Non ti amo per Dio: ti amo perché tu sei tu

Festa di Cristo Re

22 novembre 2020

 

  • Prima lettura: Es 34, 11-12. 15-17
  • Salmo: 22
  • Seconda lettura: 1 Cor 15, 20-26.28
  • Vangelo: Mt 25, 31-46

 

La parabola di oggi incute paura e terrore perché Dio sembra esigente e fiscale. Sembra che Dio abbia un grande libro dei conti e alla fine della vita, nel giorno del Grande Giudizio, tiri il totale: se le azioni negative sono superiori di quelle positive: inferno eterno; se, invece, sono superiori le positive: Paradiso eterno.

La Chiesa aveva anche usato una bella pubblicità a sostegno di quest’idea: l’occhio di Dio. “Dio vede tutto”, diceva questa pubblicità (in molte chiese si può vedere l’occhio di Dio, all’interno di un triangolo, che era la Trinità): il suo occhio ti controlla, vede e sa tutto. A Lui non scappa nulla, a Lui nulla sfugge e qualunque malefatta che tu fai, sappi che un giorno ti sarà rinfacciata.

Dio è il grande fratello che vede tutto! Ma un Dio così è un Dio controllore, nemico della vita. E soprattutto non è evangelico, non è ciò che Gesù ci ha insegnato.

Alberto Maggi racconta che anni fa fecero un questionario alla Gregoriana, facoltà teologica di Roma (quindi frequentata da preti, teologi, persone in grande ricerca: non persone qualsiasi!), e che c’era questa domanda: “Se il giorno del giudizio tu potessi scegliere, da quale di questi personaggi preferiresti essere giudicato?”. E c’era tutta una serie di personaggi. Al primo posto veniva papa Giovanni XXIII, in seconda posizione la Madonna, poi San Giuseppe e il povero Padre eterno era soltanto al 5°- 6° posto.

Vedete qual è l'immagine di Dio: Dio è uno di cui non fidarsi tanto, perché ti manda “al caldo”, all’inferno. Meglio stargli “alla larga” perché è buono ma è anche giusto (=ti punisce!).

31 Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria.

  • FIGLIO DELL’UOMO=noi attribuiamo a Dio molti titoli: “Signore, il Figlio di Dio, l’Agnello di Dio, il Salvatore, ecc” ma che cosa dice di sé Gesù? Quando Gesù parla di sé usa sempre questo termine: “Il Figlio dell’uomo”. Ed è un titolo che pochissimi di noi attribuiscono a Gesù, ed è strano, singolare, visto che Lui parla di sé sempre così! E cosa vuol dire Figlio dell’Uomo?

Il Figlio dell’Uomo è l’uomo che ha realizzato il progetto di Dio. Gesù nel battesimo (Mt 3,13-17) ha accolto e accettato la missione che Dio gli aveva dato e l’ha vissuta fino in fondo. Quindi Figlio dell’Uomo è la persona che accoglie lo Spirito di Dio e lo vive nella propria vita.

Quindi chiunque di noi può essere Figlio dell’uomo: anzi, tutti lo dovremo essere. Tutti dovremo accogliere il piano, il progetto di Dio su di noi, che è nient’altro il motivo per cui ci siamo ed esistiamo. Che ci sia un progetto su di me vuol dire che la mia esistenza è significativa, importante: non sono qui a caso, sono qui per uno scopo e per un motivo. Ed è questo che dobbiamo recuperare: il senso della nostra vocazione. C’è un destino, una chiamata, una missione che ci chiama. Le persone sono tristi, depresse, senza vitalità o voglia di vivere, perché non hanno motivi validi, forti, ragionevoli per vivere. Ma quando si sa il perché ci si è, si è irresistibili.

  • CON TUTTI I SUOI ANGELI=quando noi pensiamo all’angelo, ci raffiguriamo una creatura con le ali. Ma l’angelo (anghello=annunciare) non ha niente a che vedere con questo: è solamente tutto ciò (persone, incontri, fatti, eventi, situazioni, sogni, incidenti, sorprese, ecc) che Dio ci manda perché possiamo seguire la nostra strada e la Sua chiamata.

Hai mai incontrato un angelo? No, se pensi all’essere angelico con le ali. Hai mai incontrato un angelo? Sì, tantissime volte, se sai chi è.

