Per avere cose mai avute, occorre fare cose mai fatte

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO Ordinario

Domenica, 19 Novembre 2017

Prima lettura: Pr 31, 10-31 Salmo: Sal 127  Seconda lettura: 1 Ts 5, 1-6  Vangelo: Mt 25, 14-30

 

14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.

PARTENDO PER UN VIAGGIO=a quel tempo succedeva che quando il padrone si assentava per un lungo periodo da casa affidasse ai servi più fidati il suo patrimonio. E così fa.

SERVI=non sono servi ma funzionari di alto rango, in quanto ciò che il padrone consegna loro è un alto patrimonio. Nel mondo orientale tutti i dipendenti di un personaggio importante vengono chiamati servi. Sono servi nel senso che sono al servizio del padrone, che ciò che hanno ricevuto non è di loro proprietà.

CONSEGNO’ LORO I SUOI BENI=questo signore non lascia i suoi beni in custodia, ma li trasferisce.

Il verbo “consegnare” (paradidomi) utilizzato da Mt, significa un dare senza poi riprendere. Quindi, il padrone (Dio) è di una generosità enorme.

 

15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito

TALENTI=il talento non era una moneta corrente perché denotava una cifra enorme. Era solamente una unità di misura. Sarebbe come dire una tonnellata di euro: non si può girare con una tonnellata di euro, semplicemente perché nessuno potrebbe portarla.

Il talento era una misura di valore molto importante, un talento oscillava tra i 26 e i 36 Kg d’oro. Un talento corrispondeva circa a 60 mine o a 6.000 denari (o 6000 dracme; la dracma greca era parificata al denaro), cioè a 20 anni di salario di un operaio. La Misnà dice che il minimo per una famiglia era 200 denari all’anno. Quindi con un talento, una famiglia, poteva vivere 30 anni. Se ipotizziamo 20.000 euro annui di salario (quindi un salario basso) un talento sono 400.000 euro.

Quindi ricevono una fortuna!

SECONDO LE CAPACITA’ DI CIASCUNO=lett. forza (capacità). Il signore, il padrone, conosce i suoi funzionari e sa le loro capacità.

Cosa osserviamo?

  1. Ciascuno ha tantissimo: visto che un talento sono circa 30 kg d’oro. Quindi quello che ha un talento in realtà ha una cifra enorme (400.000 euro!). Tutti e tre hanno tantissimo.
  2. Ciascuno ha un patrimonio che non è proprio, suo. Sa che è del padrone e sa che dovrà riconsegnarglielo.
  3. C’è una diversità: non tutti hanno lo stesso patrimonio. Ciascuno, dice il vangelo, ha secondo la propria capacità (Mt 25,15). A noi questa cosa ci fa un po’ arrabbiare: ma come, il padrone è ingiusto? No, non è ingiusto, anzi è giustissimo!

Facciamo un esempio. Siete papà e mamma che vogliono andare a trovare dei lontani parenti in Australia e dovete stare via tutta l’estate. Così date ai vostri tre figli un po’ di soldi perché se li gestiscano. Uno ha 25 anni, un altro 16 e un altro 8. Cosa fate? Date a tutti 1000 euro? No, ovvio. A quello di 25, ad esempio, gliene date 2600 perché gestisca il tutto, a quello di 16, 300 per le sue cose e a quello di 8, 100.

Dareste mille euro a testa? E’ ovvio, no! Perché ciascuno ha della capacità diverse. Nessuno è stupido, nessuno è più degli altri, ma è ovvio che in base all’età, all’esperienza, alle competenze, ciascuno ha.

Cosa vuol dire allora? Che la diversità, allora, è solo quantitativa ma non qualitativa. Hanno talenti diversi perché sono diversi, ma ognuno ha il massimo di ciò che può avere.

 

Ciascuno nella vita ha il suo talento. Il talento è la possibilità che tu hai, il patrimonio che tu hai dentro di te, che Dio ha riposto nel tuo cuore. E’ un patrimonio enorme fatto di: doti, doni, sensibilità, talenti, capacità, emozioni, ideali, amore, fiducia, libertà, voglia di vivere.

