L’obolo della vedova

XXXII domenica del tempo Ordinario

Domenica 11 novembre 2018

Prima lettura: 1 Re 17, 10-16          Salmo: 145     Seconda lettura: Eb 9, 24-28            Vangelo: Mc 12, 38-44

 

 

Dopo la cacciata del tempio dei venditori e dei compratori, si scatena contro Gesù un attacco incrociato da parte di tutti i difensori dell’istituzione religiosa: sadducei, farisei, erodiani e scribi. Adesso però, con il vangelo di oggi, è Gesù che passa al contrattacco. E’ una pagina terribile per la violenza verbale con la quale Gesù si scaglia contro i massimi rappresentanti dell’istituzione religiosa.

 

12,38Diceva loro nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, 39avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti.

DICEVA LORO=Gesù qui si rivolge alla folla, che è entusiasta di quello che Gesù dice (Mc 12,35-37).

NEL SUO INSEGNAMENTO=didaché=dottrina.

Gesù si trova nel tempio. Se si trattasse solamente di un fatto storico, Mc avrebbe scritto: “Gesù diceva loro”. Ma Mc aggiunge: “Nel suo insegnamento (didachè)”. Quindi quello che qui dice Gesù non riguarda solamente un fatto storico ma fa parte del suo insegnamento, riguarda cioè non solo quel tempo ma tutti i tempi, riguarda la vita di ogni comunità cristiana. E’, quindi, parte integrante della sua dottrina: se accetti Gesù questa cosa la devi accettare.

Quindi le parole che Gesù qui dice sono valide per “gli scribi” di ogni tempo, qualunque nome abbiano: “State lontano da chi fa o si comporta così!”. E come facciamo a riconoscerli? Ecco le indicazioni di Gesù per riconoscerli.

GUARDATEVI=blepete è imperativo e significa: “Attenti!”. Attenti perché sono persone pericolose.

Gesù invita a stare attenti da una certa categoria di persone. E chi sono? Gesù dice: “State attenti ai peccatori, ai fuorilegge, agli eretici”? No! Gesù dice: “State attenti dagli scribi”.

 

DAGLI SCRIBI=Chi erano questi scribi? A noi il termine scriba ci fa pensare a degli scrivani, ma non è così.

Gli scribi erano i teologi, il magistero infallibile, la Dottrina della Fede del tempo. Studiavano la Scrittura tutta la vita e a 45 anni ricevevano lo stesso Spirito di Mosè: da quel momento erano la Parola del Dio vivente. Se vi era contraddizione tra la parola di Dio e lo scriba, bisognava dar retta allo scriba. La loro autorità era maggiore dei re e del sommo sacerdote.

Che dice Gesù? “Attenti a questa razza di gente!”. E poiché il vangelo non è tanto cronaca ma teologia, Gesù pone dei criteri per riconoscere gli scribi di tutti i tempi.

 

Gesù si era già scontrato più volte con gli scribi.

In Mc 2,6 gli scribi dicono di Lui. “E’ un bestemmiatore!”. Solo che Gesù ha un sacco di seguito di persone e tutti vedono che fa miracoli; tutti sentono le sue parole d’amore; tutti vedono la libertà che apre alle persone.

Così un giorno gli stessi scribi giungono da Gerusalemme (Mc 3,22). Vengono per controllare l’ortodossia di questo Gesù. Quelli che scendono da Gerusalemme sono la Santa Sede dell’epoca: non sono semplici preti ma sono il fior fiore dei cardinali, dei teologi, gente intelligente.

E cosa vedono? Vedono che Gesù quello che dice lo fa. Non possono dire alla gente: “Gesù vi mente”, perché tutti avevano occhi. Con Gesù i ciechi tornavano a vederci, gli zoppi a camminare, i paralitici a rialzarsi e i morti a vivere. Tutto questo lo vedevano tutti; mica potevano dire: “Non è vero!”.