L’angelo vuole farti un uomo e una donna migliore. Io vivo nella paura, nel terrore di scegliere, di osare di mettermi in gioco, di guardarmi dentro, non sfruttando le mie potenzialità e la riserva di amore, di bontà, di doti, di generosità, di simpatia, di vitalità che ho dentro. Vivo sulla difensiva, vivo non sfruttando il patrimonio che Dio mi ha dato. Allora arriva un angelo che mi mostra che posso essere migliore: posso osare, scegliere, smettere di vivere così e volare. Chi ti ama non vede ciò che sei, ma ti mostra ciò che puoi essere. L’angelo è questo.

Quindi: “Quando il Figlio dell’uomo verrà con i suoi angeli”, vuol dire con tutti quelli che vivono realizzando sulla loro vita il progetto di Dio.

  • TRONO DELLA SUA GLORIA=è una formula con la quale l’A.T. indica la presenza di Dio (Ger 17,12). Cos’era il trono della gloria? Era un modo per definire il Tempio, dove cioè Dio stava. Il trono dove Dio risiedeva nella sua gloria, nel suo splendore, era, dicevano gli ebrei, il Tempio.

Ma cosa succedeva? Che al tempio ci potevano andare solo i puri: i peccatori, gli altri, no! Ma adesso “il trono della gloria” non è più un luogo (il tempio) ma una persona (Gesù). Dio non risiede più in un luogo ma nelle persone, in chi lo ama e lo accoglie.

32 Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre,

  • POPOLI=etnè=popoli pagani (il popolo ebreo viene chiamato laos). Cosa fanno i vangeli? Quando devono parlare di Israele usano la parola laos (=popolo). Anche qui si parla di un popolo ma non si usa questo termine. Infatti quando si parla di ethne si intende sempre i pagani.

Quindi, questo non è un giudizio universale, ma risponde semplicemente ad una domanda: “Ma chi non ha conosciuto Gesù, come ha potuto conoscerlo?”. Risposta. “Chi ama, conosce Gesù!”.

Se noi prendiamo il vangelo di Mt troviamo che il giudizio per Israele c’è già stato. Infatti in Mt 19,28: “Voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su 12 troni a giudicare le 12 tribù di Israele”. Questo è il giudizio per Israele, che non ha accolto il messaggio di Gesù.

Qui invece nel vangelo di oggi si parla dei pagani, di tutti quelli, cioè, che non hanno mai conosciuto Gesù, che non ne hanno mai sentito parlare o che magari lo hanno rifiutato perché gli è stato presentato Dio in maniera erronea, distorta. Quindi non è un giudizio universale, ma solamente l’evangelista che si pone la domanda. Domanda: “Cosa succede per tutti quelli che non hanno conosciuto il messaggio di Gesù?”. Risposta: “Non c’è problema: chi ama, conosce Gesù!”.

Tutta la parabola verte sul fatto di essere profondamente umani: Dio chiede all’uomo l’amore, concreto e relazionale (cioè un amore che si trasforma in relazioni e pratiche, quindi, nuove e trasformatrici) aldilà della religiosità. Il rapporto con Dio non si stabilisce tanto in base al rapporto con la divinità ma in base al rapporto con i propri simili. D’altra parte vi è una religione atea in tutti coloro che hanno un grande rapporto con Dio, che pregano, ma che non vivono l’amore nelle relazioni.

33 e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.

  • DESTRA=destra/sinistra si rifà alla cultura del tempo dove il lato sinistro è considerato sempre negativo e quello destro positivo e favorevole (Sal 16,11: “Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra”). Il posto d’onore vicino al re era sempre quello di destra.

34 Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo,

  • DIRA’=il Talmud dice: “Tutte le tue azioni sono scritte in un libro”. Noi abbiamo l’idea che Dio scriva tutto nel suo grande Librone. Il Talmud, un libro ebraico del tempo, diceva che tutte le infrazioni vengono scritte su un libro. Secondo il Talmud, quindi, nel giorno del giudizio Dio consulterà il libro nel quale ha segnato tutte le azioni degli uomini e in base a queste li giudicherà.

Ma Gesù non ha bisogno di nessun libro per separare gli uni dagli altri. Gesù lo vede! E da che cosa lo vede? Lo vede se una persona è riuscita nella vita o no.