La grande domanda è: “Chi sono io?”, nel senso: “Qual è il mio patrimonio?”. Non si può chiedere ad una sedia di fare la bistecchiera se una sedia è fatta per potersi sedere e una bistecchiera per poter cuocere una bella Fiorentina. “Ma io voglio essere una bistecchiera!”. “Mi dispiace per te, ma tu sei una sedia: accettati e utilizza ciò che sei”.

La gente passa tutta la vita a voler essere questo o quello, quell’uomo o quella donna. Vorrebbe avere i soldi di quello, la bellezza di quell’altro, la conoscenza di quello lì, la brillantezza di quello là. Ma così facendo non accetta quello che è! Così invece di guardare a chi è, insegue cose che non sono proprie e che non sono quindi raggiungibili. Qual è il tuo talento? Qual è la tua essenza? Qual è la tua peculiarità?

Perché è proprio quello che ha un talento che lo nasconde? Perché si confronta con gli altri.

Se tu ti confronti con gli altri è chiaro che non sei contento di quello che sei/hai tu. Per cui troverai che gli altri hanno sempre di più, che sono più fortunati, che magari se tu fossi stato al loro posto… Ma è così solo perché invece di guardare a cos’hai tu, continui ad invidiare quello che altri hanno.

Ero in terza media, in gita scolastica. Continuavo a guardare e a parlare con i miei amici di scuola e invece di guardare il marciapiede su cui camminavo, guardavo loro. E così presi un palo della luce in cemento in faccia. E così: se tu guardi gli altri non puoi percorrere la tua strada.

  1. Non confrontarti con nessuno: tu hai il tuo talento, lui il suo.
  2. Il talento è una responsabilità: più talento hai e più sei responsabile nel farlo fruttificare.

Allora: ciascuno ha molto. Se tu guardi a quello che hanno gli altri, se tu ti confronti, ti troverai sempre mancante. Ma se tu guardi a te, troverai che sei ricco, pieno e abbondante.

W Mitchell, come dicevo domenica scorsa, è stato ustionato e sfigurato su ¾ del corpo e tre anni dopo ha avuto un incidente dove è rimasto paralizzato. Molte cose non le può più fare, chiaramente, ma lui dice: “Prima del mio incidente, c’erano 10.000 cose che potevo fare. Ora posso passare il resto della mia vita a rimuginare sulle 1.000 cose che non posso più fare, oppure posso scegliere di focalizzarmi sulle 9.000 che ancora posso fare”.

La gente non è povera di doti, talenti, vitalità: è che vuole quello che non ha. E’ che invece di sviluppare ciò che ha invidia quello che gli altri hanno già sviluppato. La gente vorrebbe a basso prezzo, facilmente, quello che gli altri hanno conquistato osando e giocandosi.

Una sera dopo un applauditissimo concerto, il maestro Andrés Segovia, considerato il più grande chitarrista di tutti i tempi, fu avvicinato da un ammiratore che estasiato gli disse: “Maestro, darei la vita per suonare come lei!”. Andrés Segovia lo fissò intensamente e rispose: “E’ esattamente il prezzo che ho pagato io!”.

Saresti disposto a dare tutta la tua vita per questo? Sei disposto a fare tutto quello che lui ha fatto (studi, impegni, rinunce, lotte, invidie, solitudine, ecc) per essere così? Se sì, fallo. Se no, perché allora lo invidi?

 

Allora: se ciascuno guarda a quello che ha, può essere ben felice. Inoltre, dobbiamo ricordarci, che nessuno di quei servi è proprietario di ciò che ha. Quindi avere più talenti comporta solo responsabilità in più, non un maggiore possesso o beneficio, visto che tutti dovranno riconsegnarli al padrone.

 

Aver più talenti (=possibilità) è vitale altrimenti si diventa rigidi.