Allora cosa dicono: “Sì, lo fa, ma sapeste in nome di chi lo fa? Lo fa in nome del diavolo!”. Dicono: “Gesù!? E’ un indemoniato; è un eretico; bestemmia!; è’ posseduto da Beelzebul, il capo dei demoni” (Mc 3,22).

Chi era questo Beelzebul? Baal=signore e zebub sono le mosche, quelle mosche di campagna che stanno sugli escrementi. Era il dio che proteggeva da queste mosche, cioè dalle malattie. Siccome la gente andava in questo santuario dedicato a Baalzebub, i farisei (astuti!) avevano trasformato il nome da Baal Zebub in Baal Zebul (zebul=letame). Cos’è il letame: è ciò che attira le mosche. Era un modo per diffamare questa divinità.

Cosa dicono allora gli scribi di Gesù: “Sì, è vero che lui guarisce (mica potevano dire il contrario!), ma lo fa per infettarvi ancora di più! Fa il vostro bene per portarvi ancor di più nella perdizione”.

E qui Gesù pronuncerà le parole più dure della sua vita: “Tutti i peccati saranno perdonati e anche le bestemmie eccetto chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo che sarà reo di colpa eterna, senza nessun perdono” (Mc 3,28-29). E Gesù dice questo, dice il vangelo, perché loro dicevano: “E’ posseduto da uno spirito immondo” (Mc 3,30).

Questa cosa ha fatto tanta paura e tutti si sono chiesti: ma cos’è ‘sto peccato contro lo Spirito Santo? Tranquilli! Voi non lo farete mai! Lo farò io e lo faremo noi preti, ma voi no! Perché il peccato contro lo Spirito Santo è il peccato che fa l’autorità religiosa (qui gli scribi a cui Gesù si riferisce) quando dice che ciò che fa bene all’uomo (ciò che Gesù fa) è male (“è posseduto da Beelzebul; bestemmia; è posseduto da uno spirito immondo”; Mc 3,22-30).

Non può essere perdonato perché tu chiami “male” (e ne sei convinto) ciò che è “bene”. Per Gesù questo è intollerabile, la cosa più grave possibile.

La vita dei santi, di coloro che hanno portato “il bene”, è piena di “scribi” che li hanno identificati come il massimo “male”. San Giovanni della Croce, dottore della Chiesa, è stato rinchiuso, imprigionato, sottoposte a torture fisiche, morali, spirituali dai suoi stessi fratelli frati, abbandonato da tutti. Sembrava essere il “male” in persona! E Santa Teresa d’Avila, dottore della Chiesa, fu accusata di essere posseduta dal demonio, le venne impedita la comunione e fu esorcizzata.

 

1. AMANO PASSEGGIARE IN LUNGHE VESTI=lett. “Vogliono (non amano) passeggiare con le stole”; stolè=veste, stola, ecco la prima caratteristica dalla quale si riconoscono queste persone pericolose, dalla quale è meglio stare alla larga: “Vestono in maniera diversa dagli altri”.

Vogliono indossare degli abiti (stola) per indicare il loro grado, la loro importanza e la loro relazione con il Signore. Si deve vedere che loro non sono come gli altri, che hanno un rapporto privilegiato con Dio, che loro sono “più vicini” a Lui.

Ma attenzione perché la ricchezza esteriore (cfr. il ricco che “vestiva di porpora e bissi” Lc 16,19-31) nasconde la povertà interiore. Quando una persona ha bisogno di distinguersi attraverso i vestiti e i comportamenti, è una persona interiormente povera che tenta di “aggiungere” fuori (con i vestiti) quello che non ha dentro: “State lontano da queste persone”.

Il vestito serve per dire: “Io non sono come voi: sono di più!”. “Io sono più puro, più santo e per questo mi distinguo da voi”.

2. RICEVERE SALUTI NELLE PIAZZE=i saluti non solo si riferiscono a: “Ciao, buongiorno, come sta?”. Questi hanno un sacco di titoli che vogliono che siano espressi: “Buongiorno Monsignore… Dottore… Reverendo… Illustrissimo… ecc.”: sono ambiziosi e vogliono che la loro importanza venga riconosciuta e stimata dalla gente.

