Assunzione Beata Vergine Maria

Assunzione B. V. Maria

Mercoledì 15 agosto 2018

Prima lettura: 1 Re 19, 4-8   Salmo: 33      Seconda lettura: Ef 4, 30-5, 2     Vangelo: Lc 1, 39-56

 

 

Questa festa nasce con la definizione del dogma dell’Assunta da parte di Pio XII il 1 Novembre 1950. In questo dogma si afferma che Maria è stata presa (in latino assunta, assumptus) in cielo in corpo e anima.

I primi cristiani si ponevano questa domanda: “Ma Maria, che fine ha fatto?”. In effetti, se leggete il vangelo, non troviamo scritto niente sulla fine di Maria. Nel vangelo non c’è scritto né cosa sia successo, né cos’abbia fatto, né dove sia andata o come sia morta.

Assumptus non vuol dire che Maria non sia neppure morta. Dice solo: “Alla fine della sua vita terrena la Madonna è stata presa (assumpta) in cielo”. Cioè non dice: “Maria non è neppure morta”, ma: “Maria è in Dio”. Maria (rappresentante di tutti gli uomini e le donne) è in Dio.

Questo è un dogma, una certezza incrollabile, definita e definitiva; perciò questa festa è fonte di grande forza, speranza e fiducia per tutti noi.

Alla fine della vita terrena, Maria è andata in Dio. Alla fine della mia vita, c’è Lui, Dio, la Casa. “Quindi tranquilli amici, non abbiate troppa ansia, né troppa paura, né troppa preoccupazione: si va, come Maria, verso la vita! Verso la Vita vera!”.

Assumptus viene da sumo (prendere, afferrare) e ad (verso di sé): prendere con sé. Con la morte ti sembra di cadere in un baratro infinito, ti sembra di perdere tutto, di cadere nel vuoto, nel nulla; ti sembra di precipitare, che tutto finisca e, invece, no! C’è una mano che ti afferra (ad-sumo) e che ti prende, così tu non cadi nel vuoto.

Tanti anni fa durante un’escursione una ragazza è scivolata e sotto c’era un bello strapiombo. Un suo compagno è stato lestissimo e l’ha presa per lo zaino (che portava sulla schiena) impedendole la caduta. È stato un attimo scivolare; è stato un attimo prenderla. Dopo lo spauracchio lei lo guarda e gli dice: “Oh, oh, che paura!” (un po’ dopo ha avuto un attacco isterico di pianto); e lui (un po’ facendo lo sbruffone!): “Tranquilla, ci sono io!”. Ma quell’espressione: “Tranquillo, ci sono io!” risuona ancor oggi forte e viva in me.

Una donna, quarantacinque anni, in fase terminale di tumore mi ha detto: “Marco sono in pensiero per i miei figli che sono piccoli; ma ti dirò la verità: ho una grande paura. Dove andrò? Sarà la fine? Ci rivedremo?”.

Più passano gli anni e più le persone sentono che il filo del tempo si fa sempre più corto. L’angoscia e la paura, magari tenute a bada o controllate, non possono non bussare alla porta: “Dove andremo? Che ne sarà? È la fine di tutto? C’è un oltre? Spariremo? Saremo puniti?”.

La festa dell’Assunzione è una certezza per tutti: “Tranquillo, come Maria, tu andrai nella Gran Casa. Lì ci sono tutti; lì ci siamo tutti; tranquillo, sembra la fine ma si va invece verso la vita vera; tranquillo ti sembrerà di cadere e invece la sua mano ti prenderà al volo!”.

E Maria non ci è andata per i suoi meriti ma per l’amore di Dio. “Quindi, tranquillo ancora! Dio non si conquista a forza di buone azioni e di meriti; con Dio non serve la sufficienza per passare l’esame della vita. Non è in forza della tua bravura che ti guadagni il paradiso (la promozione); è in forza del suo amore che ti verrà donato il paradiso!”.

In quel giorno non si guarderà a te e a quello che hai fatto ma a Lui e a ciò che Lui è: amore senza misure, fedele e appassionato. Basterà lasciarci amare e dire: “Sì”. E ci ritroveremo tutti e sarà una gran festa (senza fine!).

 

39 In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.

IN QUEI GIORNI=quali? Quelli per cui è già incinta di Gesù (Lc 1,26-38).