I primi due uomini riescono perché hanno uno sguardo sulla vita poliedrico: uno ha cinque talenti e l’altro due.

Avere cinque possibilità di vedere la realtà o almeno due, ti salva la vita. Perché se ne hai solo una, sei spacciato!

Ad un uomo che lavora da anni in quell’azienda viene detto dal suo capo: “Mi dispiace dobbiamo licenziarla!”. Se l’unica possibilità che tu vedi è: “E adesso cosa farò senza lavoro? Oddio che tragedia!”, vivrai il fatto come un dramma tremendo. Ma se tu vedi altre possibilità puoi, ad esempio, dire: “Beh, finalmente perché ero proprio stanco di stare in quell’ambiente”. Oppure: “E’ l’occasione buona per cambiare lavoro, perché altrimenti io non lo avrei mai fatto”. Oppure: “E’ la grande occasione per rimettermi in gioco”. Se hai altre visioni di ciò che succede, sei salvo. Perché se tu ti definisci solamente, come quell’uomo, con una sola visione è la fine.

Tuo figlio di 8 anni fa ancora la pipì a letto. Se tu ti vedi solamente sotto la visione “bravo genitore” allora è la fine perché dici: “Ecco, io ce la metto tutta ad educare mio figlio e guarda com’è venuto su”. Ti giudichi, temi il giudizio degli altri, ti arrabbi con lui perché “se la fa ancora addosso” (come se lui volesse!), lo punisci, ti senti in colpa, non puoi portarlo in giro. Ma guarda ciò che succede sotto altre ottiche, visuali. Vedila diversamente! Se come gli animali fa la pipì a letto, magari vuol dire che non sente casa sua come “sua”. E’ un’opportunità per crescere, per imparare, per cambiare. E’ un’occasione per rimettersi in gioco come genitori e per capire di più tuo figlio. Se la vedi così, non è affatto un dramma, anzi.

C’è un uomo che ha una cultura meravigliosa. Ma ha solo quello! Non si può parlare sempre e solo di cose serie! Si ha bisogno di essere leggeri, di ridere. Allora diventa insopportabile, noioso, tedioso.

Oppure un altro che ha il talento di far ridere. E’ bello stare con lui. Ma non si può sempre ridere! Se con gli altri faccio sempre il “simpatico”, stanco! Se faccio sempre il “deciso”, divento l’inavvicinabile. Se faccio sempre il “buono”, divento l’inconsistente. Ma se ho la possibilità di scegliere a seconda dell’occasione, allora sono più libero, allora ho molte possibilità, allora posso essere diverso in base alla situazione. Perché non si può mai affrontare situazioni diverse con un unico schema.

Per sciare ci servono gli scarponi da neve. Ma prova a correre con quei scarponi li! Prova a tenerli 10 ore di lavoro! Ma se hai tante “scarpe”, tanti talenti, allora sì che scegli le scarpe giuste per il momento giusto.

 

16colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.

ANDO’ AD IMPIEGARLI E NE GUADAGNO’=questi due agiscono da signori, come se il talento fosse loro.

 

18Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.

UN SOLO TALENTO=quest’uomo non ha poco, anzi, perché un talento sono 30 Kg d’oro o 20 anni di paga di un operaio: quindi un’enorme fortuna, ricchezza. Ma non si sente signore, padrone, del suo talento.

BUCA NEL TERRENO=perché lo seppellisce? Perché secondo il diritto rabbinico, se uno seppelliva il denaro che gli era stato dato, in caso di furto, non era tenuto a restituirlo. Quindi quest’uomo prende tutte le precauzioni perché lui non crede nella generosità del suo padrone, non crede che, anche se l’avesse perso investendolo, il suo padrone non se ne sarebbe fatto un problema.

 

19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

IL PADRONE TORNO’=lett. è “torna”: quindi questa cosa che riguarda quell’uomo, in realtà, riguarda ogni giorno della nostra vita: Lui torna sempre.

