ancora vivo e ho voglia di vivere e di amare, di essere felice. Spero che capiate… In ogni caso questa è la mia scelta”.

 

38 CHI NON PRENDE LA PROPRIA CROCE E NON MI SEGUE, NON È DEGNO DI ME.

r CHI NON PRENDE LA PROPRIA CROCE =stauros=croce.

r LA PROPRIA =non si è santi perché si hanno tante croci o perché si va a prendersi le sofferenze degli altri! Si è masochisti! Qui si parla di qualcosa che è personale, solo tuo. Prova a vivere come Gesù… e capirai se non è croce!

 

Purtroppo noi associamo “croce” a tutta una serie di frasi, che niente hanno a che vedere col vangelo: “Ognuno ha la sua croce”; “E’ la croce che il Signore ti ha dato”; “E’ la mia croce”.

Un giorno Madre Teresa stava curando un uomo terribilmente ammalato e terribilmente sofferente. Non sapendo come rincuorarlo la Madre gli disse: “I tuoi dolori sono i baci di Gesù!”. “Allora, disse l’uomo, dica a Gesù che si tenga i suoi baci”. La sofferenza non viene e non c’entra con Dio.

 

Ma se c’è un’immagine incompatibile col Dio del Vangelo è quella che Dio ti manda le croci. Dio non manda nessuna croce di questo tipo: Dio non manda le sventure. Anzi, se può, ti aiuta a liberartene! Quando noi parliamo di “croci” pensiamo alle tribolazioni della vita: conflitti insanabili, malattie personali, tumori, mariti che picchiano, figli sbandati, situazioni di disagio permanente.

Se noi guardiamo nel vangelo, però, mai delle 73 volte che è citata la parola “croce” (stauros) viene associata a tribolazione. E nel corso della storia solamente dal V secolo, purtroppo, si assocerà croce=sofferenza (lo ritroviamo in una preghiera di un papiro).

Nei vangeli appare per 5 volte l’invito di prendere la croce (Mt 10,38; 16,24; Lc 9,23; 14,27; Mc 8,34). Gli evangelisti si guardano bene dall’usare verbi come phero=portare oppure dechomai=accogliere, accettare: questi verbi indicano uno che ti dà qualcosa e tu che la prendi. Quindi Dio ci darebbe la croce e tu passivamente te la prendi. Questi verbi non vengono mai utilizzati. Gli evangelisti usano sempre i verbi lambano=prendere e bastazo=sollevare che indicano il preciso momento in cui il condannato afferra con le proprie mani la croce (del supplizio).

Quindi gli evangelisti parlano sempre di un movimento volontario, dove nessuno è costretto da nessuno. Non c’è qualcuno che ti dà la croce ma è l’uomo che decide volontariamente, per il suo bene, di prendere quella croce.

 

Ma qual è allora questa croce che uno volontariamente prende? La sequela: “Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me.” E’ il vivere da uomini liberi, la vera croce.

Croce è accettare che vivere come Gesù comporti l’opposizione, la denigrazione, la maldicenza, la derisione: “Se hanno chiamato Belzebul il padrone di casa, quanto più i suoi familiari!” (Mt 10,25); “Sarete odiati da tutti a causa mia!” (Lc 21,17).

Vivi come Gesù e sarai deriso. Ti diranno che sei un idealista e un utopico, che vivi fuori dal mondo.

Vivi con intensità, abbracciando, accarezzando, amando e ti diranno che hai problemi con l’affettività.

Vivi non risparmiandoti, dandoti tutto in tutto, nella generosità e ti diranno che sei ingenuo.

Vivi mettendo al primo posto i valori del cuore e della vulnerabilità e ti feriranno.

Vivi credendo negli altri e ti diranno che hai secondi fini.

Vivi sorridendo, cantando, concedendoti tempo, lavorando solo il necessario e ti diranno che non sei un buon esempio per la società.