MARIA SI ALZO’ E ANDO’ IN FRETTA=ma come fa una donna incinta (a quel tempo si andava a piedi!), per di più una ragazzina tra i 12 e i 13 anni, a intraprendere un viaggio da sola (Lc non fa comparire nessun altro in questo viaggio!) attraverso una regione montuosa, con tutti i pericoli che rappresentavano questi viaggi (cfr. l’uomo bastonato in Lc 10,25-37)?

E perché Maria non sceglie la strada lungo il Giordano, tipica strada di tutti i pellegrini, un po’ più lunga di 3-4 giorni di cammino, ma senz’altro più tranquilla?

Perché Maria rischia la propria vita passando per la Samaria, ben sapendo l’odio e la rivalità tra Giudei e Samaritani?

Il desiderio di Maria di comunicare vita alla parente è più forte della propria sicurezza.

 

Tra l’altro dobbiamo osservare che Maria parte senza consultare il marito e/o il padre, cosa inammissibile nella società di quel tempo.

Maria quindi è una donna indipendente, autonoma, non sottomessa alla normale legge del patriarcato del tempo. Maria è una donna che mette a rischio la propria vita pur di comunicarla a chi ne ha bisogno.

 

40 Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta.

ENTRATA NELLA CASA DI ZACCARIA=… e ci aspetteremo che salutasse Zaccaria, che tra l’altro è un sacerdote (è muto perché non ha creduto all’annuncio di Gabriele; Lc 1,5-25) e, invece, no! Maria avrebbe dovuto salutare Zaccaria, l’uomo, il padrone di casa! Ma Maria ignora Zaccaria perché è incredulo e refrattario allo spirito.

Qui c’è un criterio enorme per la nostra vita: “Non ti può capire chi non vive, chi non ha, lo stesso tuo linguaggio”. Elisabetta capisce Maria perché anche lei è viva dentro. Zaccaria no: lui è morto e non può capire le due donne così piene di vita.

Due che sono stati in guerra, quando si parla di certe cose si capiscono bene: uno che la guerra l’ha letta sui libri non sa; due donne che hanno partorito si capiscono bene quando parlano di gravidanza e travaglio, noi uomini no; due scalatori che sono andati sul Monte Bianco si capiscono bene quando si parlano, tu che vai sempre al mare no; due persone che hanno cambiato radicalmente vita per il vangelo si capiscono benissimo, ma non ti può capire chi per cui il vangelo è solamente un libro come tanti altri.

Chi è “vivo” è capito benissimo da chi è “vivo”, da chi ha il cuore aperto, elastico, capace di vibrare, di sussultare, di entusiasmarsi, di gioire, di emozionarsi, ma non può essere capito da chi è “morto”, freddo nei suoi schemi mentali, rigido nella sua paura di cambiare, intellettualizzato nel mondo delle idee che lo proteggono e lo salvaguardano dalla vitalità delle emozioni.

Non insegnare ad un maiale a cantare perché tu perdi tempo e lui s’incazza. Non chiedere a chi “è morto” di capire te che sei “vivo”, non perché sia cattivo ma perché non può: non ce l’ha questo linguaggio dentro!

SALUTARE=il saluto nel contesto ebraico non è una pura formalità ma un affermare che si cerca di aiutare e di procurare il bene per quella persona. Non è tanto il nostro: “Ciao! Come va?” ma piuttosto: “Sono qui per te! Sono qui per aiutarti! Mi metto a tuo servizio!”.

ELISABETTA= sappiamo che era “parente” (“vedi anche Elisabetta tua parente”, Lc 1,36) che vuol dire che poteva essere: cugina, nipote, zia, ecc. Non sappiamo!

 

41 Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo

APPENA IL SALUTO=cosa succede qui? Maria porta in sé Gesù che è nato nello Spirito Santo (Lc 1,35: “Lo Spirito Santo scenderà su di te”) e questo Spirito di Maria passa attraverso le sue parole ad Elisabetta, tanto che Elisabetta ne è piena.

Le parole di Maria sono “il battesimo” di Elisabetta e di chi ha dentro: Giovanni Battista. Quindi: se il Battista battezzerà con l’acqua Gesù, Gesù, attraverso sua madre Maria, battezza il Battista con lo Spirito.