Il Figlio dell’Uomo distingue subito quelli che hanno amato dagli altri: quelli che hanno amato hanno una vita splendida, luminosa, felice (Mt 6,22). Mt 13,47-50 racconta la parabola della rete: il regno di Dio è come un pescatore che getta la rete e tira su pesci buoni e pesci marci (e non cattivi come a volte erroneamente viene tradotto). Quelli che vengono eliminati non è perché sono cattivi, per un giudizio morale, ma perché sono già marci. Lo si vede: non c’è la vita, la vitalità, sono morti, sono marci, per questo è costretto a buttarli via. Mt 12,33: “Se prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo; dal frutto si conosce l’albero”. Si vede, basta guardare! Non ci vuole un grande esperto per vedere che la frutta è marcia, non buona.

  • VENITE=dove? Cos’è questo regno preparato da sempre? E’ il regno dell’Amore. Dio, che è l’Amore, riconosce solo l’amore. Nel suo regno c’è spazio solo per questo.
  • BENEDETTI=i benedetti non hanno fatto cose particolari, eccezionali, spettacolari, ma gesti accessibili a tutti; i benedetti si sono occupati delle necessità degli uomini. Chi ama l’uomo sicuramente ama Dio. Non è detto, invece, che chi dice di amare Dio ami l’uomo.
  • DESTRA=Mt si rifà alla pratica dei pastori che la sera, quando radunavano il gregge, separavano i capri dalle pecore per poi procedere all'operazione della mungitura. Cosa fa il re: mette le pecore alla sua destra e i capri alla sua sinistra (Mt 25,33). Perché?

La sinistra da sempre è stata vista come la parte negativa: ancora oggi usiamo il termine “sinistro”. Se eri mancino, una volta, ti costringevano a scrivere con la destra perché era la mano del diavolo. Ma era solamente una stupida credenza. Quindi per la mentalità del tempo: sinistro=negativo, destro=positivo.

35 perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto,

  • PERCHE’=sono sei azioni, sei opere di misericordia, sei azioni concrete e quello che conta non è tanto il singolo esempio (oggi ne faremmo degli altri!) ma che non c’è un’azione religiosa fra tutte queste sei. Non saremmo giudicati su ciò che crediamo ma sull’amore. San Giovanni Crisostomo: “Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore”.
  • HO AVUTO FAME=c’è uno che ha bisogno e tu ti accorgi che lui ha bisogno. E’ la fame di pane, di ascolto, di tenerezza, di comprensione, di essere riconosciti, stimati, valorizzati. Vedi uno che ha fame? Gli dai il suo pane! Ma non serve la Bibbia per fare questo: basta avere un cuore e conoscere l’amore!
  • HO AVUTO SETE=il dare da bere era in quella mentalità simbolo di accoglienza, dare vita. Vedi uno che ha bisogno di te, della tua accoglienza: tu puoi darglielo, glielo dai. E’ normale per chi ama tutto questo. E’ questione di sensibilità.
  • ERO STRANIERO=lo straniero in tutte le culture ha messo sempre paura.

Straniero è tutto ciò che non è come me: un nuovo modo di pensare la vita, Dio; un nuovo modo di fare, di parlare, di rapportarsi, un nuovo modo di vestire, di concepire i rapporti. La prima cosa che diciamo è: “No”. Ma è un no solo perché non è come noi.

Nei vangeli gli stranieri (stranieri nel vangelo sono pagani, donne, pubblicani, ultimi, i lebbrosi=tutti esclusi dagli ebrei) non sono mai quelli che tolgono qualcosa, ma sempre quelli che portano, quelli che arricchiscono. Quindi l’accoglienza dello straniero non è una perdita ma è una ricchezza.

36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.