Se hai bisogno dei titoli per sentirti qualcuno allora davvero sei proprio nessuno!

I titoli servono per dire: “Io sono più di voi”.

3. AVERE I PRIMI SEGGI NELLE SINAGOGHE=nelle sinagoghe c’erano dei gradini e i primi seggi erano quelli che stavano in alto, sopra i gradini, quindi erano i posti più in vista perché la gente li vedeva da sotto. Quindi avere i primi posti vuol dire desiderare di essere visibili, distinguersi, essere di più, essere superiori.

I posti d’onore servono per dire: “Io sono più di voi”.

4. PRIMI POSTI NEI BANCHETTI=il primo posto era quello vicino al padrone di casa, dove si era serviti prima e meglio. Era quindi il posto d’onore. Sono quindi di una vanità e di un appetito insaziabile.

Questa gente è quella che frequenta “la gente bene”, i ricchi, i famosi, che stanno a tavola con quelli che contano. Mia nonna mi raccontava che il parroco del suo paese andava spesso a mangiare nella loro famiglia: lui era sempre il primo ad essere servito e a lui andava il pezzo di pollo migliore (il “boccon del prete”!).

I primi posti nei banchetti vuol dire: “Io non sono come tutti. Io sono di più!”.

 

Quindi questi sono i segnali per riconoscere questa gente. E cosa fanno?

 

40Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».

1. DIVORANO LE CASE DELLE VEDOVE=la vedova nella Bibbia è immagine della persona che non avendo un uomo che si prende cura di lei e che la difende, è indifesa. Vedova, orfano, straniero: erano tutti coloro che erano deboli, che non avevano un uomo che li difendeva. Quindi, vedova non rappresenta tanto una donna a cui manca il marito, ma soprattutto gli indifesi.

Che fanno questa gente? Invece di aiutarli, fregano la povera gente. Ma non dobbiamo solo pensare all’aspetto economico, ma soprattutto religioso: “Fai la tua offerta (e così divorano le tasche di chi già ha poco)… se fai così Dio non ti vuole, non sei in grazia (e così fanno sentire la gente sempre impura, peccatrice e quindi manipolabile)… ecc.”. La gente indifesa non sa come difendersi da questi “manigoldi”, non ha né i mezzi economici né intellettuali per difendersi e quindi viene “divorata, mangiata, risucchiata” da loro e dal loro pensiero.

2. PREGANO A LUNGO PER FARSI VEDERE=la traduzione è fuorviante perché letteralmente c’è scritto: “Fanno vedere di pregare a lungo”. Non è che pregano a lungo: no, fanno finta di pregare!

Quella che sembra preghiera, per Gesù invece, è solamente ostentazione: “Ma che preghiera!”, è una recita! Per Gesù è solamente un “bla, bla, bla”: non c’è cuore ma solo formalismo. Fingono di pregare tanto per sentirsi migliori degli altri e, poiché pregano molto, lo credono davvero.

ESSI RICEVERANNO UNA CONDANNA PIU’ SEVERA=Gesù parla sempre di misericordia, perdono, amore per tutti, nessuno escluso. Ma qui, ed è l’unica volta, no! Nessuna pietà, nessuna misericordia per chi, voce ufficiale di Dio, istituzione religiosa, si spaccia per suo portavoce e invece di proclamare un Dio che si avvicina alla gente, si distanziano loro e distanziano la gente da Dio (questa condanna l’aveva già espressa in Mc 12,1-12 nella parabola dei vignaioli omicidi). Ma non è finita!

 

41Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte.

Il Tempio di Gerusalemme era la banca d’Israele perché le persone, per superstizione, credevano che mai nessun ladro avrebbe osato rubare nel tempio, perché lì c’era la presenza di Dio.

Il Tempio di Gerusalemme era la più grande banca di tutto il Medio Oriente.

Tanto è vero che quando avvenne la conquista romana di Gerusalemme, con l’imperatore Tito che saccheggiò tutto il tesoro, l’enorme quantità di oro trovata e poi messa in circolazione, fece sì che per tutta la Siria il prezzo dell’oro calasse più della metà. Per questo la gente gettava le monete nel tesoro, perché era un deposito sicuro e protetto.