Questo ci ricorda una legge universale: “Le tue parole trasmettono il tuo cuore. Le tue parole sono il segno di ciò che tu hai dentro. Ascolto ciò che dici e capisco chi sei”. Perché nessuno può parlare diversamente da ciò che è: le tue parole sono tue. Da quello che dici e da come le dici, tu ti riveli.

APPENA ELISABETTA EBBE UDITO IL SALUTO DI MARIA IL BAMBINO SUSSULTO’=non è tanto un formale saluto (“Ciao! Ben arrivato!”) ma è un’esperienza di vita che tocca internamente le due donne. Questo saluto è una trasmissione di percezioni, di energie vitali; è un incontro di anime dove gli spiriti si riconoscono.

Cosa ci dice qui Lc? Ci dice che Dio si manifesta attraverso le relazioni umane. Dio si “muove, si fa sentire” proprio in questo saluto, in questo modo di relazionarsi, in questo parlarsi di anime, in questo darsi cuore a cuore.

Dio non si manifesta nelle liturgie, ma nelle relazioni umane là dove c’è una comunicazione di vita. Elisabetta, infatti, fu colmata di Spirito Santo. Cioè: lo Spirito scende proprio attraverso le parole di Maria.

Allora: c’è un parlare che ti benedice, che ti riempie di Spirito Santo, che ti fa “percepire” Dio. E c’è un parlare insignificante e addirittura uno maledetto, che ti riempie di male e di dolore.

ELISABETTA FU PIENA DI SPIRITO SANTO=essere piena di Spirito Santo vuol dire essere in sintonia con Dio.

Qui c’è un altro criterio enorme per la nostra fede: lo Spirito Santo c’è dove c’è “vita”. Le due donne si trasmettono Spirito perché hanno la vita dentro di sé, mentre in Zaccaria, che è un’anima morta, non scende nessun spirito.

 

42 ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!

BENEDETTA TU=quel “benedetta tu” vuol dire: “Tu sì che sei benedetta perché hai creduto e non come mio marito Zaccaria che invece non ha creduto”. Quindi in queste parole c’è un implicito rimprovero a Zaccaria. Tra l’altro Maria crede a qualcosa che non era mai accaduto (Dio nasce da una donna), mentre Zaccaria, uomo di Dio, non crede a ciò che era più volte già accaduto (una sterile partorisce).

Cosa succede qui? Elisabetta, riconoscendo la benedizione del grembo di Maria è una profetessa (i profeti riconoscono Dio e parlano in suo nome), compito che sarebbe toccato a suo marito Zaccaria.

Allora: non è tanto il ruolo che determina la funzione ma la capacità interiore. Zaccaria ha il ruolo di sacerdote ma non è un profeta; Elisabetta non ha nessun ruolo ma fa la funzione di profetessa.

FRA LE DONNE E BENEDETTO IL FRUTTO DEL TUO GREMBO=questa benedizione si rifà alle grandi benedizioni delle eroine dell’A.T. che hanno salvato il popolo (Giaele, Giuditta).

Questa (“Benedetto tu e il frutto delle tue viscere o la tua discendenza”) era la benedizione contenuta nel libro del Deuteronomio per gli uomini fedeli all’alleanza. Qui Lc la attribuisce ad una donna.

 

43 A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?

A CHE DEVO CHE LA MADRE DEL MIO SIGNORE=l’espressione è un’eco di un’espressione di Araunà, che possedeva il luogo dove poi Davide volle far costruire il tempio, quando parlò a Davide: “A che devo che il mio signore viene dal suo servo” (2 Sam 24,21). In questa frase, come in tutto Lc 1-2, c’è un’eco e una risonanza di espressioni bibliche e questa frase indica il Salvatore del popolo.

In 2 Sam 6,11 e in 1 Cr 13,14 si racconta che “l’arca del Signore rimase tre mesi (guarda caso come i tre mesi in cui Maria rimane dalla cugina Elisabetta!) in casa di Oded-Edom di Gat e il Signore benedisse Odeb-Edom e tutta la sua casa”. Per questo Maria “deve” stare tre mesi, perché adesso è lei la nuova arca che benedice.

E se l’antica arca (=un cofanetto trasportabile contenente le due tavole della testimonianza, cioè il Decalogo, Es 25,16; 31,18) conteneva le leggi, le tavole, dell’Alleanza con il suo popolo Israele, la nuova contiene Gesù, il Figlio di Dio, che manifesterà il suo amore non solo agli ebrei ma a tutta l’umanità.