  • NUDO=chi è nudo è esposto al pubblico ludibrio, al giudizio, alla vergogna. Nei vangeli i “giusti e pii” farisei, scribi e dottori si permettevano di giudicare, di condannare, di mettere alla berlina i peccatori (pensate all’adultera in Gv 8,1-11). Gesù, invece, difende, prende le parti di questa gente. Quando uno è vulnerabile, quando uno è indifeso, è da miseri, da ignobili, ferirlo.
  • MALATO=il malato ha bisogno di aiuto, di sostegno, di cura. Gesù andava dalle persone e le vedeva tutte come malate bisognose di guarigione. I “sapienti”, invece, li giudicavano. Una adultera: una malata d’amore per Gesù. Per i sapientoni: una prostituta. Un pubblicano: un malato di riconoscimento (i soldi=compensazione). Per i sapientoni: un peccatore. Un lebbroso: un malato di contatto e di pelle. Per i sapientoni: un maledetto da Dio.
  • ERO IN CARCERE= a quel tempo il carcerato era considerato uno che era giustamente punito: non faceva affatto compassione. Quindi è strano trovare questa categoria e il fatto di vederla qui ci fa capire l’attenzione all’umano di Gesù, a qualunque umano, al di là di ogni stereotipo sociale (i carcerati non erano degni di cura a quel tempo!). E quando Gesù dice carcerato e siete venuti da me, non significa soltanto una visita di conforto.

I carcerati non stavano in carcere mantenuti dai carcerieri, ma dovevano essere i familiari o gli amici che dovevano provvedere al sostentamento del carcerato, altrimenti il carcerato moriva di fame. “Il prigioniero sarà presto liberato; egli non morirà nella fossa né mancherà il pane” (Is 51,14).

Quindi andare a trovare il carcerato non significa soltanto fare una visita di conforto, ma portargli da mangiare per mantenerlo in vita. Se non lo andavi a trovare, nel senso di portargli da mangiare, moriva.

Ma cosa sono tutti questi? Sono dei bisogni degli uomini. Amore, dice Gesù, è prendersi cura di questi bisogni. Ma questa è una rivoluzione. Cosa diceva infatti la legge ebraica? Nel Talmud si legge: “Nell’aldilà, il santo che benedetto sia, prenderà un rotolo della legge, se lo poserà sulle sue ginocchia e dirà: chi se ne è occupato, venga e riceverà la sua ricompensa”.

Gesù dice: non è l’osservanza, il comandamento, ma l’amore che ti fa vivere oggi e domani.

37 Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”.

  • QUANDO MAI TI ABBIAMO VISTO=non sanno di aver amato Gesù.

40 E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

  • TUTTO QUELLO CHE AVETE FATTO A UNO SOLO DI…=e Gesù: “Ogni volta che avete fatto questo ad uno dei miei fratelli più piccoli” (Mt 25,40). Non si ama perché lo dice Gesù. Non si ama il povero per carità cristiana, perché lo dice, lo comanda Gesù. Lo si ama perché è lui. Non si ama per Gesù, ma si ama Gesù (nel povero). Questo è l’amore vero: è farlo senza scopo ma per esigenze del tuo cuore. L’amore vero nasce da te e da nessun altro imperativo. Gesù non dice: “Quando ami uno lo fai per me” ma “quando ami uno, ami me”.

Ci sono persone che “devono amare gli altri” perché lo ha comandato Gesù. Ma se si deve amare gli altri lo si fa per dovere, senza alcun sentimento e per costrizione. L’amore non si comanda: si sente. Non si fanno le cose “per carità cristiana”; si fanno perché nascono dal cuore. Amare uno perché ci è comandato è svilente: “Non ti amo, ma lo faccio perché me lo comandano!”. Con Gesù le cose non si fanno per Dio, ma con Dio e come Dio.

Un giorno chiesero a Madre Teresa: “Perché lo fa?”. Si aspettavano come risposta: “Per Dio!”. E invece lei sorridendo disse: “Per amore”. “Cioè per Dio”, ripresero. “No, per amore. Perché la sua sofferenza tocca il mio cuore”. Non si ama l’altro perché Dio lo comanda ma perché ci tocca il cuore… l’anima.

“E se Dio non ci fosse?”, chiesero una volta sempre a Madre Teresa. “Non ho amato per Dio, ho amato per amore di chi mi stava davanti”. E siccome nell’uomo c’è Dio, amando il fratello lei amava anche Dio. E poi concluse: “Non so mai se chi dice di amare Dio, lo ami davvero. Ma so che chi ama l’uomo, lo sappia o no, ama Dio”.

Un giorno Madre Teresa stava accuratamente curando le piaghe ripugnanti di un lebbroso. Faceva il suo lavoro sorridendo e chiacchierando col malato, come fosse la cosa più naturale del mondo. Ad un certo punto chiese al malato: “Tu credi in Dio?”. Il pover’uomo la fissò e poi le disse, sorridendo: “Sì, adesso credo in Dio!!!”.