SEDUTO DI FRONTE AL TESORO=ecco il vero Dio del tempio, Mammona. Al centro del tempio non c’è il Padre ma il Tesoro! Questi scribi, questi teologi, tutto fanno per il loro interesse.

Per questo Gesù aveva detto: “Avete fatto della mia casa una spelonca di ladri” (Mc 11,17). Cos’era la spelonca? Era il covo dove i banditi ammassavano la refurtiva. Solo che i banditi dovevano fare fatica: si dovevano appostare per strada, aspettare il pellegrino, accopparlo, prendere la refurtiva e portarla al covo.

Ma con i sacerdoti, invece, addirittura avviene il contrario: è la gente che va a farsi rapinare da loro, convinta che sia giusto così. E ciò per Gesù è intollerabile.

A quell’epoca il perdono delle colpe non veniva cancellato alla modica offerta di tre Pater, Ave e Gloria, ma ci volevano tre capre o una gallina o due piccioni: questo era uno stratagemma eccezionale per rendere continuo l’afflusso di denaro al Tempio. Per cui i sacerdoti con le parole tuonavano: “Peccatori, convertitevi!” ma dentro di sé si auguravano: “Peccate, peccate che noi ci ingrassiamo. Più voi peccate e più noi ci ingrassiamo”.

C’è la “spelonca” di soldi ma c’è anche quella interiore.

Signore, io ho fatto questo peccato… cosa devo darti/farti per scontare? Quanta penitenza devo fare?

Signore, io ho fatto questo peccato… mi vorrai ancora? Posso avvicinarmi a te?

Signore, io ho fatto quest’altro peccato… cosa devo “pagare” per poter essere ancora degno di te?

Così veniva sottratta non soltanto la dignità e la coscienza alle persone, ma addirittura il Padre, il Dio di Gesù che tutti accoglie, ama e a che a tutti dà vita, una nuova nascita e opportunità.

 

OSSERVAVA COME LA FOLLA VI GETTAVA MONETE=Il tesoro del tempio era circondato da tredici grandi cassette fatte a forma di tromba, ognuna delle quali portava il nome dell’offerta: per l’incenso, per i paramenti, per il fuoco, per i leviti, per i sacerdoti, ecc.

Il Dio degli scribi è un Dio che continuamente chiede e richiede.

TANTI RICCHI NE GETTAVANO MOLTE=i ricchi ne gettano molte per mostrare quanto religiosi sono. Ma per chi ha tanto, dare qualcosa è poco o niente.

 

42Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.

MA VENUTA UNA VEDOVA=questa è una di quelle vedove divorate nei loro beni dagli scribi e dalla loro avidità. Così la religione divorava le vedove: non le rubava fisicamente ma le costringeva moralmente, spontaneamente, a doversi svenare per essere accette da Dio.

VI GETTO’ DUE MONETINE=che fanno un soldo, che è praticamente nulla. Come se noi dicessimo: “20 centesimi (due monetine da 10 centesimi)”.

Questa donna che si sentirà in colpa per chi sa che cosa, invece di utilizzare i suoi spiccioli per un pezzo di pane (di più non poteva acquistare!), li porta al tempio perché Dio la accolga.

La religione, come molte altre credenze, ti entra dentro le vene, nel dna, e se non stai attento, non te ne liberi più. Ci sono persone che hanno imparato delle cose che non saranno mai più messe in discussione o vagliate. Tutta la loro vita sarà secondo ciò che hanno imparato che non sarà mai più discusso.

 

La donna del vangelo è una dipendente affettiva.

Cosa avviene nella dipendenza affettiva?

C’è un grande buco d’amore (in genere il buco nasce da molto lontano: dal non essere stati amati per quello che eravamo, dal non essere stati riconosciuti o accolti o coccolati; dall’essere stati amati solamente a condizione (“Se sei bravo…”), ecc).