VOLLE REGOLARE I CONTI CON LORO=questo è meraviglioso. Il padrone non torna per farsi restituire ciò che ha donato; il padrone non viene per farsi restituire quello che lui aveva donato ma per vedere che cosa ne hanno fatto.

ALTRI CINQUE=il padrone, il signore, non chiede indietro ciò che ha dato (quindi glieli ha regalati!) ma solo per vedere come se li è giocati.

BENE SERVO BUONO E FEDELE=quest’espressione assomiglia a Gn 1 quando Dio vede ciò che ha fatto e ogni volta dice che era “cosa buona”. Indica la gioia per qualcosa di bello, di meraviglioso.

SEI STATO FEDELE NEL POCO=ma non è vero che è poco: è un’enormità perché sono 150 kg d’oro (una ricchezza straordinaria)!

TI DARO’ POTERE SU MOLTO=il padrone lo invita a far parte di tutte le sue sostanze, di tutta la sua vita e lo fa passare dalla condizione di servo a quella di padrone, libero come lui. Quindi, non è più un suo funzionario ma un padrone tanto come lui.

 

22Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

DUE TALENTI=con quest’uomo il padrone si comporta nello stesso modo di quello che aveva ricevuto cinque talenti.

 

24Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.

SIGNORE SO CHE…= lui ragiona in base a quello che sa, ma è una conoscenza sbagliata.

CHE MIETI DOVE NON HAI SEMINATO E RACCOGLI DOVE NON HAI SPARSO=ma il suo padrone è proprio così? Non sembra proprio! Anzi, è un uomo generosissimo. E’ lui che lo vede esigente, è lui che lo vede “cattivo”, dispotico, spietato, ma in realtà è di una bontà immensa: ha regalato a ciascuno di loro 1-2-5 talenti! E’ la sua visione di Dio che lo distrugge! E’ il nostro Dio che ci manda all’inferno… ma non Dio!

Quindi? Quindi, lui non vede il suo padrone ma quello che lui pensa che il suo padrone sia. E’ la sua immagine, la sua paura, ma il suo padrone non è affatto così. Questa è un’immagine distorta che non viene giustificata dalla narrazione. Nella narrazione vediamo un padrone non solo generoso, ma follemente generoso, che non solo non vuole indietro l’enorme fortuna che ha lasciato ai suoi funzionari, ma addirittura li fa parte di tutto il suo patrimonio, di tutta la sua vita.

Come noi vediamo la realtà (nostra immagine), spesso, non è la realtà.

Qui possiamo vedere come un’immagine sbagliata di Dio (Dio/padrone: Dio è colui che premia e castiga, colui che punisce e che dà secondo i meriti) produce effetti deleteri nella vita delle persone. Per questo ci dobbiamo sempre chiedere e dobbiamo sempre verificare: “Ma il mio Dio (=quello che io dico essere Dio) è veramente Dio (=il Dio del vangelo)?”.

Una donna con quest’immagine di Dio, religiosissima, il giorno in cui suo figlio morì di incidente stradale smise di credere in Dio. Diceva: “Se Dio ci fosse avrebbe impedito che mi capitasse una cosa del genere!”. Il “suo” Dio, l’ha castigata e quindi lei, giustamente, non vuole più saperne di lui. Ma il “suo” Dio è il Dio del vangelo? Non mi sembra affatto!!!

 

HO AVUTO PAURA=Mt vuole arrivare qui: un’immagine distorta di Dio, cioè la paura di Dio, può essere fatale per la persona che ha paura di agire per timore del rimprovero o di sbagliare. Dice Giovanni: “Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore” (1 Gv 4,18).

SONO ANDATO A NASCONDERE IL TUO TALENTO=cosa ha fatto la paura? Lo ha tenuto servo. Cioè, non ha mai considerato come proprio il suo talento. Non è suo (come invece gli altri due), non se ne è mai appropriato, ma si è sempre sentito (e così ha agito) come un servitore di qualcosa che non gli appartiene.

SOTTO TERRA=la paura di sbagliare ha paralizzato l’individuo, la sua crescita e il suo desiderio di vita.