E un'altra volta un giornalista che la vedeva tutta dedita a curare un lebbroso le disse: “Madre, io non lo farei neanche per un milione di dollari”. E lei: “Neanch’io!”. E lui continuò: “Ma neanche se me lo comandasse Dio in persona!”. E lei: “Neanch’io!”. Certe cose si fanno per amore… e basta.

  • L’AVETE FATTO A ME=Dio c’è, si trova (si identifica) anche negli ultimi e nei peggiori e nei malfattori, come i carcerati. Dove c’è l’umano lì c’è Dio.

41 Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42 perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43 ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.

  • POI DIRA’ A QUELLI CHE SARANNO ALLA SINISTRA: “VIA, LONTANO DA ME…=prima aveva detto: “Venite, benedetti dal Padre mio” (Mt 25,34). Qui, invece, non si dice: “Maledetti, dal padre mio”, ma solo: “Maledetti”. E da chi sono maledetti? Non certo da Dio! Si sono maledetti da se stessi!

La maledizione richiama la prima maledizione della Bibbia, il fratricida Caino: “Ora sii maledetto” (Gen 4,11). Negare l’aiuto all’altro è come ucciderlo. Se la risposta al bisogno è vita, la mancata risposta è morte. Questi maledetti sono le persone centrate solo su se stesse, sui propri interessi e sulle proprie necessità: sono persone non realizzate e che sono rimaste bambine, infantili. Vedono solo se stesse e sono cieche agli altri.

  • NEL FUOCO ETERNO=il fuoco non è l’inferno dove si finisce arrostiti! Gesù prende un’immagine del suo tempo: a quel tempo c’era la Geenna, nella Valle dell’Hinnon, che era l’immondezzaio di Gerusalemme. Lì vi era sempre il fuoco perché venivano bruciati tutti i rifiuti.

Gesù dice: “Quelli che collaborano per l’amore (i benedetti) avranno ciò che vorranno: l’amore. E quelli che collaborano per distruggere, avranno ciò che vorranno: distruzione”. Ognuno avrà ciò che vorrà.

E anche Gesù sa che ci sono gli angeli del diavolo: quelli che distruggono invece di costruire. E perché finiscono lì? Semplice: si sono chiusi di fronte ai bisogni delle persone. Non sono stati in grado di fornire amore, ma hanno pensato solamente a se stessi.

Del “fuoco eterno” non si dice che sia stato preparato “fin dalla fondazione del mondo” (Mt 25,34), come il regno. Cioè: il “fuoco eterno” non è volere di Dio.

  • DIAVOLO E I SUOI ANGELI=anche il diavolo ha i suoi angeli (come pure Dio!). Gli angeli del diavolo (anghelo=messaggio, annuncio) sono nient’altro che persone che vivono come il diavolo, senza vedere gli altri, ma tutte centrate su di sé. Sono i portatori, sono coloro che vivono come lui.

44 Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”.

  • SIGNORE, QUANDO TI ABBIAMO VISTO…=ma osservate la risposta: è frettolosa, sbrigativa! I benedetti: “Quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare…” (Mt 25,37). I maledetti: “Quando ti abbiamo visto affamato” (Mt 25,44) e basta. La risposta è breve perché loro non si sono proprio accorti di chi era bisognoso. Erano troppo presi da sé. Tutti centrati su di sé sono indifferenti agli altri. I bisogni degli altri sono di poca importanza per loro!
  • E NON TI ABBIAMO ASSISTITO=e osserviamo: “E non ti abbiamo assistito” (Mt 25,44). Assistito lett. è diakoneo=servire. Il diacono era la persona nella comunità cristiana che serviva, che faceva, che si occupava degli altri. Allora Mt dice: “State attenti perché si può essere diaconi, cristiani, ed essere “maledetti”, senza cuore”. E i diaconi (i cristiani) potrebbero dire: “Ma noi ti abbiamo servito?”, e lui dirà: “No”. Attenti a non pensare di servire il Signore (riti, liturgie, devozioni, ecc) ed essere senza cuore e disumani (l’amore è relazionale): potete essere diaconi, o preti o religiosissimi ma non “servire il Signore”.