Da una parte quindi si rimane bambini piccoli, non amati, che chiedono che qualcuno li ami e per cui sarebbero disposti a fare di tutto. Quindi tendenza al sacrificio incondizionato.

Dall’altra parte si ha un bisogno enorme di trovare sicurezza e protezione. Quindi bisogno di trovare di nuovo “la mamma e/o il papà” che forniscono sicurezza.

Poi nella vita si cresce e, con le antenne sempre aperte per trovare ciò che si cerca, lo si trova!

Spesso è un uomo (o una donna): “Sei il mio tutto; senza di te non posso vivere; se mi lasci, io muoio”, ecc. Si vive il terrore di essere abbandonati e di perdere la persona amata; senza di lei ci si sente soli e con un buco dentro. E’ per questo che si diventa gelosi; é per questo che ci si sacrifica (difficoltà a riconoscere i propri bisogni), si fa tutto quello che l’altro vuole, si rinuncia a sé (pur di ricevere riconoscimento, attenzioni); ma è anche per questo che si è arrabbiati con l’altro (“non fa mai niente per me!; guarda quanto io faccio per lui!”) e si pretende perciò un sacco di cose da lui.

Ma anche se la relazione funzionasse (in genere all’inizio infatti funziona, ma solo all’inizio) è l’incastro che è fatto male di per sé, perché il dipendente affettivo rimane sempre dipendente, rimane un bambino, una cozza, un parassita, che non può vivere senza l’altro.

Anni fa una donna, dopo che il marito era uscito di casa, tentò il suicidio. I suoi familiari dissero: “Vedi quanto lo ama! Farebbe di tutto per lui! Che ingrato il marito!”. Ma più che amore era dipendenza!

Ma si può essere dipendenti affettivamente da tante cose. Cioè, si può mettere in quel buco tanto altro e assolutizzarlo e chiedergli di essere quella “madre” di cui non abbiamo avuto l’amore. Allora si diventa dei “drogati”, dei tossicodipendenti: non possiamo più vivere senza quella cosa lì; ci sentiamo male se non l’abbiamo. La chiamiamo “fede” o “amore” o “interesse” o “amicizie”, ma è droga.

La religione. Si diventa dipendenti religiosi quando si pensa e si agisce per “guadagnare” la Grazia di Dio (essere bravo; dire preghiere, fare digiuni, ecc; essere perfetti/santi).

Cosa c’è dietro un dipendente religioso? Non ha avuto amore nell’infanzia: ora chi gli darà quel rispetto e quell’amore che non ha? Se neppure sua madre non gliel’ha dato, dovrà conquistarselo!

Per questo i dipendenti religiosi sono perfezionisti e vedono peccato dappertutto (la sessualità è male; i desideri vanno repressi; la rabbia non si prova): infatti cercano di conquistarsi l’amore di Dio. Proprio per il fatto che temono di perdere l’amore di Dio, questi dipendenti aderiscono rigidamente alle regole e ai funzionari religiosi (simbolicamente i rappresentanti religiosi sono i genitori che ti possono dare l’amore). Proprio per questo vedono satana, demoni e il male dappertutto: sono terrorizzati, infatti, da ciò che di sconosciuto, di non controllabile, potrebbe sottrargli l’amore.

Ma poiché non riescono ad essere perfetti allora hanno paura di perdere l’amore di Dio (i dipendenti religiosi soffrono di enormi sensi di colpa e sono rigidissimi).

E si sentono cattivi, indegni (dell’amore di Dio, sostituto di quell’amore che non arrivava qualunque cosa facessero). E’ per questo che i dipendenti religiosi fanno dei sacrifici terribili, rinunciano ai piaceri e alle gioie della vita e s’impongono delle rinunce e delle penitenze volontarie proprio per espiare questa sensazione terribile di dolore (“Scusa se non vado bene; non lo faccio più…”).

E quindi cercano di ri-essere perfetti, per cui il meccanismo malato di dipendenza aumenta e si incista sempre di più.

C’è una donna che se non dice cinque rosari al giorno soffre di sensi di colpa terribili e non dorme la notte. Ma più che una grande fede, forse, potrebbe essere una grande paura!