Vivi diversamente dagli altri; vivi la tua unicità e originalità; vivi con fantasia e creatività e ti diranno che “sei pericoloso”, che non sei inquadrabile nel sistema; sarai un sospettato e diffideranno di te.

Vivi a partire dal cuore, appassionato, innamorato, fuoco che brucia e ti diranno che sei matto, un pazzo. Questa è la croce: accettare le conseguenze del vivere come Gesù. Puoi anche non vivere così. Ma se vivi così, poiché è un modo di vivere diverso, altro, sai che, come hanno fatto a Lui, così in qualche modo, faranno anche a te.

 

Sulla casa di un uomo c’è un ramo, un lungo pezzo di legno, per niente bello, secco e molto vecchio. Un giorno un ospite chiede all’uomo: “Ma che ci va quel ramo di legno lì sulla parete?”. L’uomo: “Avevo 8 anni e il lago era ghiacciato; mio nonno mi disse di non andarci perché era pericoloso, ma io ci andai lo stesso. Come entrai il ghiaccio si spezzò e io finii dentro all’acqua. Mio nonno prese quel pezzo di legno e io mi aggrappai con tutte le forze al ramo e lui mi tirò fuori. Tre giorni dopo mio nonno morì. Quel pezzo di legno sta lì perché a quel legno io devo la vita”.

 

Noi guardiamo al Crocefisso e lo portiamo al collo perché la Croce ci fa vivere.

Quando ci viene da dire: “Basta!”, la Croce è la forza per andare avanti: “Dai, vai avanti”.

Quando ci viene da dire: “Ma chi me lo fa fare!?”, la Croce di ti dice: “Il tuo amore!”.

Quando ci vien voglia di adattarci, la Croce ti dice: “E’ questo che vuole la tua anima’”.

Quando ci viene voglia di fare come tutti, la Croce ci dice: “E’ questo che desidera il tuo cuore”.

Nella Croce c’è la vita non perché la vita è una croce ma perché nella Vita vera della Sua croce (il suo modo di vivere) tu trovi la Vita vera per la tua croce (per il vivere come Lui).

 

39 CHI AVRÀ TENUTO PER SÉ LA PROPRIA VITA, LA PERDERÀ, E CHI AVRÀ PERDUTO LA PROPRIA VITA PER CAUSA MIA, LA TROVERÀ.

r CHI AVRÀ TENUTO PER SÉ LA PROPRIA =un ricco uomo è stato lasciato dalla moglie. Ora, lui è ricco, di bell’aspetto, ha la barca, casa al mare, in montagna, insomma è un ottimo “partito” e ha la fila alla porta. Sa che molte donne si sottometterebbero per essere sue compagne. La “vita” qui è: “Ho un buco dentro e, visto che posso, mi prendo una bella donna (ho la fortuna che posso scegliere fra tante!), e tutto è come prima!”. Non tenere per sé la propria vita è: “1. Devo lasciare andare chi mi ha lasciato: se non faccio il lutto, se non seppellisco ciò che c’era prima farò nient’altro chiodo schiaccia chiodo. 2. Devo imparare e capire cosa non ha funzionato e soprattutto cosa io debbo imparare da ciò che è successo. 3. Non posso prendermi “una” donna ma quella che mi fa vibrare il cuore. E se non c’è per ora, non me ne prenderò altre”.

E’ facile dirsi così? E’ facile rinunciare al: “Mi prendo la prima che mi capita?”. E’ facile dirsi di no?

 

r E CHI AVRÀ PERDUTO LA PROPRIA VITA PER CAUSA MIA, LA TROVERÀ =per vivere bisogna morire (ma non nell’ultimo giorno ma ogni giorno!). Il feto per vivere deve morire alla vita fetale. E prima avviene la morte… e poi la vita. Perdere la propria vita vuol dire che la vita non è una fotografia cristallizzata. In certi giorni mi dovrò dire:

“Adesso si cambia”… e si lascia morire quello che si faceva prima.

“Adesso cambio amici”… perché con quelli di prima non c’è più niente.