45 Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46 E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

  • QUESTI AL SUPPLIZIO ETERNO…=la parola supplizio viene dal greco (kolasis), ed è=potare, recidere, mutilare (kolazo). Questa sembra una punizione se la leggiamo così. Ma non lo è.

Allora: c’era un progetto ma è stato tagliato, reciso, non è cresciuto, non si è sviluppato. La vita dentro di sé non si è sviluppata, cresciuta, per cui non sono stati in grado di darla.

Il vangelo conosce due termini: la bios e la zoè. La bios è la vita fisica: si nasce, parabola ascendente e poi discendente fino a morire. La zoè è la vita psichica, interiore, la vitalità: questa non smette mai di crescere e di svilupparsi.

Cosa dice Gesù allora qui? Se tu tagli, recidi la tua zoè, vitalità, se tu non fai crescere l’amore in te, non diventi più maturo, adulto, tu ti condanni a morire. E chi è morto non può dare vita. Non è il re che li condanna, ma sono essi stessi che si sono condannati.

  • VITA ETERNA=il finale positivo, comunque, dà speranza. Mt inverte i termini, avrebbe dovuto dire, infatti: “I giusti alla vita eterna e questi al supplizio eterno”.

Quando c’è un bisogno dentro o fuori di te, bisogna ascoltarlo.

Irena Sendler (1910-2008): è una cattolica che vive a Varsavia (la sua storia è stata scoperta solo nel 1999). C’è un bisogno impellente: far uscire dal ghetto di Varsavia tutti i bambini che si possono far uscire. Irena riesce ad ottenere il permesso di lavorare come idraulica specialista.

Entrava nel ghetto con il suo camion e metteva nella borsa degli attrezzi i neonati, nascondendoli nel fondo della sua cassetta. I più grandi dentro in un sacco di iuta. Nel suo camion teneva un cane ben addestrato ad abbaiare inferocito quando i soldati nazisti si avvicinavano.

I soldati temevano il pianto e il suo latrato copriva il pianto dei bambini. Fu catturata dai nazisti e selvaggiamente picchiata: le ruppero gambe e mani, ma non confessò nulla. Ne salvò 2.500!!!

E quando sei cieco a qualcuno dei tuoi bisogni?

Cosa succede quando fai finta di non aver bisogno di essere riconosciuto o d’amore, di coccole, di tenerezza, di ascolto, di protezione, di amicizia, di riposarti?

Senti questa storia. In Giappone all’inizio del secolo si usava viaggiare di sera con una lampada. Una sera, un cieco, fece un bel po’ di strada per chiedere del pane al fratello. Il fratello gli diede il pane e gli disse: “Prendi anche una lampada, che è buio fuori”. “A me non serve; io ho bisogno del pane; io non ho bisogno di una lampada, sono cieco”, prese il pane e se ne andò. In effetti lui non aveva bisogno della lampada ma gli altri avevano bisogno che lui l’avesse avuta.

Un treno passò, non vide nessuna luce e lo investì.

Cosa sono tutti questi? Sono i bisogni dell’uomo (mangiare, bere, essere accolto, ecc). Tutti noi abbiamo dei bisogni: solo che spesso non li ascoltiamo. Molti di noi conoscono la scala dei bisogni di Maslow ma un altro autore, Anthony Robbins, partendo da Maslow, ha elaborato questa scala in maniera ancor più interessante.

  1. Il primo binomio riguarda la sopravvivenza (che è pure un paradosso perché riguarda gli opposti).

Tutti noi abbiamo bisogno di sicurezza: la sicurezza è un bisogno (sapere di avere un posto dove stare per esempio la notte, di cibo, soddisfare sete e sonno e altri bisogni materiali). Sicurezza vuol dire provare piacere ed evitare il dolore, cercare il comfort, la stabilità, l’avere i piedi per terra, prevedibilità, protezione. Sicurezza è avere la salute; sicurezza è avere i soldi per il sostentamento; sicurezza è vivere protetti, “al sicuro”.

Ma cosa succede se c’è troppo o solo questo bisogno di sicurezza? Succede che, per paura, per non uscire dallo stato di comfort non facciamo più nulla, non rischiamo più niente, ci chiudiamo alla possibilità di crescere e di cambiare. Evitiamo le novità, sfide e stimoli nuovi, frequentiamo i soliti posti, persone, luoghi, attività. E siccome il nuovo ci appare pericoloso, ci chiudiamo in noi e nelle nostre idee. Ma quando tutto è certo, previsto e prevedibile, solito, allora la gente si annoia o è insoddisfatta.