 

26Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse.

SAPEVI CHE SONO=ecco la reazione del padrone che non è d’accordo con l’immagine che il servo ha di lui: è un’immagine distorta. Ma d’altra parte va nella sua direzione: “Se sapevi che ero così (e non lo sono!) perché almeno non l’hai messo in banca (=almeno fruttava in un’altra maniera”). E’ chiaro, questo uomo non vuole giocarsi in nessun modo. Nella risposta il padrone omette “uomo duro”: non è così, è lui che lo vede così.

 

28Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti.

TOGLIETEGLI DUNQUE IL TALENTO=aveva una fortuna immensa ma non sapeva cosa farne, non ha saputo usarla, non ha saputo farla sfruttare. Tutta questa fortuna, per lui, invece che essere motivo di gioia, di investimento, di opportunità, è stata motivo di angoscia, di ansia e preoccupazione. Quindi ciò che accade non è una punizione ma la conseguenza del suo agire: anzi, è esattamente ciò che lui vuole. Lui non vuole tutta questa ricchezza perché gli crea ansia: per cui togliendogliela l’ansia cala!

 

29Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha.

PERCHE’ HA CHIUNQUE HA, VERRA’ DATO E SARA’ NELL’ABBONDANZA…=echo-didomi-perissuo… è la stessa frase di Mt 13,12: “Così a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”. Lì si riferiva a ciò che era stato detto prima: alla parabola del seminatore. Se la Parola giunge su di un terreno buono produce frutto “alla grande”, per cui più uno ha (riceve la Parola) e più gli viene dato (frutti).

Così qui: più uno è ricettivo, coraggioso, coinvolto nella vita e più vive, più ha la grande ricchezza dell’abbondanza. Ma nessuno gliela dà: è lui che con il suo atteggiamento la riceve, se la conquista. Chi, invece, vive nella paura, si ritira sempre più, non sceglie, non osa, e alla fine, perde anche quel poco che ha. Magari ci fu un tempo in cui avevamo un po’ di coraggio nel vivere: poi, giorno dopo giorno, è scomparso e adesso ci sentiamo persi e abbiamo perso anche i cari o la vitalità nella relazione con loro.

Eccolo qua: meno hai vitalità e più ti viene tolto anche quel poco che hai. Ma l’hai voluto tu!

 

30E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.

GETTATELO FUORI NELLE TENEBRE=aveva avuto una fortuna, un dono immenso, ma non ha saputo utilizzarlo, si è lasciato vincere dalla paura. Non è una punizione ma una conseguenza del suo agire. Quando agisci con paura finisci sempre nelle “tenebre”.

PIANTO E STRIDORE DI DENTI= è un’espressione un po’ equivalente al nostro italiano “strapparsi i capelli”. E’ la disperazione per aver fallito la propria esistenza.

 

Cosa dice a me questo vangelo?

 

  1. Osa, vivi, rischia, realizzati, realizza ciò che sei.

Cosa succede? I primi due investono il loro patrimonio e questo si moltiplica (Mt 25,16-17). Il terzo, invece, fa una buca e nasconde il denaro (Mt 25,18).

La differenza è tutta qui: i primi due vivono osando, giocandosi, mettendosi in gioco, rischiando, provandoci. Il secondo, invece, ha paura e la sua paura lo blocca. E’ l’atteggiamento di fondo dei personaggi che fa la differenza.

Alla fine dei tempi tutti gli uomini si presentano davanti a S. Pietro. Tutti avanzano ed entrano in Paradiso. Vi entra un po’ di tutto: persone con mani che hanno derubato, picchiato, ucciso, fatto violenza, posseduto, piene di sangue di altri, ecc. Vi è anche un uomo, l’unico, dalle mani linde, pulite.