Il buco d’amore può essere riempito con molte altre “droghe”: il lavoro, lo sport, regimi alimentari ristretti, dipendenza dal gruppo, il gioco d’azzardo, internet o il cellulare.

Il meccanismo è sempre lo stesso: “Ho un grande buco d’amore; trovo una droga che lo riempia; non posso stare senza la droga perché quella droga è tutto “l’amore che ho”; mi sento in colpa ma non posso starne senza; tento di smettere ma in realtà ne ho sempre più bisogno”.

I Padri del deserto hanno questo racconto. Un giorno il maestro disse ad un discepolo che pregava sempre: “Ma quando smetterai di appoggiarti a Dio e ti reggerai sulle tue gambe?”. Il discepolo: “Ma proprio tu ci hai insegnato a pregare nostro Padre Dio”. Il maestro: “Vero, ma Dio non è qualcuno a cui appoggiarsi ma che ti libera dalla tendenza di appoggiarti.

Il vero Padre è felice se tu non ti appoggi a Lui e te ne vai per la tua strada.

Il falso Padre è felice se ti appoggi a Lui, così tu rimani sempre il suo bambino”.

 

43Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri.

ALLORA CHIAMATI A SE’ I SUOI DISCEPOLI=ancora una volta Gesù deve chiamare a sé i suoi discepoli. E perché li deve chiamare? Perché sono lontani! I discepoli lo accompagnano ma non lo seguono perché non capiscono la novità del messaggio di Gesù.

Attenzione adesso: questo che Gesù rivolge non è un elogio della vedova, ma un pianto di compatimento nei confronti di una persona vittima e complice dell’istituzione religiosa. Questa vedova è vittima di un Dio vampiro che succhia il sangue dei suoi figli.

IN VERITA’=kai amèn=quindi è un’affermazione importante, solenne.

QUESTA VEDOVA COSI’ POVERA HA GETTATO NEL TESORO=per la terza volta ritorna la parola “tesoro” e noi sappiamo che tre per gli antichi indica la totalità. Quindi, questo, il tesoro, è il vero Dio del Tempio.

PIU’ DI TUTTI GLI ALTRI=gli altri, chi sono? I ricchi che ha appena visto. I ricchi gettano “del di più”, ma lei getta non dei soldi, ma la sua “stessa vita”.

Questo non è uno spot dell’8‰: Gesù fa un gioco di parole dove tutti i suoi soldi sono tutta la sua stessa vita.

 

44Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

TUTTI HANNO GETTATO PARTE DEL LORO SUPERFLUO LEI INVECE NELLA SUA MISERIA=isteris=privazione, mancanza, penuria, difetto: è una miseria economica perché la vedova non ha niente, ma è anche una miseria interiore perché è una donna facilmente plagiabile e condizionabile.

Gesù non apprezza il gesto della donna: la vede come una vittima dell’istituzione.

La miseria della donna è che le è stato fatto credere che Dio vuole le sue offerte e che per essere in grazia con Dio deve dissanguarsi. La miseria della donna è che si è lasciata convincere che Dio vuole così, che Dio è così. Ma questo non è il Dio di Gesù!

VI HA GETTATO TUTTO QUELLO CHE AVEVA, LA SUA VITA INTERA: letteralmente c’è scritto così.

Gesù parla quindi a due livelli: da una parte vi ha gettato tutti i suoi soldi, tutto quello che aveva (“vi ha gettato tutto quello che aveva”) ma ha gettato, buttato via, anche la sua stessa vita credendo ad un Dio vampiro (“la sua vita intera”).

Per comprendere il lamento di Gesù bisogna rifarsi alla Legge. Nella Legge, nel Deuteronomio, si stabiliva che con le offerte del tempio bisognava mantenere le vedove e gli orfani. Ebbene, gli scribi, con la loro teologia e soprattutto con la loro insaziabile voracità, avevano trasformato questa legge.

Non solo il Tempio non manteneva più le vedove, ma erano le stesse vedove che si svenavano per mantenere il Tempio offrendo tutto quello che avevano.