Ecco che allora c’è bisogno anche del suo opposto: la novità, la varietà, che ci spinge a metterci in gioco, a crescere, a rimetterci in discussione, a cambiare, a vedere nuovi e altri punti di vista e pensieri. Abbiamo bisogno di sfide, di sentirci “vivi”, di divertimento, di sorprese inattese e di regali! Tutto questo crea instabilità, cambiamento, divertimento, suspence, sorpresa. La novità trasmette energia, vitalità, ci mantiene giovani e frizzanti. Biologicamente la varietà, la diversificazione, è un elemento fondamentale per l’esistenza. Il mescolamento genetico permette una maggiore gamma di individui capaci di sopravvivere.

Ho bisogno della sicurezza di tornare a casa e di trovare la mia famiglia, ma se non c’è la varietà, la novità, in questo, se non coltivo qualche sorpresa quando torno o se non cambio il cliché di incontro con mia moglie e con i figli, la cosa diventa routine.

Avere un partner dà grande sicurezza: ma se tutte le domeniche andiamo sempre dalla madre di lei (o facciamo le stesse cose) questo diventa dopo un po’ pesante, mortale per la coppia.

Ho bisogno di frequentare il mio gruppo di amici perché so che questi mi accettano, mi accolgono sempre e mi vogliono bene. Ma se frequento solo questi, nel tempo, il rapporto si cristallizza su dei ruoli, e non diviene più evolutivo (solite cose; soliti discorsi).

  1. Il secondo binomio riguarda il successo (che è pure un paradosso).

Tutti noi abbiamo bisogno di sentirci importanti, di sentire che valiamo, che abbiamo il nostro valore, di sentirci desiderati, necessari, speciali per qualcuno. Abbiamo bisogno di sentirci dire: “Grazie, Bravo!”. Parole dell’importanza sono: orgoglio, realizzazione, performance, perfezione, valutazione, disciplina, competizione. Allora il centro è su di noi, sull’io, sull’essere riconosciuti, ritenuti importanti, stimati, apprezzati. Lo facciamo attraverso la bellezza, i titoli scolastici, il rango sociale, il bel posto di lavoro, col fare “cazzate” pur di essere “visti”, ecc.

Ma questo bisogno da solo ci separa dagli altri: ecco che allora abbiamo bisogno dell’amore e dell’unione, dello stare con gli altri, di sentirci amati, complici, appoggiati, di sentire che qualcuno sta con noi. Parole in codice sono unione, amore, passione, unità, calore, romanticismo, tenerezza.

Da bambini abbiamo bisogno della famiglia; da adolescenti di un gruppo; da adulti di un partner.

E’ la connessione con gli altri (compagno, amici, persone, gruppi): l’essere uniti ci permette di vincere la nostra solitudine e troviamo appoggio.

E’ importante che ci sia io nella vita: come posso amare gli altri se non amo neppure me? Ma se ci sono solo io allora diventa narcisismo e non posso realizzare il vero successo. Quando sto con gli amici ci sono io: parlo, metto in luce le mie risorse, discuto, dico di “sì” e dico di “no”. Ma ci sono anche gli altri: se prevarico, se voglio l’attenzione solo io, se gli altri mi servono solo in funzione mia (“Non mi vieni mai a trovare; perché non hai fatto questo?; perché preferisci lui a me?; ecc); se faccio sempre il ruolo del bisognoso per essere visto o del puntiglioso per impormi, allora, non posso avere successo.

Per avere il vero successo nella vita ho bisogno di dar spazio a me tanto quanto agli altri; di amare me tanto quanto gli altri.

  1. C’è, infine, un terzo binomio (che è pure un paradosso): nella vita vogliamo essere sempre di più. Se lo viviamo nella logica materialistica, vogliamo accumulare, diventiamo possessivi, gelosi e invidiosi. Se lo viviamo, invece, nella logica, spirituale, interiore, allora vogliamo crescere, vogliamo imparare, essere migliori: impariamo dalle esperienze e diventiamo diversi. E’ il bisogno di sviluppo a livello emotivo, intellettivo e spirituale. Questo ci fa stare meglio e ci soddisfa perché diventare uomini e donne migliori ci dà un grande senso di armonia e di felicità.