Lui non si è mai sporcato le mani con niente. Al vedere tutto ciò sorride: “Le mie sono linde! Le mie sono linde!”, si ripete felice tra sé e sé. Ma arrivato davanti a S. Pietro questi lo ferma e gli dice: “Dove vai? Tu non puoi entrare!”. “Ma come? Guarda le mie mani linde e pulite”. “Appunto”, dice Pietro, “tu, amico, neppure ci hai provato a vivere. Ti avevamo dato la vita. Non ti avevamo chiesto chissà cosa, ma almeno di provarci”. “Vattene, non è il tuo posto questo!”.

 

  1. Sfrutta ciò che sei (=ciò che hai: il tuo patrimonio di talenti, di doti, di sensibilità, di dimensioni interne, di capacità. In sostanza: “Tu sei ricco, scopri la tua ricchezza e utilizzala per te e per il mondo. Nessuno è povero se non chi lo vuole credere”.): “Vivere è realizzare ciò che siamo (il patrimonio)”.

Il talento è la tua vita: vivila! Cosa aspetti a vivere? Cosa aspetti a scendere in campo?

Alcune persone vivono da “panchinari”: ci sono ma non hanno mai il coraggio di entrare in campo, di fare quelle scelte che danno una direzione alla loro vita o che le fanno prendere “colore”, intensità.

Alcune persone non scelgono mai, il lavoro: quello che viene; il partner: il primo che trovano; gli amici: quelli che incontri; gli hobby: quelli che fanno tutti; le idee: quelle che hanno tutti. Mai si chiedono: ma a me cosa sta bene? Ma io cosa voglio? Ma cosa fa per me?

Allora la vita passa. Avevano la possibilità di viverla e invece si sono lasciati vivere. Siccome il treno andava, loro ci sono montati su e si sono lasciati portare. Non hanno avuto il coraggio di scendere e di fare la propria strada con le proprie gambe. Dicono: “Io viaggio!” ma se la stanno raccontando, perché in realtà è: “Il treno viaggia e io vado dove va lui”.

Alcune persone, come quell’uomo, si nascondono sottoterra, cercano di essere invisibili, di passare inosservati e muoiono senza vivere.

Il bellissimo libro “Il gatto e la gabbianella” termina proprio così: “Vola solo chi osa farlo”. Le navi al porto sono al sicuro ma non per questo sono state costruite.

Nel libro “Vivere, amare, capirsi”, Leo Buscaglia scriveva: “A ridere c’è il rischio di apparire sciocchi; a piangere c’è il rischio di essere chiamati sentimentali; a stabilire un contatto con un altro c’è il rischio di farsi coinvolgere; a mostrare i propri sentimenti c’è il rischio di mostrare il vostro vero io; a esporre le vostre idee e i vostri sogni c’è il rischio d’essere chiamati ingenui; ad amare c’è il rischio di non essere corrisposti; a vivere c’è il rischio di morire; a sperare c’è il rischio della disperazione e a tentare c’è il rischio del fallimento. Ma bisogna correre i rischi, perché il rischio più grande nella vita è quello di non rischiare nulla. La persona che non rischia nulla, non è nulla e non diviene nulla. Può evitare la sofferenza e l’angoscia, ma non può imparare a sentire e cambiare e progredire e amare e vivere. Incatenata alle sue certezze, è schiava. Ha rinunciato alla libertà”. Solo la persona che rischia è veramente libera.

La vita è il dono che Dio ci fa: se la viviamo è il nostro dono a Dio. Ma se non la viviamo, se ci nascondiamo, se sotterriamo ciò che possiamo essere,

se permettiamo alla paura di vincerci, allora vanifichiamo il dono di Dio.

 

  1. La paura fa rovinare la tua vita.

Prima o poi la vita ci ritorna quello che noi le abbiamo dato.

Infatti, il padrone ritorna (Mt 25,19) e regola i conti con i servi. E’ chiaro: l’atteggiamento che tu hai nei confronti della vita, ha delle conseguenze.

Il primo e il secondo hanno vissuto “giocandosi” e hanno la conseguenza del loro atteggiamento. Non sono compensati perché hanno guadagnato ma perché ci hanno provato, perché hanno avuto fiducia, perché hanno osato, perché si sono lanciati. Il terzo, invece, ha avuto paura.