Quindi quella di Gesù non è affatto una lode ma un lamento: Dio che è difensore dei vedovi diventa qui una sanguisuga, un vampiro, che succhia il sangue della gente.

Quale padre vuole che suo figlio muoia di fame per saziare lui? Il Dio di Gesù non chiede ma dà; non vuole ma si propone.

 

Per comprendere la reazione di Gesù bisogna aggiungervi i versetti che seguono. Un discepolo entusiasta dice: “Maestro guarda che pietre e che costruzione!” (Mc 13,1). Ma Gesù risponde: “Non rimarrà pietra su pietra che sia distrutta” (Mc 13,2).

Il Tempio, che doveva proteggere le persone e che invece le sfrutta, che doveva aiutare le vedove e invece le dissangua, verrà distrutto, eliminato (e dev’essere così) perché ha perso il senso del suo esistere, lontano dal piano del Padre di amare ogni sua creatura.

 

Il Dio di Gesù non chiede, il Dio di Gesù dà.

Noi ce l’abbiamo dentro questa cosa: sacrificarsi per Lui!

Pensate ai fioretti: “Non mangiare il dolce!”. “Ma è buono!”. “Fa’ un fioretto per Gesù!”. “I ciucetti no… il gelato no… la televisione no… i giochi no”: tutto perché erano fioretti per Gesù!

Ma che Dio è quello che è contento che soffriamo e che ci togliamo le cose belle per lui. Ci privavamo di qualcosa per fare contento Dio, un Dio contento se noi ci privavamo di qualcosa, anzi, se poi questa privazione ci costava sacrificio, Dio era ancor più contento. E più ti costava e più Dio era contento!

Pensate ai sacrifici. Se una cosa non ti costava sacrificio non andava bene per Gesù.

La mia catechista era una donna meravigliosa in quanto a bontà e generosità. Lei lo faceva perché le piaceva stare con i ragazzi e aveva il tarlo: “Sì, ma questo basterà? Non è mica un sacrificio per me insegnare catechismo!”, e pensava che non bastasse.

L’uomo non si deve togliere il pane per offrirlo a Dio, ma è Dio che si fa pane per offrirsi, Lui, agli uomini.

Un giorno Madre Teresa tentò di fare coraggio ad una malata di cancro, tormentata da dolori lancinanti, dicendole che Gesù doveva amarla molto. Le disse: “Le tue sofferenze sono baci di Gesù”. Ma l’ammalata le rispose bruscamente: “Madre, allora dica a Gesù che si tenga i suoi baci”. Non facciamo retorica, non interpretiamo disinvoltamente il dolore.

Cosa mi dice questo vangelo? Mi dice: “Vivi!”. Dio non vuole la morte ma la vita.

 

Cosa ha fatto Gesù in tutto le pagine del vangelo? Aiutava la gente a vivere per davvero.

Se uno era cieco: “Apri gli occhi, non nasconderti la verità”, cioè: “Puoi vivere di più”.

Se uno era paralitico: “Smettila di piangerti addosso… alzati in piedi… affronta le difficoltà e fai la tua strada”, cioè: “Vivi in prima persona, perché ne sei capace”:

Se uno era morto (tipo l’amico Lazzaro): “Vieni fuori. Smettila di morire”, cioè: “Vivi… senti… emozionati… slegati da ciò che ti fa morire… esprimiti… realizzati”.

Se uno era imprigionato dalla religione come questa donna, Gesù le diceva: “Vivi. Dio non vuole da te che ti sveni; Lui non è sanguinario, Lui vuole la vita”.

Se uno era imprigionato dai sensi di colpa per la sua vita, come la peccatrice, Lui le diceva: “Vivi. Avrai sbagliato, ma tu sai amare. Adesso torna ad amare perché tu lo puoi”.

Se uno era ingabbiato da tristi e ottuse leggi religiose, Lui gli diceva: “Vivi! La religione, il sabato, le regole religiose sono fatte per l’uomo e non l’uomo per il sabato”.