Si va a Dio non più attraverso l’osservanza delle regole ma attraverso l’amore per le persone. Dio non è più di un popolo ma di tutta l’umanità.

 

44 Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo.

HA SUSSULTATO DI GIOIA=lett. di esultanza. Era l’annuncio che l’angelo aveva dato a Zaccaria, che cioè questo bambino sarebbe stato frutto di gioia e di esultanza (Lc 1,14) ed è un’eco di Gv Battista: “Esulta l’amico dello sposo alla voce dello sposo” (Gv 3,29). Quindi si capisce che dietro alle parole Lc sta facendo una teologia profonda mettendo a confronto l’A.T. e Gesù.

 

45 E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

BEATA COLEI CHE HA CREDUTO…: è la prima beatitudine del vangelo ed è diretta a Maria. E l’ultima beatitudine, che si trova in Gv, è quella di Gesù ai discepoli: “Beati coloro che pur non avendo visto crederanno” (Gv 20,29). Maria le vive entrambi: è beata perché si è fidata di Dio credendo alle sue parole e perché ha creduto senza aver avuto bisogno di vedere.

Noi mediterranei, molto mammoni, abbiamo creduto che Gesù Risorto per prima cosa sia andato da sua madre: “Ciao mamma, stai tranquilla, hai visto che non sono morto definitivamente ma che sono risorto!”. Ma le apparizioni, invece, non sono per quelli che credono ma per quelli che non credono, per i testoni e i duri di cuore (Gv 20,27: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani… e non essere più incredulo ma credente”).

Per questo Maria non ha avuto apparizioni: perché non aveva bisogno di credere, visto che già credeva!

ADEMPIMENTO=lett. “il compimento”. Il compimento della parola esige la collaborazione dell’uomo. La parola di Dio non porta frutto se non viene accolta e trasformata in realtà dall’uomo.

DI CIO’ CHE IL SIGNORE LE HA DETTO=quindi: Dio ha detto qualcosa a Maria (che avrà un figlio e che questo figlio sarà il Figlio di Dio; Lc 1,26-38) e Maria crede a ciò che Dio le ha detto. Per questo è beata: è beata perché è una cosa così incredibile, inopportuna e scomoda che ci vuole tanto coraggio per credere a tutto ciò.

 

Maria ed Elisabetta sono entrambe donne che si sono aperte, che hanno saputo lasciare spazio all’in-credibile (ecco la loro fede). Maria, la vergine che contro ogni aspettativa è, rimane, incinta, ed Elisabetta, la sterile che contro ogni aspettativa è diventata madre: sono due donne che si sono aperte alla vita.

In questa beatitudine vi è però il rimprovero verso l’uomo, Zaccaria: se Maria è beata perché ha creduto, Zaccaria è infelice perché non ha creduto. Ma come l’arca portava benedizione nella casa in cui veniva ospitata, così Maria porterà quella benedizione per cui Zaccaria da sacerdote incredulo diverrà profeta credente.

 

46 Allora Maria disse…:

E DISSE=ma chi è che “disse”? La traduzione ha scritto: “Allora Maria disse”, ma mentre alcuni codici hanno Maria, altri hanno Elisabetta. Questo probabilmente è dovuto ai copisti che riempirono il buco su chi disse il Magnificat. Probabilmente Lc non aveva scritto nessun nome, lasciando possibile sia l’una che l’altra interpretazione. Il Magnificat può essere sia di Maria che di Elisabetta.

È un inno dove c’è il massimo della spiritualità di Israele (quindi dell’A.T.) e alcune affermazioni propendono per Elisabetta più che per Maria (es Lc 1,48: “Ha guardato all’umiliazione della sua serva”: l’umiliazione per una donna era non avere figli (1 Sam 1,6); cfr Lc 1,25: “Ecco cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna tra gli uomini”).

Per capire il Magnificat noi dobbiamo capire che cosa c’era da un punto di vista storico e teologico tra la Galilea e la Giudea, perché Maria è una Galilea mentre Elisabetta e soprattutto Zaccaria sono Giudei.