“Adesso devo cambiare io”… altrimenti rimango fermo e non vado da nessuna parte. “Adesso devo dirmi: “No… stop… basta… fine…” perché ci sono delle cose che mi fanno male.

“Adesso devo perdonare”… altrimenti vivrò nel rancore e nel passato tutta la vita.

E non è morire? Per dire sì a qualcosa bisogna prima dire no a qualcos’altro. Per vivere una vita, bisogna prima far morirne un’altra. Per essere diversi, bisogna lasciare ciò che si era. Per cambiare, bisogna osare lasciare l’immagine precedente. Chi non sa morire, in realtà, non sa e non può vivere.

 

40 CHI ACCOGLIE VOI ACCOGLIE ME, E CHI ACCOGLIE ME ACCOGLIE COLUI CHE MI HA MANDATO.

r CHI ACCOGLIE VOI ACCOGLIE ME…=in Mc 9,37 c’è una frase simile: “Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome (qui sono simbolo dei piccoli perché i discepoli discutevano di chi fra di loro fosse il più grande!), accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”.

Lì i mikroi sono i bambini, qui i discepoli: in ogni caso (visto che i discepoli sono perseguitati) sono persone deboli, emarginate, escluse, ultime. Dio allora non è dalla parte dei potenti (che si difendono da soli!): Dio è dalla parte di chi non può difendersi, di chi è ultimo, chiunque esso sia.

 

Dio è nell’uomo. Chi vi accoglie, accoglie il Padre, chi mi ha mandato. Il tempio di Dio, adesso è l’uomo: “Chi accoglie l’uomo, accoglie Me”

 

41 CHI ACCOGLIE UN PROFETA PERCHÉ È UN PROFETA, AVRÀ LA RICOMPENSA DEL PROFETA, E CHI ACCOGLIE UN GIUSTO PERCHÉ È UN GIUSTO, AVRÀ LA RICOMPENSA DEL GIUSTO.

r CHI ACCOGLIE UN PROFETA PERCHE’… AVRA’ LA RICOMPENSA DEL PROFETA=non è che Dio ti premia per ciò che hai fatto ma ogni gesto buono che sia (per un profeta o giusto che sia), ogni gesto che fai per qualcuno, lo fai per Dio.

Psicologicamente però queste frasi hanno un senso profondo: quello che fai agli altri è quello che puoi fare anche per te. Quindi, se sei in grado di amare veramente qualcuno, sei in grado di amare anche veramente te. Se sei in grado di accogliere un altro, al di là del bene e del male, sei in grado di farlo anche con te. Non si può fare con gli altri più di ciò che non si possa fare con sé.

 

42 CHI AVRÀ DATO DA BERE ANCHE UN SOLO BICCHIERE D’ACQUA FRESCA A UNO DI QUESTI PICCOLI PERCHÉ È UN DISCEPOLO, IN VERITÀ IO VI DICO: NON PERDERÀ LA SUA RICOMPENSA.

r CHI AVRÀ DATO DA BERE ANCHE UN SOLO BICCHIERE D’ACQUA FRESCA=offrire da bere era segno di accoglienza e di ospitalità (Gv 4,7). Quindi il senso qui è: “Chi accoglie”.

r PERCHE’ E’ UN DISCEPOLO=cioè, il bicchiere d’acqua viene dato perché, in quanto discepolo, riconosce la libertà (e la croce) di chi segue e vive come Gesù. Quindi, mentre tutti lo giudicano lui lo accoglie.

r A UNO DI QUESTI PICCOLI=mikroi: chi sono i piccoli?

Non sono i bambini ma i discepoli, chi segue Gesù. Mentre il mondo vuol essere grande, potente, ricco e forte, i discepoli sono piccoli, vulnerabili, impotenti.

 

 

Pensiero della settimana

La divisione cellulare dell’inizio della vita

ci ricorda che per moltiplicarsi bisogna separarsi.

Se vuoi diventare te stesso devi separarti.