Se uno era insoddisfatto, Lui gli diceva: “Vivi! Seguimi! Se vuoi la vera felicità devi trovare un senso alla tua vita e un modo per spendere ciò che sei e metterlo a servizio degli altri”.

Se il tuo rapporto con Dio ti spegne questo, non è il Dio del vangelo.

Nella Bibbia ci sono cinque leggi ontologiche, delle leggi che Dio ha messo nel cuore dell’uomo e che l’uomo “deve” rispettare per essere felice. Sono leggi progressive.

  1. Scegli la vita e non la morte. Tu sei vita.
  2. Scegli te stesso così come sei. Tu sei questo. Accetta la tua storia… origini… infanzia… radici.

Se vuoi essere qualcos’altro da quello che sei non potrai che fallire. Parti dalla tua realtà.

  1. Scegli di diventare te stesso. Tu sei unico. Tu non sei come tuo padre né come madre, né come gli altri: il tuo compito è fare il tuo viaggio verso di te per esser ciò che veramente sei (=come Dio ti ha creato).
  2. Scegli l’amore. Fai vivere il tuo amore. L’amore di Dio vive in te: conoscilo, sperimentalo e poi usalo verso di te (sii buono con te) e verso gli altri (misericordia, tenerezza, compassione).
  3. Scegli di donarti. Realizzati nel dono di te. La vita ha bisogno di essere data, versata, spesa per una causa: allora ci si sente al servizio di Dio; allora si è utili e ha un forte senso vivere.

La prima legge è per questa donna e per tutti: “Vivi! Scegli la vita e non la morte”.

Questo è un criterio di vita: “In questa situazione cosa vuol dire scegliere la vita? Cos’è che è vitale? Cos’è che è mortale?”. Lui vuole la mia vera vita.

Una donna ha un segreto che nessuno sa. Dice: “Ho una cosa che vorrei dire ma mi vergogno e ho paura del dolore se ne parlo”. Scegli la vita: tira fuori gli scheletri nascosti.

I genitori di un ragazzo gli hanno restaurato l’appartamento sotto al loro, gratis. Ma lui lì si sente sempre controllato: “Se me ne vado soffriranno tantissimo. Con tutto quello che hanno fatto per me”. Scegli la vita, scegli ciò che ti fa vivere, ciò che ti rende vitale, anche se difficile o doloroso.

Un giorno un uomo visitò un piccolo cimitero di paese. Nella prima tomba c’era scritto: “Angelo, 4 anni e 3 mesi”; in quella vicina: “Anna, 2 anni e 3 giorni”; quella di fianco: “Mario, 6 mesi e 7 giorni”. La cosa incredibile era che nessuno dei seppelliti aveva vissuto più di 10 anni. Anzi molti neppure un anno.

L’uomo pensò: “Che terribile: in questo paese muoiono tutti bambini”.

Appena uscì dal cimitero, sconvolto per ciò che aveva visto, si fermò al bar vicino e disse al barista ciò che aveva visto.

Il barista, tanto non c’era nessuno, si sedette con lui: “Lei per quanto tempo si è dato ad un sogno?”. “Una settimana (e il barista scrive su di un pezzo di carta un numero)”. “Quante volte ha detto a qualcuno: “Ti amo… ti voglio bene… sei importante per me”? Per quanto tempo?”. “Un’ora” (e il barista scrive). “Per quanto tempo è stato innamorato?”. “Un mese”. E via una serie di domande così: “Per quanto tempo ha pianto? Per quanto si è appassionato? Quanto si è commosso?”, ecc.

 Alla fine il barista, tira un riga, fa una somma e gli dice: “Come si chiama lei?”. “Arnaldo”. “Vede se lei morisse oggi noi scriveremo: Arnaldo, 4 mesi e 3 ore. Vede, da noi, sulla tomba, non si scrive quanto uno sta al mondo ma quanto uno vive”.

 

Pensiero della settimana

La vita non si misura

attraverso il numero di respiri che facciamo,

ma attraverso i momenti che ci lasciano senza respiro.