Con Roboamo, figlio di Salomone, ci fu lo scisma: dieci tribù abbandonarono Davide (le tribù del nord) e solamente la tribù di Giuda rimase fedele alla casa di Davide. La Giudea era monarchica e sperava fanaticamente nel ripristino di un successore di Davide. La Galilea, invece, era antimonarchica e vedeva nella monarchia e nel re l’origine di tutti mali.

Allora, c’è da chiedersi come un inno di questo tipo possa essere suonato in casa di un giudeo monarchico come il sacerdote Zaccaria. Ad esempio Lc 1,52: “Ha rovesciato i potenti dai troni”: ma i potenti sono quelli di Gerusalemme, i sacerdoti e il tempio!

Il Magnificat è un riassunto di teologia dell’A.T. ma è anche un inno di guerra, di sovversione, di ribellione, tant’è vero che anni fa i dittatori argentini avevano tolto questo e altri versetti del Magnificat; quando il Papa nel 1987 visitò l’Argentina sotto i generali scoprì, durante una cerimonia, che quel versetto non c’era!

Il filosofo Maurras negli anni ’50 scriveva che la grandezza della Chiesa è stata quella di aver lasciato il Magnificat in latino (così la gente non capiva niente!) in modo da attenuarne gli effetti eversivi.

 

Questo vangelo sconvolgente ci mostra che Dio, lo Spirito, si rende visibile, toccabile, presente, in un certo modo di relazionarsi. Dove ci relazioniamo in un certo modo, lì Dio c’è. E dove ci relazioniamo in altro modo, lì Dio non c’è.

Cos’ha di speciale la comunicazione tra Maria ed Elisabetta? Forse il loro modo di parlarsi tanti secoli fa, ha anche per noi delle risonanze e dei sensi profondi.

  1. Nessuna critica. Potevano dirsi: “Ma sei matta! Fare tutta questa strada che sei incinta! Ma non serviva! Saluta Zaccaria prima, non me!, ecc.” e, invece, si benedicono l’un l’altra (“Benedetta tu… beata colei…”). Sanno mettere in luce il meglio, il positivo, dell’altra persona. Qui c’è Dio.

Quante volte le nostre comunicazioni sono piene di frasi del tipo: “Non fai mai niente di quello che ti chiedo… Non mi ascolti mai… Non mi capisci… Non mantieni le tue promesse… aveva ragione mia madre su di te… dovresti capirlo da solo… dovrebbe essere chiaro… sei inaffidabile”.

La critica rompe la comunicazione perché afferma: “Io sono giusto, tu sei sbagliato”.

La critica rivela solamente che tu hai dentro rancore, rabbia e insoddisfazione.

Un giorno, io e un mio amico eravamo in seminario e facemmo una cosa ardita che non dovevamo fare (e lo sapevamo bene!). Quando il nostro assistente ci scoprì pensammo che ci avrebbe punito severamente, come era consuetudine in quei casi. Ci guardò a lungo negli occhi in silenzio e ci disse: “Avete avuto proprio coraggio a farlo. Adesso andate a letto”. Non ci rimproverò di nulla ma seppe mettere in luce il nostro coraggio. Rinunciò a punirci e così guadagnò la stima di due ragazzi.

  1. Empatia: Maria pensa ad Elisabetta (saluta) ed Elisabetta pensa a Maria (Benedetta tu…). Nessun pensiero egocentrato sulla mancanza o sulla pretesa. Al centro c’è l’altro. Ciascuna si mette nei panni dell’altra. Maria va verso Elisabetta ed Elisabetta verso Maria. Fra di loro c’è connessione ed empatia. Qui c’è Dio.

Il nostro parlare può avere tre modalità: andare verso, andare contro, andare via.

Andare verso è l’empatia. L’altro parla e io lo ascolto mettendomi nei suoi panni: “Ti ascolto… capisco… sento il tuo dolore…”. Non parlo di me: non reagisco se non sono d’accordo, ma gli lascio tutto lo spazio perché lui si possa sentire visto da me con i suoi occhi e sentito da me con il suo cuore.

Se un ragazzo è terrorizzato dal parlare in pubblico allo spettacolo con i genitori, a me viene da sorridere, ma mi metto nei suoi panni e capisco che per lui è veramente un terrore. Non sminuisco, non rido e sento tutto il suo terrore; insieme cerchiamo di trovare risorse per questo terrore.