Il padrone gli dice: “Ma potevi almeno metterlo in banca!” (Mt 25,27).

 

Com’era il sistema bancario del tempo? Le banche a quel tempo avevano essenzialmente 3 compiti:

  1. cambiavano denaro di diverse valute o di diverse grandezze, ovviamente con margini di guadagno.
  2. Trasferivano denaro da una regione all’altra.
  3. Prestavano denaro.

Qui il padrone si riferisce a questo. Si sa che a quel tempo il prestito di denaro poteva fruttare una rendita annuale dal 10 al 60 %, anche se in genere si era abitualmente sotto il 15%. Il padrone si riferisce a questo: “Ma perché non hai l’hai fatto fruttare, mettendolo in banca? Avrei ottenuto di meno ma avrei sempre ottenuto qualcosa!”.

Laccento qui è sul fatto che il terzo servo proprio non si gioca, non fa fruttificare niente. Avrebbe potuto fare anche diversamente dagli altri due, e sarebbe andato bene! Ma aveva troppa paura!

Dobbiamo anche ricordare che in quell’epoca forse vigeva ancora il divieto del prestito a interesse per gli ebrei (Dt 23,30; Es 22,24): per cui il fatto che il servo gli rinfacci che lui è “un uomo duro, che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso” sembra avere un fondamento di verità e getta la luce su di un padrone avido di guadagno. Ma di certo non era questo l’interesse di Gesù!

 

Allora: qual è il centro della parabola? Che cosa impedisce al terzo servo di giocarsi? La paura.

Lui ha paura: non vuole essere criticato, non vuole fare errori, non vuole sbagliare, non vuole essere giudicato. Vuole controllare tutto, vuole essere sicuro, certo e facendo così perde tutto.

Certo se avesse rischiato, vissuto, avrebbe potuto perdere i suoi soldi; certo se avesse rischiato, vissuto, avrebbe potuto sbagliarsi e perderli tutti; certo se avesse rischiato, vissuto, avrebbe potuto esser giudicato o criticato per ciò che faceva o diceva; certo se avesse rischiato nessuno gli avrebbe potuto garantire un esito felice. Ma se non si rischia si muore. E’ la paura che ci fa morire, non gli imprevisti della vita.

C’era un negozio dove si vendeva la felicità. Una persona vi entrò ed espose il suo problema: era così triste! “Può far qualcosa per me?”, disse incontro al negoziante. “Certo! Le posso dare la felicità”. L’uomo divenne subito felice; si diceva: “Ma pensa un po’ c’è un negozio dove si vende la felicità!”. Il negoziante aprì il cassetto e mise nel palmo della mano un grande seme. L’uomo lo guardò: “Ma che roba è, questa?”. “E’ la felicità!”, disse il negoziante. “Se la semina nella sua vita – continuò – sarà veramente felice”.

La vita è così: un patrimonio da far fruttificare, da realizzare, da far fiorire. Ma bisogna osare, provarci, rischiare, ripartire. Unico nemico: la paura! “Tutto è possibile per chi crede ma nulla si realizzerà per chi ha paura”.

 

Una storia racconta così: vi erano 3 fratelli: Jacopo Colombo, Gregorio Colombo e Cristoforo Colombo. Jacopo: “Chissà se c’è qualcosa di là” e passò la vita a pensare a cosa ci poteva essere oltre il mare. Pensiero. Gregorio: “Forse c’è qualcosa, ma è troppo pericoloso andarci”. Paura. Cristoforo: “Cosa ci sia non lo so… andiamoci a vedere!”. Così scoprì l’America. L’azione.

 

 

Pensiero della Settimana

 

Ogni giorno devi scegliere

tra sicurezza (la paura di sbagliare, di incontrare lo sconosciuto e di osare)

e il rischio (per progredire e crescere).

Scegli di crescere almeno dieci volte al giorno.