Ma se solo si cresce, sorge poi una domanda: ma tutto questo per chi? Allora c’è il bisogno di contribuire a questo mondo, di lasciare un segno, di essere utili, di poter far sì che la nostra vita serva e alimenti il benessere di questo mondo.

Posso crescere intellettualmente, sapere “un sacco di cose”, ma se poi tutto il mio sapere serve solo a me e non contribuisce alla felicità degli altri mi sento triste e insoddisfatto perché mi sento inutile.

Puoi essere un ragazzo ricco di talenti e di doti ma se poi non le metti a frutto, diventando animatore, catechista, allenatore, allora non sai che fartene di tutta la tua ricchezza.

Puoi avere un grande benessere (molta ricchezza economica) ma non avrai molta felicità se te la tieni per te: perché non contribuisce al bene degli altri.

Noi abbiamo bisogno di vedere il sorriso negli occhi e nelle labbra degli altri attraverso la nostra ricchezza donata a loro. Posso avere tutte le ricchezze del mondo ma ci sono cose “impagabili”, come la felicità negli occhi di chi hai aiutato o a cui hai donato un po’ di te e del tuo tempo.

Se non me lo lasci fare non potrò andare a scuola! Mi vergognerei troppo… È terribilmente importante, mamma!”. Elena scoppiò a piangere. Era la sua arma più efficace. “Uffa, fa’ come vuoi…”, brontolò la madre, sbattendo il cucchiaino nel lavello. “Sembrerai un mostro. Peggio per te!”.

In altre 23 famiglie stava avvenendo una scenetta più o meno simile. Erano i ragazzi della Seconda B della Scuola Media Carlo Alberto di Savoia. Per quel giorno avevano preso una decisione importante. Ma gli allievi della Seconda B erano 25.

In effetti, solo nella venticinquesima famiglia, le cose stavano andando in un modo diverso. Elisabetta era un concentrato di apprensione, la mamma e il papà cercavano di incoraggiarla. Era la quindicesima volta che la ragazzina correva a guardarsi allo specchio. “Mi prenderanno in giro, lo so. Pensa a Marisa che non mi sopporta o a Paolo che mi chiama canna da pesca! Non aspetteranno altro!”.

Grossi lacrimoni salati ricominciarono a scorrere sulle guance della ragazzina. Cercò di sistemarsi il cappellino sportivo che le stava un po’ largo. Il papà la guardò con la sua aria tranquilla: “Coraggio Elisabetta. Ti ricresceranno presto. Stai reagendo molto bene alla cura e fra qualche mese starai benissimo”. “Sì, ma guarda!”. Elisabetta indicò con aria affranta la sua testa che si rifletteva nello specchio, lucida e rosea.

La cura contro il tumore che l'aveva colpita due mesi prima le aveva fatto cadere tutti i capelli. La mamma la abbracciò: Forza Elisabetta! Si abitueranno presto, vedrai....

Elisabetta tirò su con il naso, si infilò il cappellino, prese lo zainetto e si avviò.

Davanti alla porta della Seconda B, il cuore le martellava forte. Chiuse gli occhi ed entrò.

Quando riaprì gli occhi per cercare il suo banco, vide qualcosa di strano. Tutti, ma proprio tutti, i suoi compagni avevano un cappellino in testa!

Si voltarono verso di lei e sorridendo si tolsero il cappello esclamando: Bentornata Elisabetta!. Erano tutti rasati a zero, anche Marisa così fiera dei suoi riccioli, anche Paolo, anche Elena e Giangi e Francesca... Tutti! Ma proprio tutti!

Si alzarono e abbracciarono Elisabetta che non sapeva se piangere o ridere e mormorava soltanto: Grazie….

Dalla cattedra, sorrideva anche il professor Donati, che non si era rasato i capelli, semplicemente perché era pelato di suo e aveva la testa come una palla da biliardo.

 

Pensiero della Settimana

 

Il nostro limite più grande non è costituito da ciò che vogliamo e non siamo in grado di fare,

ma da ciò che non abbiamo nemmeno considerato di poter fare.

(Richard Bandler)