L’andare verso produce accoglienza: “Ci sono, ti capisco, puoi contare su di me”.

L’andare contro è l’ostilità che si produce nel nostro parlare brusco, nel sarcasmo, nella critica, nell’attacco all’altro. L’andare contro produce solo distanza e rancore. Nell’andare contro ci si dice: “Non m’interessa del tuo bisogno… mi irriti… sono contento che tu stia male… ho ragione io… tu non mi capisci… vai via, ecc.”.

Lui guarda la tv. Lei gentilmente gli dice: “Possiamo parlare di una cosa?”. “E di cosa vuoi che parliamo?” e continua a guardare la tv e sbuffa per le sue parole. “Che dici se compriamo una tv nuova?”. “Ma che ne sai tu di televisori!”. Comunicazione contro (di te) e interrotta.

Lui torna dal lavoro e dice a lei: “Sai, avevi ragione tu, i 1.000 euro che abbiamo prestato a mio fratello non ci ritorneranno indietro”. “Te l’avevo detto! Se mi ascoltassi di più… non avremmo perso i soldi”. Messaggio: “Non capisci niente. Io capisco, tu no”. Comunicazione contro (di te) interrotta.

L’andare via è il disinteresse per l’altro e per ciò che dice. Avviene con il silenzio, col rimanere a fare le proprie cose, col far finta di non sentire, col dire che si ha “cose più importanti da fare”, con il non affrontare mai le questioni, con l’andarsene o il cambiare discorso.

“E’ pronta la cena!”… e nessuno risponde.

“Oggi al lavoro mi veniva da piangere…” e lui: “È un gran brutto periodo per tutti”.

Lei gli parla 20 minuti della sua insoddisfazione e lui dice solo: “Sei così perché hai il ciclo!”.

  1. Vitalità: sono donne “già vive” da sé e per questo si possono trasmettere vita. Danno perché hanno qualcosa da dare. Qui c’è Dio.

Quand’è che le tue parole trasmettono passione, energia? Di che cosa sai entusiasmarti? Sai farlo?

Maria ed Elisabetta sono felici e la loro felicità si trasmette. Se dentro sei felice passi felicità; se dentro hai gioia, passi gioia; se dentro hai voglia di vivere passi questo; se hai sicurezza, passi questo; se hai preoccupazione passi ansia; se hai rancore passi rabbia.

Se ami i tuoi amici, se ami i tuoi figli, sii tu un uomo migliore! Perché loro avranno da te quello che tu sei.

Questo ci ricorda che quando comunichiamo dobbiamo tenere presente il nostro stato d’animo. Se sono arrabbiato “nero”, in quel momento è meglio che non parli, che non dica niente: ho bisogno di tranquillizzarmi, di ritrovare un po’ di lucidità, altrimenti si butta legna sul fuoco.

  1. Connessione, intimità, emozione: sono le loro viscere che sussultano, che si incontrano, che vibrano. È un parlarsi cuore a cuore, anima ad anima. Qui c’è Dio.

Il saluto di Maria fa sussultare Elisabetta; Elisabetta parla a gran voce, piena di gioia; Elisabetta è sorpresa dall’arrivo inaspettato di Maria (“A che debbo che la madre…”); Maria canta il Magnificat. Qui c’è Dio.

Molte volte le coppie si dicono: “Non abbiamo più niente in comune”. Vuol dire che si è persa la connessione interna, che non si sa più parlare dei propri sogni, dei propri progetti, di ciò che appassiona, di ciò che fa vibrare dentro.

Un uomo di 50 anni un giorno dice a sua moglie: “Sai cara, vorrei iniziare una scuola di counseling perché sento il bisogno di imparare e di rimettermi in gioco”. Lei: “Sì, sì, intanto vai a mettere fuori il bucato!”. Quando lui ti parla dei suoi sogni non tagliare la sorgente della vitalità perché si perde la connessione.

Una donna dice a suo marito: “C’è qualcosa che non va tra di noi”. Lui: “Sì cara, lo so, è stata una giornata calda e pesante anche per me… adesso dormiamo!”. Connessione rotta, intimità mancata.

Quando un rapporto finisce è perché da molto tempo è venuta meno la connessione. Non è il tradimento o l’ultimo fatto che causa la fine del matrimonio ma è perché il matrimonio era finito che è successo quello che è successo.

 

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